Seleziona una pagina
mercoledì, Set 08

Freaks Out è il perfetto blockbuster fantastico all’italiana



Da Wired.it :

Il team di Lo chiamavano Jeeg Robot è tornato con un film 10 volte più grande e ugualmente eccezionale

Quella cosa impossibile che è cambiare il cinema italiano Gabriele Mainetti e Nicola Guaglianone l’hanno fatta. Di nuovo!
Freaks Out è il primo vero blockbuster fantastico della storia del cinema italiano. Un colossal che moltiplica per 10 tutto quello che di buono aveva fatto vedere Lo chiamavano Jeeg Robot, aumentando i personaggi, la portata della storia, lo scenario e i fronti dell’intreccio. Quella era una storia intima di piccoli uomini di borgata cui accade una cosa stranissima, questa è una storia incastrata nella Grande Storia italiana (la più pesante e ingombrante di tutte per il nostro cinema: quella della liberazione), ma il tono, l’umorismo, la precisione nella regia e la perizia di scrittura, capace di dare un’anima umana e complessa a tutti i personaggi, è la medesima.

Ci sono 4 circensi che usano dei poteri paranormali semplici per i loro spettacoli. Uno è magnetico, cioè attira i metalli, uno è un uomo peloso e forzuto, uno controlla gli insetti e l’ultima dà scosse elettriche al solo contatto, quindi accende lampadine mettendole in bocca. Un bombardamento li lascia senza lavoro, nel tentativo di scappare da Roma perdono l’impresario che gli fa da padre. La scelta è tra cercarlo (ma dove?) o mettersi al servizio del circo nazista gestito da un gerarca che, tra i fumi della droga, cerca proprio loro senza sapere che sono loro per un piano più grande.

Freaks Out è un grande film fantastico degli anni ‘80 fatto oggi, che intrattiene tantissimo con risate, dolcezza, sesso, sangue, paura ed esaltazione. Mescola tutto quello che i film sono capaci di realizzare in modo che ogni componente stemperi l’altra, in modo che la paura stemperi la commedia, il sesso stemperi la violenza e si raggiunga un equilibrio stranamente naturale. Come la vita vera. Merito soprattutto della scrittura dei 4 protagonisti e di come sono recitati. Pietro Castellitto, Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo e Giancarlo Martini hanno una grandissima chimica che dà ai loro dialoghi incrociati forza e ritmo, hanno personalità chiare e stratificate (le note di dignità che Santamaria dà al suo personaggio sempre preso in giro sono la ciliegina sulla torta) che comprendiamo con il tempo e soprattutto sono pieni di difetti. Sono come i giocattoli di Toy Story, una banda con un carattere terribile, suscettibili e irosi,  bastardi e difficili da gestire, ma alla fine (proprio come i giocattoli della serie Pixar) così divertenti, particolari e bisognosi di contatto umano da essere irresistibili.

Dentro questo film batte la medesima idea di mondo e genere di Lo chiamavano Jeeg Robot: eroi non si nasce ma si diventa, ci vuole una vita con le sue difficoltà per maturare l’eroismo. La parabola stessa del film è curiosamente quasi quella di un prequel: la creazione di una testa da eroe (i poteri già li hanno) mentre i personaggi cercano figure paterne di riferimento a cui aggrapparsi, da amare e poi, alla fine, abbandonare. Eppure nonostante tutti questi elementi, e in più una grande idea per il cattivo del film oltre ad una versione dei partigiani (arriveranno anche loro) mutilati, duri e capitanati da un Max Mazzotta eccezionale, Freaks Out non fa mai sentire la sua durata e non c’è mai nemmeno una scena in cui dimentichi che l’importante è sempre divertirsi, anche nei momenti più duri, anche in quelli più efferati, anche in quelli drammatici. Perché il godimento non gli leva forza, anzi li accresce.

Anche per questo motivo il secondo film di Gabriele Mainetti sembra il suo decimo. Gestisce benissimo una macchina estremamente complicata con tanti personaggi coinvolti (come in Jeeg anche qui il villain ha problemi non da poco e guadagna centralità tanto quanto i protagonisti), una resa visiva sofisticata e la rara capacità di rendere sullo schermo le immagini di stupefacente sintesi della sceneggiatura con grande chiarezza (un esempio sui tanti presenti: il saluto nazista fatto davanti allo specchio che finisce per far schizzare del sangue mentre riflesso vediamo un quadro di Hitler esprime una visione di mondo in un paio di secondi). Ma soprattutto ribadisce un’idea di spettatore altissima, non qualcuno da imboccare e rassicurare, ma qualcuno con cui divertirsi, a cui poter far vedere di tutto (anche solo per un paio secondi), sapendo che lo capirà e saprà goderne. Questo film così americano nell’impianto ma così incredibilmente italiano nello svolgimento, convenzionale da fuori e poi tutto strano dentro, poteva facilmente essere giocato in difesa, sul sicuro (visti i soldi spesi), facendo avvenire tutto quello che si può prevedere come lo si prevede e come lo fanno gli americani, invece non ha nessuna paura di correre in attacco raccontando una storia a modo suo, piena di storture e anfratti fuori dal comune in cui si trova e ci fa trovare perfettamente a nostro agio.

Nel 2015 Lo chiamavano Jeeg Robot ha aperto una porta e ora nel 2021 Freaks Out la chiude, portando a termine una fase di mutazione interna al cinema italiano e rendendo possibile qualcosa che prima tutti pensavano impossibile. Prima di Lo chiamavano Jeeg Robot nessuno (soprattutto tra i produttori) riteneva possibile che il cinema italiano potesse fare oggi cinema fantastico e spettacolare con la stessa originalità con la quale ha sempre fatto quello drammatico o le commedie; dopo Freaks Out è evidente che esiste una via italiana al blockbuster che non implica una qualità inferiore rispetto ai grandi film internazionali (nonostante i budget inferiori lo siano e come!). Quando questo film, ora presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, uscirà in sala (il 28 Ottobre), gli spettatori potranno apprezzarlo o meno, ma nessuno potrà più dubitare che il cinema italiano sia in grado di lavorare a questi livelli di spettacolarità senza perdere l’anima.





[Fonte Wired.it]