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mercoledì, Lug 07

Fenomeno podcast – Wired



Da Wired.it :

Quasi 14 milioni di ascoltatori e un boom di interesse che, fino a due anni fa, sembrava impensabile. I racconti audio (fictional e non) sono richiestissimi, anche se in Italia si sono imposti in ritardo. Cinque player ci svelano progetti e obiettivi di questo mercato in espansione

In principio furono gli anni ’90. Sdoganarono il podcast, la ormai celeberrima tecnologia che permette di ascoltare file, sul web, con la distribuzione di feed RSS. Questo tipo di media digitale – che sta vivendo la sua (seconda e inaspettata) primavera – era, infatti, fortemente legato al concetto di download di programmi radiofonici quotidiani. Poi, dal 2013, arrivò il successo di Serial, format di giornalismo investigativo firmato da Sarah Koenig, e le cose cambiarono ancora di più. Oggi – vuoi per la pandemia, vuoi per un tipo di fruizione più snella che non obbliga il pubblico a stare davanti allo schermo – i podcast sono entrati di diritto tra le abitudini degli italiani. Il boom che hanno avuto è paragonabile solo allo streaming e gli ebook. L’unica (ma importantissima) differenza con il resto delle offerte è che, chi si è approccia a questo universo, tende ad affezionarsi e mantiene, quindi, una costanza.La prova provata arriva dalla società di statistica e sondaggi Nielsen: durante lo United States of Podcastby Audible, ha mostrato che nel nostro Paese i fruitori di programmi in podcasting sono passati dai 12 milioni del 2019 a quasi 14 del 2020, un incremento entusiasmante che, sempre stando ai numeri, è destinato ad aumentare ulteriormente nel 2021. Ad accendere l’interesse degli addetti ai lavori (e degli eventuali sponsor) anche il tempo di ascolto che, da 22,9 minuti è balzato a 24,5 per (almeno) una volta alla settimana (il 63% degli intervistati). Il sondaggio mostra poi che il 68% degli aficionados ha tra i 25 e i 34 anni, utilizza molto i social e, tra questi, il 36% si diletta con gli audiolibri e passa parecchio tempo su YouTube, Prime Video, Netflix e Rai Play. Gli heavy users rappresentano, invece, il 6%, si tratta principalmente di uomini tra i 25 e i 44 anni, che al posto alla piattaforma di Viale Mazzini preferiscono Spotify. I servizi prediletti sono, ça vas sans dire, quelli free sia per il bacino generale (89%), sia per i più assidui (91%). I contenuti originali vincono a mani basse con uno scarto del 19% rispetto ai programmi radiofonici già andati in onda in FM. E c’è un incremento del 6% di chi cerca questa modalità esclusivamente per informarsi.

Sembra quasi che, se non si fa un podcast, non si è nessuno. Basti pensare alle tantissime celebrities che hanno testato il mezzo con risultati più o meno soddisfacenti. Certo, da noi mancano superstar come Bruce Springsteen e Barack Obama, ma ci sono comunque parecchie cose interessanti. Come si relazionano e cche cosa hanno in mente i player e i produttori di podcast? Lo abbiamo chiesto a cinque di loro. Tra branded content e nuovi investimenti ne sentiremo delle belle.

Le celebrities di Dopcast

Il logo di Dopcast

Lino Prencipe, Digital and Business Director di Sony Music, ci parla di Dopcast, produttore indipendente nato dalla join venture tra l’agenzia di comunicazione MNcomm e la major discografica: “Strategicamente abbiamo individuato questo tipo di mercato come evoluzione naturale dei contenuti audio. Sony è leader nella produzione musicale, ma l’intenzione worldwide, da due anni, è di investire sui podcast. In America e Inghilterra sono già molto avanti rispetto a noi”. Affermazione ancora più vera se si pensa che questa progettualità digitale, con la pandemia, “ha avuto un’accelerazione: oltre a Spotify, Amazon ha lanciato la sua divisione dedicata e ha acquisito Audible. Mentre Apple ha in pancia da anni questo business”.

