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martedì, Feb 21

Fusione nucleare: la ricerca giapponese aiuterà ITER, ma solo se riuscirà a proseguire

da Hardware Upgrade :

Di tutte le Nazioni del mondo, il Giappone è quella che può “vantare” il rapporto più stretto col nucleare.

Un primissimo contatto tragico, traumatico, che si protrae da 78 anni, lasciando strascichi sulle nuove generazioni e arrivando quasi a schiacciare ogni tentativo di ricerca locale, avvenne nell’estate 1945, quando l’Europa era finalmente in pace, mentre Giappone e Stati Uniti sembrava non avessero ancora cessato le ostilità.

Senza addentrarci troppo in un campo – minato – come quello della storia contemporanea e restando entro i confini di quanto è accaduto, il 6 Agosto del 1945 venne sganciata la seconda bomba atomica mai vista dal genere umano sulla città di Hiroshima, Little Boy, e il 9 Agosto la terza su Nagasaki, Fat Man.

Gli ordigni nucleari usati nella WWII non sono i primi fatti brillare sul nostro Pianeta: la prima bomba atomica mai usata in assoluto fu impiegata in alcuni test da parte dell’esercito americano, in un contesto “civile” e di ricerca, non bellico, e si trattò della bomba al plutonio The Gadget, fatta esplodere nel test Trinity il 16 luglio 1945 al poligono di Alamogordo, nel Nuovo Messico.

Little Boy era all’uranio, mentre Fat Man aveva a sua volta un nucleo in plutonio.

Ma qual è il filo conduttore che lega questi eventi accaduti quasi un secolo fa (mancano solo 22 anni) con l’attuale Giappone?

Il ricordo di quanto accaduto, che ha limitato profondamente, e in parte lo sta ancora facendo, la ricerca giapponese nella fusione nucleare, al punto che, de facto, i progressi che fino ad oggi la nazione insulare ha compiuto sono legati alla sua partecipazione nel programma ITER (di cui abbiamo parlato approfonditamente in questo articolo).

Lo scorso Settembre, in occasione di un panel governativo sulla strategia giapponese per la fusione nucleare, membri sia del mondo accademico che dell’industria del settore, hanno affermato che la ricerca sulla fusione è entrata in una fase critica in cui “la cooperazione internazionale sta cedendo il passo alla concorrenza.”.

Molti hanno condiviso l’opinione che il Giappone, la cui ricerca sulla fusione nucleare risale agli anni ’50 e che finora ha mantenuto un vantaggio tecnologico grazie al suo contributo a ITER, debba adattarsi ai cambiamenti in atto sul campo, o rischiare di rimanere indietro.

“Dobbiamo accelerare la ricerca e lo sviluppo, tenendo presenti le tendenze internazionali”, ha dichiarato Yoshitaka Ikeda, un funzionario di alto rango del QST [National Institutes for Quantum Science and Technology], alla riunione convocata dall’Ufficio di Gabinetto, che mira a compilare la strategia del Giappone sulla fusione nucleare questa primavera. “Dobbiamo lavorare per raggiungere la generazione di energia da fusione prima della metà del secolo, ovvero l’attuale dead-line”.

Da qui il problema: negli ultimi decenni sono stati i privati gli attori principali della ricerca sulla fusione nucleare.

Alla ricerca di maggiore libertà e finanziamenti per perseguire i propri interessi accademici e opportunità per commercializzarli, gli scienziati che hanno lavorato presso istituti statali e università nazionali in Giappone hanno fondato startup di fusione nucleare.

Una di queste, la Kyoto Fusioneering, è nata nel 2019 come spinoff dell’Università di Kyoto dall’ingegnere di fusione Satoshi Konishi e Taka Nagao, entrambi ex studenti dell’Istituto universitario giapponese.

L’azienda è specializzata nella fornitura di attrezzature ad alta tecnologia a supporto dei reattori, come il sistema a mantello e i deviatori, che assorbono il calore e le ceneri della reazione di fusione.

Nel 2021, Kyoto Fusioneering è stata selezionata dall’UKAEA come partner di progettazione ingegneristica per il progetto britannico STEP (Spherical Tokamak for Energy Production), di cui abbiamo parlato recentemente qui.

