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mercoledì, Giu 07

ecco come ha cambiato le nostre vite | Wired Italia



Da Wired.it :

Il 6 giugno del 2013, dieci anni fa, il quotidiano britannico The Guardian pubblicava il primo articolo di una lunga serie dedicata alla sorveglianza di massa da parte della National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti. Quel primo articolo si riferiva a come l’intelligence Usa potesse raccogliere i dati telefonici di milioni di clienti statunitensi di Verizon, uno dei maggiori fornitori di servizi di telecomunicazione, in base a un’ordinanza top secret. L’articolo era basato proprio sul testo di quell’ordinanza, ottenuto dal quotidiano di Londra da una fonte interna alla NSA cui era stato garantito l’anonimato. L’articolo conteneva la prima delle rivelazioni di Edward Snowden, ex membro dell’intelligence Usa e uno dei maggiori whistleblower della sua generazione. A quell’articolo ne sono seguiti decine di altri che, nel complesso, hanno costruito uno dei maggiori casi giornalistici di questa epoca, la cui eco si fa ancora sentire a un decennio di distanza.

Al caso Snowden si devono infatti molte cose e in primis una mai così dettagliata ricostruzione di come funzionino le operazioni di sorveglianza in questa epoca e quanto diffuse esse siano anche da parte di governi saldamente democratici. Per quanto il focus delle rivelazioni di Snowden fosse principalmente sugli Stati Uniti e i paesi ad essi più strettamente alleati, i materiali forniti dal whsitleblower hanno mostrato, prove alla mano, le varie possibilità a disposizione dei governi per raccogliere e analizzare dati prodotti dalla digitalizzazione e come questa raccolta sia, in molti casi, in pieno contrasto con i diritti fondamentali. In secondo luogo, Snowden ha mostrato come, spesso, i mondi delle aziende tech della Silicon Valley e quello dell’intelligence fossero vicini, spesso in modo quasi simbiotico, come nel caso del programma “Prism”, forse il più noto (ma anche il più frainteso) tra quelli analizzati dai giornalisti coinvolti nelle indagini dei materiali forniti da Snowden.

Temi caldi: privacy e data justice

Andando però oltre i dettagli tecnici della sorveglianza della NSA, si può affermare come al caso Snowden si debbano molti dei dibattiti pubblici ancora in corso attorno a temi fondamentali come privacy e data justice che da allora si sono susseguiti e che oggi tornano in modo ancora più evidente nel contesto dell’intelligenza artificiale. Se il tema della riservatezza e dei diritti digitali è oggi al centro di buona parte delle questioni tecnologiche lo si deve in buona parte al bing bang iniziato con il caso Snowden dieci anni fa. Consequenze indirette del caso Snowden sono anche molte scelte normative avvenute negli ultimi anni, a cominciare dal GDPR in Europa fino alla recente multa record inflitta a Meta per come i dati degli utenti europei sono trattati negli Stati Uniti. La lista potrebbe però essere però molto più lunga, proprio perché l’esplosione del caso Snowden, come pochi altri casi simili in tempi recenti, ha letteralmente tracciato una riga che divide la storia di internet tra un prima e un dopo. Tutt’ora, insomma, è impossibile tracciare tutte le conseguenze di quello che è stato definito come “Snowden Effect”.

Dieci anni, nei termini di internet, sono un’eternità, letteralmente un’era geologica. Eppure, i documenti forniti da Snowden ai giornalisti nel 2013 sono tutt’ora di estrema attualità perché, come ha scritto la ricercatrice Kate Crawford, offrono uno spaccato senza precedenti del periodo storico che ha segnato l’ascesa delle tecniche che è possibile inserire sotto il generico cappello di “big data” e che oggi, per esempio, sono al centro di come funzionano strumenti come ChatGPT e i large language model (LLM). I documenti di Snowden, insomma, raccontavano di come si potessero intercettare a scopi di sorveglianza i cavi sottomarini che fanno funzionare internet ma, in nuce, includevano già le prime avvisaglie dell’assetto tecnologico-politico oggi dominante e votato alla quantificazione e alla datafication di ogni attività umana. Questo non significa, certamente, che prima di Snowden questi temi non esistessero: nell’accademia si parla di surveillance studies almeno dagli anni ’70 e il mondo dell’attivismo digitale e dell’hacking ne discute a sua volta da diversi decenni. Snowden, però, ha fatto di queste questioni un tema in tutto e per tutto politico, consentendo a queste questioni critiche di entrare direttamente nelle agende più importanti e più coinvolte, compresa quel settore tecnologico, da allora estremamente più attento – almeno sulla carta – alle questioni di privacy e sicurezza.

Un velo di ipocrisia

Per quanto questi temi ora esistano e siano dibattuti più che mai, altrettanto non si può dire del successo di molte delle battaglie insite nei file di Snowden. Dirlo solleva non poca amarezza, ma si tratta di battaglie in buona parte perdute: viviamo, infatti, in un mondo ancora più sorvegliato – sia da governi che da entità private -e dove gli occhi e i sensori in grado di monitorarci si sono, se possibile, ulteriormente moltiplicati nel business come nella politica. La sorveglianza biometrica, per esempio – quella svolta tramite riconoscimento facciale, tra gli altri – è più in voga che mai in un campo che è ancora poco o nulla normato, mentre l’industria della sorveglianza ha trovato negli spyware – ancora non così sviluppati nel 2013 come sono invece oggi – una nuova direzione di espansione e un ricco settore di business, anche in Italia.



[Fonte Wired.it]