Dopcast ha all’attivo oltre 12 serie per una linea editoriale che mette al centro i talent – come Diletta Leotta, Alessandro Borghese, Colapesce e Dimartino e Ghemon – coprendo diversi argomento: musica, costume, tv, crime, fitness, food. Prosegue Principe: “I nostri prodotti hanno un rich molto alto: andremo verso una ricerca autoriale, spaziando a 360° su diverse tematiche. Come è successo con Armisanti di Gaetano Pecoraro. In 10 episodi si entra nella vita di persone coinvolte e uccise dalla mafia. L’obiettivo è interessare il pubblico: non vogliamo disperdere energie, ma seguire filoni che sposino le richieste dei consumatori con la nostra esperienza e i nostri rooster”. Un modello di business in evoluzione, non consolidato, ma con tanti investimenti: “Ci sono progetti premium a sottoscrizione come Audible o l’europeo Storytel. Per il resto, la gran parte della fruizione segue il paradigma advertising based, come YouTube. In futuro si consoliderà dal branded content ai social. Essere della partita è importante”.

Chora Media, l’importanza della fiducia

Il podcast Proprio a me di Selvaggia Lucarelli

Fondata da Guido Brera, Mario Gianani e Mario Calabresi, Chora Media è una casa editrice che mette in campo narrative autentiche e non convenzionali. Il direttore Calabresi, dopo essere uscito da Repubblica, sentiva l’esigenza di sperimentare nuove forme di racconto e di giornalismo, come le newsletter, i documentari e “i podcast, che possono funzionare molto bene per una platea alla ricerca dell’essenza della storia, senza la distrazione del bombardamento delle immagini. A questo si aggiunge che la voce, intima e personale, restituisce un po’ la fiducia nel giornalismo, al centro di una crisi che ha investito tv e giornali”.

Mario Calabresi è convinto che lockdown e restrizioni abbiano aiutato l’avvicinamento a questo tipo di intrattenimento, “cosa che non è successa dove il mercato è saturo e collegato al pendolarismo, come a Londra, New York, Berlino. In Italia è stata una scoperta: l’offerta è cresciuta e si è moltiplicata con voci e nomi da sempre fuori da questo tipo di comunicazione in espansione”.

L’idea è provare ad allargare il business non in maniera indiscriminata, ma guardando agli users che leggono libri e guardano serie tv, “persone che hanno la pazienza di un ingaggio lungo. Per questo faremo un lavoro forte con diversi scrittori con cui stiamo imbastendo racconti non-fiction lontani dagli audiolibri. I contenuti sono e saranno gratuiti o creati ad hoc per piattaforme distributive: nel primo caso non si può prescindere dal successo “oltre ogni aspettativa” di Proprio a me, firmato da Selvaggia Lucarelli, sulle dipendenze affettive. Per quel che riguarda il secondo ambito merita una menzione Prima di Sara Poma, sulla storia di Mariasilvia Spolato, prima donna in Italia ad aver fatto coming out. Lato costi Calabresi ammette di aver costruito un modello con polmone branded content: “Per stare in piedi o si fa in questo modo oppure si vendono prodotti ad aziende di servizi on demand. Noi investiamo in qualità e nel lavoro di autori, sound designer, fonici di post e di presa diretta. I nostri podcast costano tanto, perché non vogliamo fare qualcosa di amatoriale”.

