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giovedì, Ott 08

Gaia-X: quali sono le aziende italiane già a bordo del cloud europeo



Da Wired.it :

Leonardo, Enel, Aruba, Retelit, Confindustria digitale, Cy4Gate hanno già fatto richiesta per entrare nel progetto. Il 18 e 19 novembre si accendono i motori

Il cloud (Getty Images)
Il cloud (Getty Images)

Leonardo, Enel, Aruba, Retelit, Confindustria digitale, Cy4Gate: aziende e organizzazioni italiane si mettono in fila per salire a bordo di Gaia-X, il progetto di un cloud europeo avviato da Francia e Germania. Le date da segnare sul calendario sono 18 e 19 novembre, quando, a un anno dal lancio dell’iniziativa, verrà svelata la fondazione che coordinerà i lavori e si apriranno le porte ai nuovi componenti.

Nel frattempo le richieste fioccano. A luglio si contavano già in tutta Europa 300 tra aziende, centri di ricerca, università e startup in lizza per entrare a far parte di Gaia-X. E in dopo un primo incontro a fine luglio, il cloud europeo raccoglie adesioni. Dei 14 partecipanti, cinque hanno inviato la propria candidatura, a quanto può ricostruire Wired: il campione nazionale della difesa, Leonardo, e quello dell’energia, Enel; il polo dei data center Aruba; il gruppo delle telecomunicazioni Retelit e l’associazione di categoria Confindustria digitale. Altri stanno dimostrando un concreto interesse, come Tim. Altri ancora seguono da vicino gli sviluppi della partita, come Eni e le società informatiche pubbliche Infocert e PagoPa. E vi è anche chi, come gli specialisti di sicurezza informatica di Cy4Gate, pur non essendo nel primo gruppo invitato a conoscere i dettagli di Gaia-X, si è fatto avanti.

Data center di Facebook in Svezia (foto: JONATHAN NACKSTRAND/AFP/Getty Images)

Un cloud made in Europe

I fondatori – 11 aziende francesi e altrettante tedesche – puntano ad allargare immediatamente il perimetro di Gaia-X per accelerare sui progetti (ce ne sono quaranta sulla rampa di lancio) e far recuperare terreno al Vecchio continente nel mercato del cloud e dell’economia dei dati, che entro il 2025 varrà 829 miliardi di euro. Oggi il testa a testa è tra Stati Uniti e Cina. Amazon web services, il braccio cloud del gigante dell’ecommerce, è una macchina per soldi: nel 2019 ha totalizzato 35 miliardi di dollari di ricavi (su 280 complessivi), un utile operativo di 9,2 miliardi sui 14,5 generali dell’azienda e una crescita anno su anno del 37%. Dietro Aws corrono Azure, la piattaforma che ha rilanciato Microsoft, Google e Alibaba, il gigante cinese dello shopping online che sui suoi server ospita il 59% delle aziende quotate del Dragone.

Anche questi stessi colossi hanno bussato alle porte di Gaia-X. Il progetto europeo non è ancora del tutto definito. Si sa che non ha tanto l’obiettivo di costruire una piattaforma cloud alternativa alle esistenti, quanto più di aggregare reti, data center, tecnologie e servizi in una struttura federata, governata da regole e standard comuni. “Da un lato vogliamo accelerare lo scambio e la valorizzazione dei dati a livello verticale, tra fornitori e operatori di specifici mercati”, spiega a Wired Alban Schmutz, vicepresidente per lo sviluppo strategico e gli affari pubblici di Ovh cloud, operatore francese tra i 22 fondatori di Gaia-X. Dall’altro, aggiunge, “sviluppare politiche coordinate per l’uso e la condivisione delle informazioni”.

In prospettiva si punta a una sorta di portabilità dei dati sul cloud. Per utenti e aziende “muovere le proprie informazioni da un cloud all’altro dovrà essere semplice, veloce, trasparente, sicuro e a costi competitivi”, annuncia Schmutz. Per questo tra i progetti di Gaia-X c’è una piattaforma dove i servizi cloud saranno messi a confronto, cosicché le aziende o gli utenti possano scegliere quello fa al caso loro. “Sappiamo che gli algoritmi alla base del funzionamento delle piattaforme tengono conto di molti fattori e possono esserci differenze nell’elaborazione se ci si rivolge al mercato francese o a quello italiano, perché ciascuno ha le proprie peculiarità – spiega ancora il vicepresidente di Ovh cloud -. Con le politiche di Gaia-X puntiamo a rendere trasparente anche questo aspetto”.

