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mercoledì, Mag 20

Finita l’epidemia di coronavirus, dovremo preoccuparci del bioterrorismo?



Da Wired.it :

Non è una cosa nuova, diciamo: nel lontano 2001, poco dopo gli attentati alle Torri Gemelle a New York, sugli Stati Uniti si imbatteva lo spettro del terrorismo batteriologico. Lettere contenenti spore secche di bacillus anthracis venivano inviate a politici, redazioni tv e giornali. Chi le apriva rischiava di ammalarsi molto seriamente: l’antrace (detta anche carbonchio) può infettare sia a livello cutaneo che polmonare e nel secondo caso il pericolo di morire è piuttosto alto. Persero la vita in cinque, i contagiati registrati furono ventidue. Ma il dato più importante non fu il numero delle vittime, ma le indagini: l’Fbi impiegò ben otto anni a chiuderle, tra malintesi, confusioni dovute ai tipi di colture che venivano dai vari laboratori che trattavano il batterio negli Stati Uniti ed errori di valutazione. Tra mille dubbi venne arrestato un microbiologo, Bruce Ivins, ma come ricostruì Wired, le prove erano scarse e traballanti. Il fatto più importante fu che gli attacchi batteriologici misero a nudo la grande vulnerabilità della popolazione e, cosa ancora più importante, le difficoltà delle istituzioni nel trovare i responsabili.

Il nuovo coronavirus, oggi

Sono passati quasi vent’anni da quelle lettere spedite negli Usa con dentro una polvere marrone potenzialmente mortale, e se quelle avevano mostrato una vulnerabilità, la pandemia odierna ha allargato il cerchio. Oggi, con oltre 4,5 milioni di contagiati dal nuovo coronavirus, giocoforza sono diventate di dominio pubblico informazioni sul numero di posti in terapia intensiva e la capacità di tracciamento di un’infezione di quasi tutti i paesi del mondo. Sono dati utili agli stati che dovranno prepararsi alle epidemie future, o al ritorno della Covid-19 in autunno, ma anche a organizzazioni terroristiche e gruppi di potere sufficientemente preparati da tentare attacchi con queste modalità. Il bioterrorismo, insomma, dopo la diffusione del nuovo coronavirus, è più probabile che in passato.

Le prospettive politiche dell’evento che stiamo vivendo sarebbero di dimensioni storiche. Secondo un esperto di strategia politica come Walter Russell Mead, che ne ha scritto sul Wall Street Journal, “il ventesimo secolo è stato quello della fisica, dove gli scienziati hanno imparato la fissione atomica, e creato in questo modo armi così potenti da distruggere intere civiltà”. Ma ora la prospettiva è cambiata, continua Mead, perché: “Il ventunesimo secolo sembra essere l’era della biologia, dove la capacità di sguinzagliare verso il nemico malattie frutto dell’ingegneria genetica darà ad alcune nazioni enormi vantaggi”.

Sappiamo che l’ingegneria genetica stava facendo, già prima dell’attuale pandemia, passi da gigante: con effetti anzitutto positivi, come le possibilità crescenti di curare alcuni tipi di malattie e di prevenirle. Il rovescio della medaglia, però, è che questa stessa capacità umana potrebbe essere utilizzata per scopi bellici. Cosa succederebbe, si chiede Mead, se una nazione sviluppasse qualcosa come il nuovo coronavirus e al contempo il vaccino? Senza difficoltà potrebbe mettere in circolo il virus, per poi godere di un enorme potere nel decidere come, a quali condizioni e quali costi, distribuire le informazioni sulla cura necessaria. E, verrebbe da aggiungere, cosa succederebbe se a raggiungere capacità simili fosse un’organizzazione terroristica? I vantaggi sarebbero evidenti: diffondere un virus è più semplice che sferrare un attacco bellico tradizionale, e i laboratori per produrre e modificare un virus sono più semplici da nascondere rispetto agli impianti industriali in cui sviluppare e produrre armamenti come la bomba atomica. Gli effetti, poi, sono sotto gli occhi di tutti: migliaia di morti e sistemi sanitari al collasso, ma non solo, anche economia in ginocchio e lockdown obbligatori. Il tutto coperto dall’enorme difficoltà di rintracciare le cause iniziali del contagio, che a oggi rimangono ignote nonostante trecentomila morti.

