Seleziona una pagina
giovedì, Ott 28

Facebook, le carte svelate e la crisi di Mark Zuckerberg



Da Wired.it :

Tutto ciò è noto da tempo: quante volte avete sentito dire che ormai Facebook è “un social per vecchi”? Fino a poco fa, però, non rappresentava un particolare problema, perché il vero motore della crescita era rappresentato da Instagram: il social d’elezione dei giovani e dei giovanissimi. È proprio qui che suona però un assordante campanello di allarme: la quantità di contenuti postata dagli adolescenti su Instagram è scesa del 13% nel giro di un solo anno. Un numero che rappresenta – come si legge nel report relativo – “il trend più preoccupante”. Perché cala l’utilizzo di Instagram tra i giovani iscritti? Semplice, perché sta prendendo sempre più piede TikTok. E questa volta Facebook non può reagire acquistando il concorrente come fatto in passato (proprio con Instagram e anche con Whatsapp); può al massimo provare a copiarne alcune funzioni (come già fatto con le Reels). 

Una maturazione non riuscita

Facebook ormai è un marchio che suona vecchio (e pensare che è nato nel 2004!), che ha perso credibilità e che da molti è considerato tossico. Sotto questi ultimi due aspetti, Mark Zuckerberg probabilmente non ha da incolpare altri che se stesso e i suoi dirigenti. I Facebook Papers dimostrano infatti una volta per tutte ciò che già si era intuito: pur di perseguire la crescita e aumentare l’engagement sul breve termine, Facebook ha sacrificato la salute aziendale sul lungo termine.

Gli esempi si sprecano: Facebook non è stato in grado – come riporta Politico – di eliminare nemmeno i più attivi diffusori di disinformazione politica, neppure i cosiddetti Suma (single user multiple account): utenti singoli che utilizzano molteplici account per creare un effetto megafono e amplificare la loro propaganda (sistema che, almeno in passato, è stato fortemente usato anche dai partiti populisti italiani). Secondo le ricerche della stessa Facebook, nel 2018 questo tipo di utenti era in grado – nei soli Stati Uniti – di raggiungere 11 milioni di persone al giorno: vale a dire il 14% dell’intera audience politica statunitense.

Se Facebook non è riuscito – o forse non ha voluto, come vedremo nel prossimo paragrafo – affrontare problemi di questo tipo in casa propria, come pensate che si sarà comportato in mondi che conosce poco, come quello arabo? Come già scritto su Wired, “solo il 6% dei contenuti di odio in lingua araba – la terza più usata su Facebook – è stato rilevato su Instagram. In tutto il Medio Oriente gli algoritmi hanno invece cancellato per sbaglio contenuti non violenti il 77% delle volte, mentre erano alla ricerca di post di terroristi”.

E poi, abbiamo anche la conferma ufficiale di quanto si sostiene da tempo immemore, vale a dire che Facebook privilegi appositamente i contenuti più divisivi e provocatori – nel tentativo di aumentare l’engagement – nonostante questo meccanismo non faccia che amplificare alcuni dei peggiori contenuti presenti sulla piattaforma. Non solo: c’è anche conferma di come Facebook sapesse di come alcuni suoi utenti venissero spinti tra le braccia di QAnon e le altre teorie del complotto, rispondendo troppo lentamente all’avanzata di pericolosi estremismi (che infatti sono stati eliminati quando ormai era tardi).

Un problema intrinseco

L’elenco potrebbe continuare e includere anche i diversi trattamenti nella moderazione dei contenuti a seconda dell’importanza delle varie nazioni, le volte in cui Facebook ha deciso di assecondare le richieste di regimi autoritari (come quello del Vietnam), l’utilizzo di questo social network per il traffico di esseri umani, le difficoltà nell’affrontare adeguatamente la disinformazione su vaccini e Covid e la sottovalutazione della sua presenza in una nazione come l’India, dove l’hate speech circolato su Facebook e WhatsApp ha provocato crisi gravissime e ondate di violenza interreligiosa senza – secondo le accuse – che su questa nazione venissero dirottate sufficienti risorse.

Sembra quindi di avere una conferma di ciò che si sospetta da anni: è la struttura stessa di Facebook a favorire il proliferare delle teorie del complotto (per esempio attraverso i gruppi, che non sono presenti su molti altri social), a promuovere algoritmicamente i contenuti polarizzanti (per aumentare l’engagement), a trascurare i danni provocati in paesi economicamente meno importanti (allocando meno risorse) e molto altro ancora. 

Nel suo discorso di domani a Facebook Connect, Mark Zuckerberg sarà quindi chiamato a un’impresa eccezionale: farci immaginare Facebook come una società super innovativa che sta preparando il futuro a forma di metaverso, mentre siamo circondati da ulteriori dimostrazioni di come questa azienda abbia contribuito a compromettere il recente passato del nostro mondo fisico.



[Fonte Wired.it]