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venerdì, Giu 28

Ecco quanta energia in più consumeremo per adattarci al riscaldamento globale


Una domanda difficile, a cui ha tentato di rispondere uno studio mezzo italiano pubblicato su una rivista di Nature. Entro il 2050 nella migliore delle ipotesi i consumi segneranno tra +11% e +27%, ma nel caso peggiore potremmo arrivare a +58%, soprattutto per colpa dei condizionatori negli ambienti di lavoro

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(foto: Mike Kemp/Getty Images)

L’equazione è presto detta: più caldo all’esterno significa più sforzo richiesto ai condizionatori, che a sua volta si traduce in una maggiore domanda di energia elettrica. Insomma, uno schema che rischia di alimentare un circolo vizioso irreversibile, con un surplus di energia che già in qualche decennio si quantificherà in decine di punti percentuali. È questo, con tanto di stime numeriche su scala globale, il risultato principale di uno studio scientifico da poco pubblicato sulla rivista Nature Communications, che per la prima volta ha analizzato e confrontato i risultati di una lunga serie di modelli climatici e di scenari economici mondiali. La ricerca è stata frutto di una collaborazione internazionale, che in Italia ha coinvolto l’università Ca’ Foscari di Venezia e il Centro euromediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), mentre all’estero hanno dato il loro contributo l’università di Boston negli Stati Uniti e l’International Institute for Applied Systems Analysis in Austria.

La prima notizia qualitativa, che non giunge nuova ma può sembrare contro-intuitiva, è che l’aumento di temperatura porterà a consumare più energia per garantire il comfort all’interno degli edifici. Famiglie e aziende ridurranno la richiesta di petrolio e gas naturale necessari al riscaldamento durante la stagione fredda, ma allo stesso tempo aumenteranno la potenza di raffreddamento durante i mesi caldi, chiedendo alla rete una maggior quantità di energia elettrica per i dispositivi di refrigerazione.

Da cui le valutazioni numeriche: già a meta di questo secolo il cambiamento climatico, anche considerando gli scenari più ottimistici, indurrà un aumento mondiale della domanda di energia elettrica del 20% circa (per la precisione, in un intervallo che sta tra l’11% e il 27%). Se si considerano i modelli di previsione più negativi, invece, l’aumento potrebbe addirittura superare il 50%, poiché il range stimato va dal 25% al 58%. L’ sempre secondo lo studio, sarebbe una delle aree più interessate da questi aumenti e, dato l’attuale consumo nazionale netto di energia pare a oltre 300 terawattora all’anno, si potrebbe facilmente arrivare a quota 400. Ma avremmo comunque buona compagnia: insieme a noi ci sarebbero gli altri Paesi dell’Europa meridionale, la Cina, gli Stati Uniti e buona parte delle aree tropicali. Con dati di questo tipo, la transizione verso le forme rinnovabili di energia diventerà ancora più decisiva.

Un approccio scientifico per una questione globale

La ricerca appena uscita si differenzia da molte altre che l’hanno preceduta sia per dimensione sia per strategia di analisi del problema. Se finora gli studi a disposizione si erano limitati a pochi Paesi, a un singolo settore economico e a un unico modello climatico, questa volta la casistica è ben più completa. Anzitutto le stime sono a livello globale, e sono state ottenute attraverso 21 modelli climatici (per definire come cambierà la temperatura nei prossimi anni), 5 scenari socio-economici (per stabilire i numeri di persone e il loro potere d’acquisto), 3 diversi tipi di carburante per la climatizzazione, 4 settori economici e una varietà di tipologie di consumatore.

In questo modo è stato superato anche il limite che tradizionalmente caratterizzava questo genere di studi, ossia associare la domanda di energia a due sole variabili, il dato demografico e il reddito pro capite. Il fatto che la previsione abbia comunque una propria incertezza, è dovuto è tre elementi decisivi: è impossibile stabilire con precisione l’entità delle emissioni di gas serra dei prossimi anni, i modelli climatici oggi in uso non sono tutti concordi nel prevedere l’entità del riscaldamento globale, e inoltre i consumi energetici sono collegati al tasso di crescita della popolazione e al benessere economico dei cittadini, che devono potersi permettere l’acquisto dell’energia. Da qui l’esigenza di impostare almeno due stime diverse, una nel caso tutto andasse nel migliore dei modi e l’altra immaginando che la situazione si faccia più critica.

L’impatto economico e sociale

Se ci si limita al collegamento tra clima e consumi energetici, si racconta solo un pezzo della storia. Dall’energia, infatti, dipendono anche lo sviluppo economico e dunque il livello di benessere, in uno scenario con complesse relazioni di causa-effetto. Oltre all’impatto iniziale dei cambiamenti climatici sull’economia, sarà importante capire come il mercato potrebbe adattare il prezzo e l’offerta alle nuove condizioni, e quale sarà la successiva reazione dei cittadini nelle diverse parti del mondo.

Volendo essere ottimisti, l’adeguamento al mercato potrebbe smussare le variazioni nei consumi di energia, ma in linea di principio potrebbe anche dare l’effetto opposto, ossia inserire nella filiera ulteriori costi che andranno ad aumentare ancora di più il prezzo dell’energia, finendo per influire in modo significativo sul potere d’acquisto delle famiglie. Dal punto di vista dell’ambiente, la situazione sarebbe capovolta: un’energia più costosa porterebbe perlomeno a una riduzione degli sprechi, mentre se il consumo aumentasse in maniera smisurata avremmo ulteriori emissioni di gas serra, e quindi diventerebbe ancora più arduo e dispendioso cercare di contenere il riscaldamento globale.

Combinando gli scenari di crescita demografica con quelli di aumento della temperatura e di crescita del fabbisogno energetico, la situazione potrebbe farsi particolarmente critica in Medio Oriente e in Africa. Secondo i ricercatori, infatti, nel 2050 potrebbe servire il 25% di energia in più rispetto a oggi, creando ulteriori difficoltà economiche ai più poveri ed esponendo al rischio di malattie e problemi di salute chi vivrà in aree prive di energia elettrica o con una fornitura a intermittenza.

Ciò che probabilmente non è ancora stato del tutto compreso, soprattutto a livello dei decisori politici, è che pure se davvero il surriscaldamento globale fosse contenuto entro i 2°C, il riflesso sui consumi energetici sarebbe ben più significativo, e l’impatto sociale ancora più imponente nelle aree del mondo sottosviluppate.

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