Una realtà che non è Sbagliata

Il podcast fictional Sbagliata

In meno di 48 ore ha scalato la classifica delle principali piattaforme, piazzandosi nella top 10. Il podcast di fiction Sbagliata –  sulla vita della trentenne Emma, interpretata da Pilar Fogliati, sviluppata in sei episodi da 25 minuti – ha aperto le porte del successo a Sirene Records, nuova realtà dell’intrattenimento audio nata da una costola della casa di produzione tv Capri Entertainment (quelli di Speravo de mori’ prima sulla vita di Totti). Un riscontro enorme nel quale la produttrice Virginia Valsecchi sperava, nonostante il risultato non fosse scontato: “Credo che il quid in più sia stato far convergere diversi generi, come la musica e la stand-up comedy, in un unico testo. In più c’è la verità del personaggio che, per il linguaggio che usa, riesce a instaurare una relazione intima con l’ascoltatore parlando in prima persona”.

L’obiettivo dell’azienda è puntare a lavori fictional made in Italy. Continua Virginia Valsecchi: “I podcast sono la rivoluzione digitale. I fruitori sono, principalmente, ragazzi tra i 18 e i 35 anni e noi, come realtà giovane, vogliamo sottolineare il potere delle parole con una squadra di professionisti in grado di tradurre in ascolto le immagini di una precisa narrazione. Per la registrazione abbiamo usato più di 500 suoni, mettendo grande attenzione nella produzione: la generazione di riferimento può decodificare i suoni come, per esempio, le notifiche di Whatsapp”.

Progetti che, sempre secondo Valsecchi, “ci permettono di testare e capire come affrontare un radiodramma 2.0. E costruire storie orientate all’ascolto, considerando anche device come Alexa e Google Home, che fanno da accompagnamento sonoro, ma ci fanno usare l’immaginazione”. Probabilmente, come già accade negli Stati Uniti, si potranno vedere storie audio fare il grande passo sul piccolo schermo come è successo al serial Homecoming con Julia Roberts o al nostro Veleno di Pablo Trincia (anche se trattasi di un format non-fiction) finito su Amazon Prime Video. Lo conferma la produttrice romana: “Il trend americano è partire da quello per poi fare televisione. Noi nasciamo per creare contenuti inediti specializzandoci nella filiera del podcasting, poi vedremo. Nel frattempo stiamo lavorando a un thriller, un giallo e alla seconda edizione di Sbagliata.

Kidney Bingos, potere al crowdfunding

Il podcast Le radici dell’orgoglio

Oltre a una canzone dei Wire, Kidney Bingos è la casa di produzione di Costantino della Gherardesca che ha, come CEO, il manager Giorgio Bozzo, creatore della storica trasmissione di Rai Radio2 Dispenser: “La nostra volontà è fare esperienza con uno strumento di cui siamo grandi fruitori”. Per lui i prodotti legati a questa tecnologia devono essere nativi per questo scopo, “in controtendenza con la tv e la radio generalista che punta su un broadcasting molto semplificato, che permette a tutti di capire cosa sta succedendo. Con il podcast si può usare un racconto poetico, un genere nobile e, quando si mette in piedi un format del genere, bisogna alzare il tiro”.

Non a caso i primi due progetti dell’azienda sono ArteFatti e Le radici dell’orgoglio: il primo lavoro “parte da una grande passione di Costantino: l’arte contemporanea, che qui non ha la stessa rilevanza mediatica degli altri Paesi. Volevamo trovare una formula divulgativa che rispecchiasse l’amicizia tra Costantino e il critico d’arte Francesco Bonami. Abbiamo fatto un azzardo di entertainment con un tema alto: chi non conosce l’argomento ha strumenti in più per codificarlo, mentre chi è già ferrato sul tema scopre aspetti inediti. L’idea ha incontrato il gusto del pubblico, ma ci siamo autofinanziati per licenziarla gratuitamente”. Poi è arrivato Le radici dell’orgoglio“un progetto identitario nato da una mia ricerca sulla storia della comunità Lgbt+. Sembrava destinato a una piattaforma, ma non abbiamo concretizzato per ragioni non esclusivamente di carattere economico: volevamo realizzarlo utilizzando musica tutelata Siae, elemento evocativo necessario per il racconto”. Si è pensato, allora, al crowfunding: “Se metti sul mercato un prodotto vincente, convinci i fruitori della bontà dell’idea. Il mondo del podcast richiede serietà: non si può mentire, dopo i primi 20’ se non acchiappa si passa ad altro”. Un successo, quindi, che non include i branded content: “Bisogna fare attenzione che il contenuto non venga corrotto dalle aziende. Quelle che non lo hanno fatto sono andate avanti rispetto a lavori meramente pubblicitari, ce lo dice la case history. Prossimamente vorremmo raccontare la moda con focus sul carattere storico e di costume. Un narrowcasting con una platea più risicata rispetto alla radio o alla tv, ma comunque larga”.