Nagao afferma che la ricerca sulla fusione sta attraversando ciò che la ricerca spaziale ha attraversato negli anni 2000, quando la NASA si rese conto che poteva rivolgersi al settore privato per sviluppare le tecnologie di cui necessitava invece di contare interamente sui suoi soli mezzi.

“La NASA ha cambiato la sua politica intorno al 2000, rendendosi conto che il settore privato è più bravo a guidare le innovazioni, assumersi rischi e tagliare i costi”, ha affermato Nagao. “Ha deciso di smettere di considerarsi una delle principali organizzazioni di ricerca e sviluppo e si è invece posizionata come un’organizzazione di supporto per l’ecosistema dell’industria spaziale, contribuendo a creare un mercato.

Un caso molto particolare è quello del governo britannico che, per permettere la realizzazionde del progetto STEP che prevede la costruzione di un prototipo di tokamak sferico, ha costituito una società ibrida, in parte privata e in parte pubblica.

Il crescente ruolo del settore privato si sta sviluppando anche negli Stati Uniti e la start up di Konishi e Nagao ha recentemente annunciato di aver creato una filiale statunitense per espandere le operazioni negli USA, e di aver aperto le assunzioni per aggiungere più ingegneri all’attuale staff, che conta 70 membri .

Helical Fusion, un’altra società nata in tempi recenti (fondata a Tokyo nel 2021) e composta principalmente da ex ingegneri del NIFS (National Institute for Fusion Science, nella città di Toki, prefettura di Gifu) ha a sua volta aperto una filiale negli Stati Uniti, lo scorso autunno.

Il suo obiettivo è creare il primo reattore a fusione stazionario su piccola scala utilizzando il metodo elicoidale entro il 2034.

Takaya Taguchi, co-fondatore e presidente responsabile della start up, non ha fatto mistero di ritenere il suo staff ingegneristico talmente preparato sulle tecnologie di fusione complessive da poter intraprendere da soli la progettazione del reattore, considerata la parte più impegnativa della costruzione di un impianto di fusione.

Con i giusti finanziamenti.

“Il governo degli Stati Uniti utilizza il settore privato in modo più aggressivo, quindi ci sono più opportunità lì”, ha affermato. “La dimensione dell’investimento è chiaramente diversa, ci sono due cifre di differenza tra Stati Uniti e Giappone. Quindi è importante avere una base lì e anche raccogliere capitali”.

Come si sta muovendo, invece, la ricerca nipponica in patria?

Il governo giapponese ha speso decine di miliardi di yen all’anno nella ricerca sulla fusione, ma la sua attenzione si è concentrata in gran parte su ITER, NIFS e soprattutto sullo sviluppo di JT-60SA.

Nucleare Giappone

Si tratta di un Tokamak superconduttore di raggio maggiore di circa 3 m, il più grande mai costruito prima di ITER, in grado di confinare plasma di deuterio con una corrente massima di 5.5 MA.

Nucleare Giappone

A contare non sono solo le dimensioni gargantuesche di JT-60SA ma anche come lo si potrà usare.

Nucleare Giappone

L’accoppiamento con il plasma di 41 MW di potenza di riscaldamento con iniettori di neutri ed antenne a microonde alla ciclotronica elettronica permetterà di operare con alte densità di plasma e significativi valori di flusso di potenza sul divertore.

Nucleare Giappone

Il Tokamak JT-60SA sarà installato a Naka nella Torus Hall che attualmente ospita il Tokamak JT-60U. L’isolamento termico sarà assicurato, sotto vuoto, da un criostato metallico.

Nucleare Giappone

La macchina JT-60SA è stata progettata per raggiungere scenari di funzionamento quasi stazionari con impulsi della durata di circa 100 secondi che richiedono l’impiego di magneti superconduttori.

Il JT-60SA fornirà i dati necessari per far funzionare ITER, che è il doppio delle sue dimensioni.

Per conoscere meglio JT-60SA potete visitare la pagina a lui dedicata sul sito dell’ENEA, a questo link.

Gli investimenti del settore privato invece sono stati lenti e limitati, in netto contrasto con quanto sta avvenendo all’estero, come detto poco sopra.

Per invertire la rotta e stare al passo con altri paesi, il Giappone si trova anche a dover affrontare – apertamente – questioni di natura pacifista, che, nemmeno troppo velatamente, sono il testimone di quanto è accaduto sull’isola 78 anni fa.

