Il primo magnete che formerà il ‘cuore’ tecnologico di Divertor Tokamak Test (Dtt) è pronto ed è stato presentato oggi a La Spezia, presso la sede di ASG Superconductors. Ne servono altri 17, ma va comunque celebrato, perché rappresenta la prima pietra della prima macchina per la fusione nucleare 100% italiana che sarà costruita presso il centro di ricerche Enea di Frascati. Una volta pronta dovrà “dimostrare di poter costruire degli oggetti che sopravvivono sulla superficie del Sole”. È nata esattamente per questo scopo, non è una semplificazione giornalistica, è letteralmente il modo in cui lo stesso presidente di Dtt Scarl, Francesco Romanelli, descrivere l’esperimento che a cui si sta preparando il nostro Paese e di cui oggi a La Spezia si celebra una tappa. A Wired Italia questa sintesi non è bastata e lo ha intervistato per brindare allo step compiuto con consapevolezza, oltre che con un generalizzato orgoglio nazionale “made in Italy”.
Sfida ad alte temperature
La mission di costruire degli elementi di impianto di fusione resistenti a flussi di calore elevati deriva dalla necessità di identificare soluzioni innovative affidabili per estrarre il calore generato nel processo di fusione nucleare. “Per Iter ne esiste già una ma non è detto che possa essere utilizzata anche in futuro perché le densità di energia in gioco aumenteranno – spiega infatti Romanelli – con Dtt sperimenteremo nuove configurazioni magnetiche e altri materiali più avanzati, per ridurre gli stress termici dei componenti coinvolti in questa situazione critica”.
Ci si porta avanti, e lo si fa perché proprio l’estrazione del calore è uno dei passaggi più sfidanti dell’intero processo, ma è fondamentalmente per ottenere energia da fusione nucleare su scala industriale. L’operazione vede al centro il plasma ottenuto portando ad alte temperature un gas di isotopi di idrogeno: è da questo materiale che va concretamente estratto il calore dopo averlo confinato nel tokamak e poi spinto nel divertore. “In questa nicchia della camera di reazione, il plasma forma uno strato molto stretto e la sua temperatura è talmente elevato che il carico termico (la potenza per unità di superficie) è di decine di megawatt al metro quadro – spiega Romanelli – siamo molto vicini ai valori che si misurerebbero sulla superficie del Sole. È necessario pensare a componenti della macchina per la fusione che le reggano, e a lungo”.
Verso il 2030, pezzo per pezzo
Di fronte alla enorme sfida che aspetta Dtt, il magnete che oggi si ha di fronte a La Spezia rischia di scomparire nonostante la sua altezza di oltre 4 metri. È in fondo “solo” un pezzo di quella ciambella chiamata tokamak che accoglie il plasma prima che raggiunga il divertore, perché festeggiarlo?
Perché è frutto di una catena di produzione tutta italiana, “a parte il filo superconduttore acquisito all’estero in mancanza di industrie nazionali che lo fabbricano – precisa Romanelli – È quindi la prova tangibile della presenza di un ecosistema industriale completo e molto forte in questo settore”. E perché, anche per realizzare “solo” questo pezzo, le sfide non sono mancate. Sono complesse anche solo da descrivere, ma non serve capirne i dettagli per coglierne l’importanza. Basta ascoltare Romanelli che le elenca: “lo stesso filo superconduttore rappresenta una sfida a sé, perché stiamo testando quello usato in Iter in niobio e stagno ma con una corrente doppia. Intrecciando poi questo filo con uno in rame rispettando un preciso passo, si crea poi una corda e la si inserisce in una guaina di acciaio, per ottenere una matassa. A questo punto, la si disfa e la si riavvolge in una forma a ‘D’, esattamente come quella del magnete che oggi inauguriamo” spiega il direttore di Dtt. Fosse per lui, proseguirebbe con altri dettagli sempre più tecnici sui trattamenti termici per ottenere proprietà di semiconduttore e sulle procedure per mettere in sicurezza quanto realizzato, ma non servono altre prove per convincersi che ciò che sta prendendo forma è potente ma fragile, sensibile ad ogni minima variazione di temperatura e posizione. Ogni pezzo aggiunto, quindi, non è solo un pezzo in più, è un successo a sé e fondamentale per arrivare a produrre energia nucleare da fusione in Italia.