La Rai punta alla leadership

La sala A di Rai Radio2

Diventare player di riferimento del mercato digital anche nel segmento audio: ecco l’obiettivo della piattaforma RaiPlay Sound, zeppa di contenuti per l’ascolto offline, in aggiunta al live streaming e l’on demand di tutte le trasmissioni dei canali radio di Viale Mazzini all’insegna della crossmedialità. Il progetto del servizio pubblico, come ammette il direttore di Rai Radio Roberto Sergio, è nato “con l’esigenza di creare qualcosa di totalmente nuovo che avesse, nel Dna, la radio e podcasting originali. In questo modo completiamo il processo di rinnovamento con un cambio di passo in senso all digital. Oggi le nostre sedi sono all’avanguardia nel settore della produzione audio digitale e possono ospitare idee ambiziose”.

Si è partiti con i podcast di Renzo Arbore e Walter Veltroni (che ripercorre la storia della radio). Da lì in poi “tutta la nostra offerta avrà un luogo dedicato principale su cui punteremo in termini di fidelizzazione e traffico. Potremo anche stringere partnership con altre piattaforme per amplificare la portata dei contenuti”, prosegue Sergio. “Anzi, è nostro obiettivo creare velocemente le condizioni per interagire con i maggiori player, facendoci sempre guidare da due filoni principali: spin-off e proposte originali del mondo radiofonico da un lato, e prodotti con talent di altri mezzi e canali dall’altro. La volontà è offrirli solidi, di altissima qualità, ma al tempo stesso rodati con verticalizzazioni su target e generi”.

Secondo il direttore di Rai Radio “molte persone tendono a ricercare format o a farsi guidare da ascolti suggeriti, gestiti da algoritmi che lavorano secondo il notissimo meccanismo del ‘potrebbe piacerti anche’. Per le persone si tratta di avere contenuti profilati e sempre disponibili. Una piccola grande rivoluzione che, credo, sia stata sottovalutata da tutte le radio italiane, ancora troppo attente a difendere gli ascolti in Fm. Non sono per nulla preoccupato dell’appealing delle nostre offerte. Piuttosto, mi preme andare a incrociare il maggior numero di persone possibile: siamo un’azienda di comunicazione, confido nella massima diffusione, ma ci vorrà senz’altro del tempo per raggiungere il nostro obiettivo, la leadership”.

Va dritto al punto, Sergio, che sottolinea quanto desideri “dare a ciascuno ciò che cerca. Abbiamo un portafoglio di possibilità molto vasto: i colleghi di Radio 1 sono fortissimi nel confezionamento di informazione, approfondimento e sport. Radio 2 propone intrattenimento e leggerezza, Radio 3 è una factory culturale unica. Nella produzione di contenuti verticali, l’esperienza dei canali specializzati è un patrimonio che non possiamo non sfruttare. Abbiamo conoscenze e professionalità per realizzare prodotti originali declinati per generi e contenuti: il mondo dei bambini, la storia, le nuove tendenze della musica, l’enogastronomia… Aver investito sulla specializzazione è un valore aggiunto. Per questo, se volessimo cercare un fil rouge in un panorama così frastagliato, questo potrebbe essere l’inclusività e il rispetto per le diversità”.





[Fonte Wired.it]