(Photo credit should read YANN SCHREIBER/AFP/Getty Images)

La bilancia dei poteri

Con queste premesse è chiaro che i big del settore vogliano sedersi al tavolo per discutere le condizioni. L’Unione europea è al lavoro su direttive e regolamenti che riguardano il digitale e al settore intende destinare il 22% del tesoretto del fondo Next Generation Eu, mentre i colossi del cloud pianificano investimenti in data center e infrastrutture nel Vecchio continente. Come Amazon, che di recente ha aperto la sua “regione” italiana di Aws. In parallelo la nuvola è al centro delle manovre dell’industria tech. L’ultima è la società di consulenza Accenture, che ha pianificato 3 miliardi di dollari per rafforzare la sua voce nel cloud.

Per questi stessi motivi i 22 fondatori contano di arrivare a metà novembre con un nutrito seguito: più aziende appoggiano il progetto, più potere negoziale avrà Gaia-X per trattare condizioni di favore e trasparenza. Leonardo, per esempio, offrirebbe una copertura su mercati critici come quelli della difesa, dell’aerospazio e della cybersecurity. E Ovh sta lavorando con T-System, braccio informatico della compagnia telefonica Deutsche Telekom, per un cloud già a misura di Gaia-X. L’Europa oggi è fuori dalla top ten degli operatori cloud mondiali: l’operatore più importante è la tedesca Sap (tra i fondatori), che però si trova dietro multinazionali come Ibm, Dell, Oracle e Salesforce. E stando ai dati del centro studi Gartner, gli investimenti non si possono più rimandare. Quest’anno il mercato mondiale dei servizi di public cloud crescerà del 6,3% per un totale di 257,9 miliardi di dollari, rispetto ai 242,7 miliardi del 2019.

Le domande non mancano. Alla fondazione, ora, serve solo il decreto reale, conditio sine qua non in Belgio, dove avrà sede, per accendere i motori. “A fine agosto abbiamo messo in lista d’attesa i componenti della prima ora (first day members, ndr), ossia le aziende che vogliono entrare in Gaia-X e che verranno accolte il giorno successivo al decreto reale”, spiega Schmutz: “Abbiamo richieste da 14 Paesi europei”. Tra cui l’Italia con i sei debuttanti. L’obiettivo è di completare questo passaggio burocratico entro il 18 novembre, per poi svelare tutti i nomi della famiglia allargata e i primi obiettivi. Al taglio virtuale del nastro ci saranno il ministro dell’Economia tedesco, Peter Altmaier, il corrispettivo francese Bruno Le Maire e il Commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, ex capo azienda di Atos, multinazionale informatica d’Oltralpe tra i fondatori di Gaia-X. Il budget per il primo anno di attività è stimato in 1,5 milioni di euro.

Braccio di ferro

A livello geopolitico la partita del cloud non si gioca solo sul peso specifico dei fornitori di servizi, ma anche sulle regole che lo governano. La recente sentenza della Corte di giustizia europea sul caso che vede l’attivista austriaco Max Schrems contro Facebook ha tagliato le gambe al Privacy shield, l’accordo tra Bruxelles e Washington sulla circolazione dei dati. Di fatto stabilisce che le informazioni personali degli europei non potranno più essere archivite su suolo statunitense, perché non offre adeguate protezioni. Alla luce di questo verdetto, il progetto Gaia-X assume tutt’altra luce, anche per le big tech a stelle e strisce.

A dispetto dell’attuale modello di business dominante, caratterizzato da una concentrazione di dati senza precedenti tra pochi, potenti attori, lo spazio europeo dei dati dovrebbe servire come esempio di trasparenza, reale controllo e un appropriato bilanciamento tra interessi”, scriveva a giugno il Garante europeo per la protezione dei dati, Wojciech Wiewiórowski, in un commento alla strategia digitale della Commissione.

Per l’Istituto italiano per la privacy, però, la via europea al cloud non è indenne da rischi. In un recente studio il presidente Luca Bolognini e il ricercatore Enrico Pelino osservano che le criticità emerse dalla sentenza Schrems II “non appaiono del tutto eliminabili attraverso una mera localizzazione intra-Ue delle infrastrutture, perché sono connesse in misura sostanziale alla portata extraterritoriale di norme di diritto pubblico dei Paesi terzi”. E richiamano ai rischi di cybersecurity, che ledono altrettanto la privacy degli utenti e sono a loro volta al centro di strette politiche comunitarie. “Da questo punto di vista – scrivono – la scelta del fornitore cloud va allora operata tenendo conto dell’effettivo livello di qualità che esso può offrire rispetto allo stato dell’arte e della tecnica”. La palla passa ai dirigenti di Gaia-X: a loro tocca trovare la rotta per non fermarsi al porto delle mozioni degli intenti, né per schiantarsi contro una sovrastruttura che soffoca sul nascere l’economia dei dati europea.

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[Fonte Wired.it]