Usare le malattie come armi non è un fatto nuovo di per sé: nel periodo della seconda guerra mondiale, per esempio, si fece molta ricerca sul possibile utilizzo di armi batteriologiche, e non si trattò solo di sperimentazioni: nel 1940, durante la seconda guerra sino-giapponese, il Giappone attaccò la città di Ningbo, nello Zhejiang, facendo cadere al suolo grano, cotone e sabbia infetti da almeno sei diversi tipi di peste bubbonica. Ci furono centinaia di morti. E di esempi ce ne sono molti altri. Oggi, però, la differenza è che l’ingegneria genetica, la globalizzazione e il funzionamento dei trasporti e delle supply chain rendono la nostra società enormemente più esposta a questo tipo di attacchi.

Corea del Nord, Cina, Iran, Usa, Russia e Isis

Se pensiamo a casi recenti di uso di armi chimiche vengono in mente due episodi piuttosto eclatanti, l’omicidio del fratellastro di Kim Jong-un in Malesia, con un gas nervino, e il tentato omicidio di Sergei Skripal e sua figlia Yulia da parte di agenti russi, a Salisbury, nel Regno Unito, operato con delle dosi di A-234, un agente nervino noto come Novichok. Certo, in questi casi non si tratta di virus o batteri, ma è la dimostrazione che la ricerca sulle armi chimiche, di cui fanno parte anche quelle batteriologiche, non si è mai fermata. Sentiamo parlare di minacce tra potenze sul chi avrebbe il bottone nucleare più grande, ma delle ricerche sulle armi chimiche sappiamo molto poco. I disertori nordcoreani, però, affermano che le armi batteriologiche non solo si studiano, ma oltre alle spore si analizzano e sperimentano i possibili antidoti. Stando alle fonti del New York Times in Corea del Nord ci si concentrerebbe su forme potenziate di vaiolo, malaria e tubercolosi, cioè i morbi più mimetici, quelli più difficili da tracciare nella loro diffusione.

L’accusa mossa da Trump verso la Cina, per cui il nuovo coronavirus sarebbe sfuggito da un laboratorio della città di Wuhan, non ha il supporto delle prove, e appare piuttosto come una mossa propagandistica ed elettorale,in vista delle elezioni presidenziali del prossimo novembre. Ma alcune informazioni fondate sulle due superpotenze questo nuovo virus le ha esposte: la Cina ha un formidabile apparato di contenimento delle infezioni, con tutta probabilità derivante anche dall’esperienza del 2002 della Sars (dall’inglese Severe Acute Respiratory Syndrome). Mentre gli Stati Uniti per problemi organizzativi e politici sono, forse, i meno preparati al mondo a gestire un’epidemia su questa scala.

Oltre a Usa, Cina e Corea del Nord però c’è la Russia, dove gli istituti del Biopreparat (l’agenzia sovietica per le armi chimiche nata negli anni Settanta) che erano stati depotenziati e parzialmente smantellati dall’amministrazione Eltsin, oggi stando a quanto scrivono Raymond Zilinskas e Philippe Mauger nel loro Biosecurity in Putin’s Russia sono stati nuovamente potenziati e finanziati dal governo di Putin.

Veniamo ai terroristi. Durante l’ascesa del potere dell’Isis nei territori di Siria e Iraq i miliziani fedeli ad al-Baghdadi conquistarono anche ospedali e vennero in possesso di centri di ricerca medica, ma senza riuscire a trarne vantaggio in termini bellici. Sin dal 2001 alcune organizzazioni jihadiste, soprattutto al-Qaeda, hanno tentato di mettere le mani su virus e batteri, ma con risultati che, la Commissione Europea ha definitotecnicamente primitivi”. Ma non ci possiamo permettere sospiri di sollievo: nonostante la mancanza di capacità tecniche oggi bisogna pensare che anche un attacco rudimentale e privo di pericoli su larga scala sarebbe sufficiente a scatenare il panico. E il panico ha, lo abbiamo visto, enormi conseguenze.

E poi c’è il terrorismo della cosiddetta estrema destra, i suprematisti bianchi razzisti. Sono gruppi di potere che possono godere di supporto e finanziamenti ma soprattutto possono sfruttare le debolezze delle minoranze che odiano: le comunità afroamericane negli Usa, per esempio, con l’attuale pandemia stanno dimostrano la loro fragilità fatta di mancanza di aiuti e di assistenze sanitarie carenti. Lo stesso vale in tutto il mondo per comunità ghettizzate, nomadi o particolarmente povere e prive di strutture.

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[Fonte Wired.it]