Al momento, ci sono tre strade per raggiungere la fusione:

    • l’utilizzo di campi magnetici dentro un tokamak – come nel caso del progetto ITER;
    • l’utilizzo di campi magnetici dentro di bobine elicoidali, come nella sperimentazione del NIFS che nel proprio dispositivo sperimentale, sfrutta una coppia di bobine per intrappolare il plasma al loro interno.
    • l’utilizzo di laser sparati da varie direzioni verso il centro di una sfera contenente idroeno di pochi millimetri di diametro, in modo da aumentarne vertiginosamente temperatura e pressione per generare plasma. È il caso dell’esperimento del Lawrence Livermore National Laboratory, di cui abbiamo parlato in questo articolo.

Nucleare Giappone

A diversificare i tre approcci non sono solo le tecnologie usate.

Ex-Fusion, a sua volta una start up nata negli ultimi anni, precisamente nel 2021, come spin-off dell’Università di Osaka, pur essendo specializzata nel controllo dei laser, ne riconosce la duplice natura, e quindi le intrinseche insidie.

“I laser sono tecnologie ampiamente applicabili, quindi possiamo commercializzarli in vari luoghi”, ha spiegato Kazuki Matsuo, CEO dell’azienda, osservando anche come la ricerca in corso a livello globale ne contempli l’uso per la terapia del cancro, la rimozione dei detriti spaziali, nonché per deviare il percorso dei fulmini.

Nucleare Giappone

Ma Matsuo, lui stesso uno scienziato che si occupa di laser, riconosce anche come, a differenza degli altri due metodi di fusione che per loro natura non possono essere usati in nessun altro modo se non per la produzione di energia, questi ultimi possano essere usati per la difesa/offesa militare, ad esempio per abbattere oggetti volanti come i droni.

L’azienda ha quindi puntato il dito verso l’elefante nella stanza, affermando senza mezzi termini che è tempo che il Giappone discuta seriamente di come intende utilizzarli, in relazione alla difesa o meno.

Se per scopi unicamente civili o anche bellici, come fu nel ’45 la bomba atomica.

Nucleare Giappone

“Il Giappone è un caso unico al mondo, in quanto ha perseguito la ricerca accademica sui laser senza coinvolgere alcun finanziamento per la difesa”, ha commentato Matsuo. “L’Università di Osaka studia la fusione tramte laser da 50 anni. Non esiste un’istituzione del genere in nessuna parte del globo”.

La questione etica, secondo alcuni scienziati, non è più rimandabile e sarebbe anche il maggior freno nella promozione della fusione in Giappone, colpito da una profonda mancanza di conoscenza o comprensione della materia da parte del grande pubblico.

Uno studio del 2020 dell’Università di Kyoto sulla consapevolezza pubblica e le associazioni mentali con la frase “fusione nucleare” in Giappone ha mostrato che solo il 40% delle 1.000 persone intervistate online ne aveva sentito parlare e che l’86% degli intervistati non sapeva che la fusione nucleare e l’energia nucleare fossero due cose diverse.

L’indagine ha messo in luce come molte persone andassero sulla difensiva al semplice sentire la parola “nucleare”“kaku” in giapponese – con il 60,7% degli intervistati che l’associava a qualcosa di pericoloso, indipendentemente dal contesto.

Il 41,9% ha affermato che li rendeva “ansiosi” e il 24,4% di “non potersi fidare”.

Solo il 5,9% è risulato essere abbastanza informato in materia da sapere che – per progettazione – la fusione non può portare in nessun modo a una reazione a catena incontrollabile.

Sebbene vi sia stato un graduale aumento del sostegno al nucleare derivante dalla crisi energetica causata dall’invasione russa in Ucraina, l’opinione pubblica rimane nettamente divisa sulla promozione del nucleare.

“Molte persone hanno suggerito di cambiare la parola per ‘fusione nucleare’ (‘kaku-yūgō’) in qualcosa di diverso e di rimuovere la parola ‘kaku'”, ha concluso lo studio. “Questo è un problema che non può essere evitato quando la fusione nucleare entrerà nella fase di implementazione nella società. La comunità scientifica coinvolta nel settore deve discuterne con prudenza”.

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