Mousley riporta infatti che “i dati indicano che la riorganizzazione graduale delle reti cerebrali culmina verso la metà dei sessant’anni. È probabilmente un effetto dell’invecchiamento, legato a una riduzione progressiva della connettività man mano che la materia bianca inizia a deteriorarsi”.
La ricercatrice aggiunge che, in questa fase della vita, aumenta il rischio di sviluppare patologie in grado di alterare l’attività cerebrale, come l’ipertensione o le malattie metaboliche.
Invecchiamento cerebrale tardivo
L’ultimo snodo si verifica a partire dagli 83 anni, quando la connettività complessiva del cervello diminuisce e aumenta la dipendenza da alcune regioni che compensano la ridotta capacità di altre aree. Gli autori riconoscono però che i dati su questa fase sono ancora limitati, motivo per cui ritengono necessario ampliare ulteriormente la ricerca.
Il tratto distintivo di questa fase è il passaggio da un’organizzazione ampiamente integrata a una più localizzata, legato alla riduzione progressiva della connettività complessiva del sistema neuronale.
Conclusioni e limiti dello studio
Come osserva Duncan Astle, professore di neuroinformatica all’Università di Cambridge e coautore dello studio, “molti di noi percepiscono la propria vita come suddivisa in fasi. Ebbene, anche il cervello attraversa queste tappe”. Astle aggiunge che “capire che la traiettoria strutturale [del cervello] non procede in modo lineare, ma attraverso una serie di punti di svolta, aiuterà a individuare quando e come la sua struttura diventa più vulnerabile”. Un elemento che potrebbe facilitare la previsione di disturbi legati al comportamento, all’attenzione, alla memoria o al linguaggio.
I ricercatori precisano che lo studio presenta alcune limitazioni. La risonanza magnetica di diffusione non consente di inferire in modo diretto la funzione cerebrale né la direzione precisa dei flussi informativi. L’analisi, inoltre, non ha tenuto conto delle eventuali differenze di genere, sebbene altri studi documentino variazioni nei ritmi di sviluppo tra uomini e donne.
Doval avverte che “non si devono interpretare queste tempistiche come confini rigidi. La distinzione tra maturazione e invecchiamento è, in realtà, relativamente arbitraria”. E a questo aggiunge che lo studio prende in esame solo i cambiamenti strutturali e di connettività, senza considerare l’evoluzione di specifici aspetti cognitivi nelle diverse fasi.
Ciononostante, la ricercatrice ritiene che “il lavoro abbia un valore scientifico significativo, perché offre per la prima volta un quadro temporale basato sui dati, che mostra i momenti in cui si verificano le maggiori riorganizzazioni del connettoma cerebrale”. Questo, continua Doval, può aiutare a individuare le finestre di maggiore vulnerabilità ai disturbi del neurosviluppo nell’infanzia, ai problemi di salute mentale nell’adolescenza prolungata e al deterioramento cognitivo e alle demenze nelle ultime fasi della vita.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired en Español.



