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mercoledì, Gen 25

Fusione nucleare nel Vecchio Continente, a che punto siamo

da Hardware Upgrade :

Due facce delle stesse medaglia: potremmo identificare così, con un’immagine evocativa, quello che Europa e Stati Uniti stanno facendo nel campo della ricerca verso la fusione nucleare, considerata – a torto o ragione – la soluzione allo spasmodico bisogno di energia (pulita) della moderna società umana.

Nel Dicembre 2022 i ricercatori della National Ignition Facility (NIF) dichiararono di aver prodotto una quantità di energia maggiore rispetto a quella immessa per innescare la stessa fusione nucleare.

Nucleare Europa e States

Precisamente, fecero esplodere un minuscolo cilindro – grande quanto la punta di una matita – che conteneva idrogeno congelato, innescando una reazione di fusione nucleare.

In meno di 100 picosecondi (ovvero 100 bilionesimi di secondo, ovvero 100 millesimi di miliardesimo di secondo) 2,05 megajoule di energia hanno bombardato la pallina di idrogeno, producendo un flusso di neutroni – il prodotto della fusione – da cui sono scaturiti 3,15 MJ di energia di fusione.

Nucleare Europa e States

Il guadagno di energia è stato di circa 1,5 MJ di energia di fusione inerziale (IFE).

Dall’altra parte dell’oceano, a Cadarache, nel centro di ricerca più grande d’Europa, tecnici e ingegneri hanno iniziato a montare i generatori di energia che alimenteranno l’impianto Electron Cyclotron Resonance Heating uno dei macchinari utilizzati nel progetto ITER sulla fusione nucleare.

Nucleare Europa e States

La macchina non è molto diversa da un forno a microonde: riducendo il discorso ai minimi termini potremmo dire che svolgerà una funzione analoga al piccolo elettrodomestico, e fornirà un’energia di 20 milioni di watt al plasma nella camera toroidale, collocata a oltre cento metri di distanza.

Nucleare Europa e States

La risonanza elettronica è uno dei tre sistemi di riscaldamento esterno che verranno utilizzati per portare il gas di fusione a 150 milioni di gradi nel tokamak, dove avverrà la fusione nucleare.

Nucleare Europa e States

Per attivare queste onde elettromagnetiche servono 24 girotroni, in arrivo da Giappone, Russia, Europa e India. Verranno posizionati nel Radio Frequency Building, un’imponente struttura (50x43x25 metri) su tre livelli.

Nucleare Europa e States

Nucleare Europa e States

ITER non è solo un programma di ricerca nel nucleare, ma anche il frutto di un accordo politico internazionale nato in piena Guerra Fredda (il periodo di massima tensione fra gli Stati Uniti e l’URSS, convenzionalmente compreso fra il 12 marzo 1947 e il 26 dicembre 1991), fra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov, siglato nella neutrale Ginevra nel 1985.

Le prime tecnologie utilizzate furono progettate negli Stati Uniti e nell’Unione sovietica: Lyman Spitze concepì lo stellarator all’università di Princeton nel 1951, mentre Natan Yavlinsky, dell’istituto Kurchatov dell’energia atomica, realizzò il primo tokamak nel 1958.

Successivamente, Unione Europea, Giappone, India, Cina e Corea del Sud aderirono al progetto, fino a riunire 3.500 ricercatori da 140 istituti di ricerca di 35 Paesi.

Ad oggi sono state individuate due strade per arrivare alla fusione: confinamento magnetico (all’ITER europeo) e confinamento inerziale (al NIF statunitense).

“Il Livermore ha già ottenuto un saldo positivo di energia da fusione che a Iter deve essere ancora raggiunto, ma Iter ha un obiettivo ancora più ambizioso perché invece del 150% vuole fare il 1000%, ovvero conseguire un guadagno di potenza a fattore 10, ottenendo 500 mW di potenza di fusione per diverse decine di secondi”, spiega Paola Batistoni, responsabile della sezione sviluppo di Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.

