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mercoledì, Apr 21

Flop Superlega, il vero calcio ha l’anima di Robin Hood non di Paperone



Da Wired.it :

Segnare goal ai club ricchi per vedere i poveri svettare in classifica. La Super League ha fallito prima di tutto sul piano della narrazione mediatica, lontana – opposta? – alla poesia dello sport

Ora dopo ora, a colpi di breaking news e dichiarazioni ufficiali, sta crollando davanti ai nostri occhi l’idea della SuperLega Europea calcistica lanciata solo due giorni fa. Le squadre inglesi si stanno sfilando dal progetto e anche le altre danno i primi segnali di ripensamento. Si tratta forse del più grande e rapido flop nel mondo del calcio e del business dello sportAl di là del fatto che il fallimento della Superlega non va ad eliminare i problemi di bilancio in cui versano i singoli club e nemmeno certe storture in capo alla Uefa, è piuttosto evidente che la modalità in cui è stata presentata, raccontata e organizzata è stato un enorme errore di presunzione e di distacco dalla realtà da parte dei promotori.

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Di fatto i presidenti dei big club e i loro manager hanno ritenuto sufficiente decidere tutto dentro le loro sale riunioni e le videoconferenze su Zoom, senza coinvolgere squadra, allenatori, giocatori, considerando i tifosi come una loro proprietà e il pubblico come un asset da mettere a bilancio. Hanno messo quindi in prima linea il proprio business dimenticando che il calcio è diventato un fenomeno globale ed economicamente redditizio proprio perché di fatto si tratta di un caso prima di tutto sociale e culturale. Sono mancate quindi coinvolgimento ed empatia, due parole chiave che oggi come mai prima coinvolgono anche il mondo del marketing e del business.

C’è da dire che questo rapido deragliamento dell’operazione è stato anche fortemente voluto dal primo ministro inglese Boris Johnson, generalmente poco appassionato di calcio, ma avendo subodorato il malcontento generale di un’operazione manovrata dall’alto, ha capito che poteva cavalcarlo perché ne traesse vantaggio la propria reputazione agli occhi degli inglesi e della comunità internazionale. I motivi intrinsechi che stavano dietro alla decisione della Superlega erano piuttosto chiari da un punto di vista di marketing e comunicazione: concentrazione dello spettacolo, aumento dell’audience, creare un prodotto premium di intrattenimento per paesi come India, Stati Uniti ed Estremo Oriente, e con questo attirare sponsor e inserzionisti di ogni tipo.

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(Foto: pixabay)

Tuttavia quest’ultima cosa non era così scontata, anzi. Da qualche anno ormai le aziende e i brand non hanno come obiettivo principale la visibilità, bensì sono alla ricerca di engagement ed empatia che solo i valori sportivi riescono a dare. I primi boicottaggi che sono arrivati dai fans nelle prime ore dopo l’annuncio e il livello di tossicità che rapidamente si era creato, avrebbe messo in serio pericolo la reputazione di aziende e brand coinvolte nel progetto. L’impatto commerciale di qualsiasi nuovo torneo sportivo, campionato o evento deve essere sempre guidato dalla qualità del prodotto, dalle dimensioni dell’audience che può raggiungere ma anche dal sentiment dei fan che ci sta dietro di esso. Se non concorrono tutti e tre questi elementi, un brand non ha convenienza ad associarsi ad un evento.

A proposito, poi ci sarebbe da parlare del senso letterale della parola “evento” ovvero un’occasione rara e, per questo, imperdibile, che ben poco si abbina alla ripetizione settimanale di match come Juventus – Real Madrid o Manchester City – Inter. Il rischio normalizzazione, svalutazione e stanchezza è sempre dietro l’angolo. Per il pubblico e per gli sponsor. Tutto questo lo ha capito bene Amazon, una dei papabili media partner della Superlega, che sta facendo una politica molto aggressiva nell’acquisto dei diritti sportivi ma, vista la mala parata, è stata la prima a tirarsi fuori, prima ancora dell’abbandono del Manchester City.

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[Fonte Wired.it]