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lunedì, Feb 20

Event horizon telescope: dopo due buchi neri, ha immortalato un quasar lontanissimo



Da Wired.it :

Eht, acronimo di Event horizon telescope, è la collaborazione scientifica internazionale che, per la prima volta al mondo, ci ha regalato la prima vera immagine di un buco nero. Anzi, due: la prima volta nell’aprile 2019, quando il telescopio (o, meglio, la rete di telescopi), ha immortalato M87, il buco nero supermassiccio situato al centro della galassia Messier 87, distante circa 55 milioni di anni luce dalla Terra e pesante poco più di 7 miliardi di masse solari; la seconda volta nel giugno scorso, quando a essere “fotografato” è stato invece Sagittarius A, il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia. Entrambi i lavori hanno avuto (e hanno) una portata scientifica che va ben al di là delle (suggestive) immagini prodotte: quello su Sagittarius, per esempio, ha confermato inequivocabilmente che quello al centro della nostra galassia è un buco nero (ipotesi che effettivamente non era l’unica in campo) e ha permesso di studiarne molte caratteristiche, migliorando la nostra comprensione delle dinamiche sottostanti. Oggi Eht torna a far parlare di sé per un nuovo studio, pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal, relativo a un oggetto probabilmente ancora più misterioso dei buchi neri: i cosiddetti quasar, curioso acronimo di QUASi-stellAR radio source, tra le sorgenti di luce più brillanti dell’Universo, la cui origine e il cui comportamento è ancora in gran parte misterioso. Gli autori del lavoro, in particolare, sono riusciti a “fotografare” NRAO 530, un quasar distante dalla Terra circa sette miliardi e mezzo di anni luce, con una risoluzione spaziale pazzesca (dell’ordine dell’anno luce): lo studio, auspicabilmente, ci fornirà informazioni preziose su come funzionano questi oggetti cosmici così esotici.

Cosa sono i quasar

I primi quasar – termine coniato dall’astrofisico Hong-Yee Chiu nel 1964 – furono osservati, sempre tramite radiotelescopi, all’inizio degli anni Sessanta. In principio si pensava fossero oggetti molto simili a stelle (donde il nome); solo negli anni ottanta vennero proposti altri modelli secondo i quali si trattava piuttosto di galassie attive, la cui enorme luminosità è dovuta all’attrito causato da gas e polveri che cadono in un buco nero supermassiccio formando il cosiddetto disco di accrescimento. A oggi è ancora questa la teoria più accreditata: “I quasar – ci spiega Rocco Lico, ricercatore postdoc all’Instituto de Astrofisica de Andalucía, in Spagna, associato all’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e co-autore del lavoro (premiato dalla collaborazione Eht con uno degli Early-career Awards 2022) – sono galassie ellittiche supermassicce che al loro centro hanno un buco nero supermassiccio (ovvero la cui massa è dell’ordine dei milioni o miliardi di masse solari). Il buco nero ruota e attira gas e polveri, formando attorno a sé un disco di accrescimento. L’azione di forti campi magnetici fa sì che parte di questi gas vengano ‘lanciati fuori’ formando degli enormi getti relativistici. Il quasar appena osservato, in particolare, appartiene alla categoria dei blazar, cioè quasar i cui getti sono orientati lungo la linea di osservazione, emette nei raggi gamma ed è stato scoperto nel 1966 dal Green Bank Telescope.



[Fonte Wired.it]