L’Enea coordina i 21 partner scientifici italiani presenti nel gruppo di ricerca Eurofusion, a cui aderiscono 26 stati dell’Unione Europea più Svizzera, Regno Unito e Ucraina.

Il consorzio, finanziato anche dalla Commissione Europea con una sovvenzione, ha condotto gli esperimenti del Joint European Torus, a Oxford, con risultati record.

A Febbraio 2022 il tokamak era riuscito a mantenere le condizioni di fusione a confinamento magnetico per cinque secondi, producendo 11 mW di potenza e 59 MJ di energia, una quantità di energia già molto superiore rispetto a quella generata dal Livermore.

“In California si è badato a ottenere un risultato scientifico, mentre Iter sarà un reattore sperimentale che oltre a conseguire un test scientifico servirà anche per definire la fattibilità tecnologica, superando la dimensione del laboratorio…”– ha spiegato Batistoni – “… ITER non sarà solo un tokamak, una camera toroidale a forma di ciambella con spire magnetiche come le macchine sperimentali fin qui utilizzate, ma verrà già equipaggiato di tutti i sistemi necessari, per esempio avrà già i magneti superconduttori, un divertore e componenti per l’autosufficienza del trizio che un domani potremo utilizzare nel reattore Demo per la produzione di energia a usi civili da immettere in rete. Le tecnologie per creare alcune di queste componenti mancano ancora, ma ci stiamo lavorando in parallelo”.

JET è una macchina sperimentale dotata di magneti di rame per il confinamento del plasma che limitano a livello costitutivo la possibilità del tokamak di lavorare per più di cinque secondi, ma ha ugualmente raggiunto la fusione e confermato le previsioni di performance di Iter, progetto al quale è collegato.

“Grazie a JET si è imparato a mantenere un plasma in condizioni di fusione, non ancora autosostenuta perché abbiamo ottenuto solo un terzo della potenza rispetto a quella immessa, ma siamo andati vicini al pareggio…” – ha illustrato Batistoni – “…In ITER potremo lavorare per durate maggiori grazie a magneti superconduttori, questo ci dà la fiducia di poter raggiungere l’obiettivo. Intorno al plasma dovremo costruire un reattore con tutte le tecnologie per operare in condizione sicura ed economica, sebbene ne manchino essenzialmente due: lo sviluppo di materiali da usare all’interno del reattore e un ciclo chiuso per l’autosufficienza del trizio”.

“Per costruire Iter è già stato necessario sviluppare tecnologie che all’inizio non esistevano e sin dal 1985 Enea ha puntato su quelle che potessero offrire una linea di crescita strategica al sistema produttivo italiano…” ha proseguito la ricercatrice “… A tutt’oggi l’industria italiana ha avuto contratti per la realizzazione di Iter per un totale di oltre 1,8 miliardi di euro, diventando un caso di buona collaborazione fra laboratori e sistema imprenditoriale”.

L’Italia ha un ruolo di primo piano, dimostrando ancora una volta – sul campo – la propria preparazione in materia di nucleare, anche nel Divertor Test Tokamak (DTT), l’infrastruttura di ricerca dell’Enea a Frascati dove vengono testati oltre 40 chilometri di cavi superconduttori.

Disposti in bobine, i superconduttori operano alla temperatura di 269 °C sotto zero, generando un campo magnetico fino a 13T sul magnete niobio-3 stagno e di 6T sul magnete niobio-titanio, consentendo il confinamento magnetico del plasma, riscaldato alla temperatura di 100 milioni °C, a pochi centimetri di distanza.

Un altro ambito di ricerca italiano per una nuova tecnologia riguarda il progetto Neutral Beam Test Facility, condotto a Padova dal consorzio RFX (Consiglio nazionale delle ricerche, Enea, Istituto nazionale di fisica nucleare, università di Padova, Acciaierie venete).

L’obiettivo è mettere a punto uno dei tre sistemi di riscaldamento esterno del plasma, ovvero un fascio di ioni negativi ad alta energia e potenza (16.5 megawatt), con un funzionamento dell’impianto teoricamente continuo.

L’Italia avrà un ruolo di primissimo piano anche nello sviluppo di una soluzione alternativa per il divertore di ITER, una componente chiave del reattore che dà appunto il nome al DTT di Enea e che dovrà essere adatta anche per DEMO, la centrale energetica dimostrativa prevista come successore di ITER.

Dal momento che il confinamento magnetico del plasma non è perfetto, si è escogitato un sistema per convogliare le particelle (nuclei di elio, carichi positivamente) che fuoriescono con un carico di potenza uscente, in una regione dedicata a accogliere tale flusso, un luogo un po’ separato dal cuore della macchina e collocato in basso: il divertore.

Il calore atteso sul divertore DTT e, in prospettiva, di DEMO, è superiore a 10 milioni di watt per metro quadrato, confrontabile con quello della superficie del Sole.

Le soluzioni offerte dalla tecnologia attuale non sono in grado di raggiungere questi livelli di potenza specifica. “Mentre per ITER abbiamo trovato una soluzione, composta da tegole di tungsteno e tubi in lega di rame, per DEMO ci aspettiamo flussi più elevati e per periodi più lunghi che richiedono nuove risposte… – ha aggiunto Batistoni – “..L’Italia si è candidata per condurre l’esperimento, valuteremo la possibilità di ridurre i flussi cambiando la configurazione magnetica, installando il flusso su superfici più ampie oppure usare materiali diversi, in quanto uno dei problemi è il danneggiamento della superficie del divertore. L’uso di metalli liquidi potrebbe essere, per esempio, una soluzione.

DTT sarà così il principale tokamak europeo e il più completo e flessibile esperimento al mondo per affrontare e risolvere il problema dello smaltimento del calore residuo.

Un altro importante tassello da completare riguarda il ciclo chiuso del trizio, utilizzato, assieme al deuterio, come combustibile, ma che, a differenza di questo, si trova raramente in natura e molto più spesso nelle centrali nucleari a fissione. “ITER è già un reattore, ma non avrà ancora l’autosufficienza del trizio e non potremo comprarlo sul mercato, perché non ci sarà…” ha illustrato la scienziata “… Dovremo produrlo e per questo vanno fatti ancora tutti i test tecnologici che dimostrino la fattibilità. L’idea è sviluppare componenti in litio, un metallo abbondante in natura, da collocare all’interno del reattore stesso affinché, reagendo con i neutroni usciti dal plasma, produca il trizio che potremo così recuperare per sostenere la fusione con il deuterio”.

Guardando al futuro la scienziata ha sostenuto che la roadmap della ricerca è molto chiara:

“…Rispetto a 40 anni fa, oggi conosciamo la strada che ci porterà a dimostrare la fattibilità della fusione per un reattore che immetta energia in rete, in modo sicuro ed economico. Per noi l’orizzonte resta il 2050, quando la stragrande maggioranza dell’energia proverrà da fonti rinnovabili, ma servirà pur sempre un 10-20% di potenza di base continua e programmabile che il nucleare può fornire. La fissione sarà ancora preponderante, ma la fusione potrà sostituirla a lungo termine. Certo, dovrà crearsi una nuova filiera industriale, ma i vantaggi previsti sono così tanti che molti stati hanno voluto partecipare alla ricerca. La fusione nucleare a confinamento magnetico non pone rischi di proliferazione nucleare, il combustibile è praticamente inesauribile ed è distribuito in modo omogeneo sulla Terra, non lascia scorie, non causa incidenti con impatti importanti a lungo tempo, è possibile arrestare il processo in qualsiasi momento e naturalmente non emette gas serra. La fusione nucleare rappresenta quindi una soluzione auspicabile nel supportare una transizione energetica efficace, in un contesto di crisi climatica, il peggiore dei problemi del nostro tempo.”.

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