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martedì, Ago 04

Galveston, azione ed esistenzialismo noir in un film che non riesce a decollare



Da Wired.it :

Arriva l’adattamento del romanzo di Nic Pizzolato (creatore d True Detective), a dirigerlo Melanie Laurent (la Shosanna di Bastardi senza gloria) ma le sorprese sono gli attori. Dal 6 agosto in sala

Già nelle primissime scene di Galveston c’è la firma di Nic Pizzolato, il creatore di True Detective. Roy ha fatto tutte le scelte sbagliate nella vita e non ha intenzione di smettere. La minaccia di un male mortale ai polmoni non lo induce a smettere di fumare, la minaccia di inimicarsi il suo boss che ora sta con la sua ex non moderano il suo carattere. È un criminale da poco, ha sempre vissuto alla giornata, ha gli occhi carichi di cattiveria di Ben Foster e ora andrà a rapinare una villa di notte. La rapina va così male che pochi secondi dopo essere entrati il suo socio muore. Lui uscirà di lì malconcio (gli altri in compenso non usciranno proprio) e con una ragazza. L’ha trovata lì legata e imbavagliata. Il film può partire.

È il terzo lungometraggio da regista di Melanie Laurent (attrice francese di grande successo sia in patria che fuori, è la protagonista di Bastardi senza gloria), il primo però girato in America basandosi su un copione puramente americano (per l’appunto il romanzo di Nic Pizzolato). Il risultato è sorprendente, considerate le difficoltà, ma un po’ deludente considerata la provenienza del materiale. Purtroppo Galveston ha una trama un po’ corta, una che non riesce a riempire bene e con soddisfazione i suoi 90 minuti, e anzi lascia ogni tanto dei buchi, delle anse in cui il film si ferma e un po’ si perde, allentando quella tensione che invece è l’anima del genere.

È subito chiaro a tutti che il cuore del racconto è il viaggio di questi due personaggi verso Galveston, paesino di provincia dove è meglio nascondersi per un po’, e in cui questo criminale che tossisce sangue e questa 19enne con la faccia di Elle Fanning e una sorella piccola a carico, cercano assurdamente di ricominciare una vita. Lei in particolare lo fa attraverso l’unica cosa che conosce, fare la escort. La quiete non durerà a lungo. Rocky e Roy (questi i nomi dei due) sono inseguiti dalla trama del film che vuole buttarli nell’azione e lo farà in un sottofinale molto denso e con una lunga ripresa senza stacchi (ma è un finto pianosequenza con almeno uno stacco reso invisibile con un trucchetto).

Quel finale d’azione è uno dei momenti cruciali del film e non è difficile immaginare cosa ne avrebbe fatto un altro regista, come avrebbe concentrato e dilatato quel momento, fondandolo sull’atmosfera e sulla tensione per la sopravvivenza, la rabbia per la violenza e lo sfogo inumano. Melanie Laurent invece lavora di concentrazione, non dilata ma sintetizza, va dritta al punto (che è un bene) e cerca di risolvere la questione nel minor tempo possibile, in antitesi con quanto ha fatto fino a quel momento. Di certo la regista dimostra di aver compreso come per rendere un racconto di Pizzolato sia indispensabile lavorare sugli ambienti, sul mondo intorno ai personaggi, sul suo squallore, sulla palude, l’umido e i rarissimi momenti di bellezza e quiete (il meteo ha un’importanza cruciale nelle loro vicende). Eppure è difficile non notare come lo stesso forse Galveston avrebbe giovato da un po’ più di lavoro proprio sulla cittadina di Galveston. Perché loro due sono due cliché consapevoli, è il mondo e come si relazione a loro che deve fare la differenza nella stessa maniera in cui il mondo intorno ai detective di True Detective sembra sempre sorprenderli e trattarli male.

Se il film ad ottimi momenti, atmosfere giuste e un’idea d’azione molto coinvolgente alterna più di un momento irrisolto non è però colpa di Ben Foster. Attore capace di reggere tutto da sé (si veda il suo rapporto con la sigaretta all’inizio) e di portare con il solo sguardo lo spettatore dentro al genere della storia. Lui è il fulcro che mantiene ferma e alta la credibilità della storia. E non è nemmeno colpa di Elle Fanning, che interpreta bene il proprio personaggio anche se Galveston non le dà mai la possibilità di esplorarlo in pieno, chiedendogli di ripetere sempre le medesime movenze ed espressioni o di esagerare dall’altra parte, di scoppiare in momenti terribilmente drammatici e isolati. Non stupisce insomma che un film diretto da un’attrice lavori benissimo con i suoi protagonisti.

Il film arriva così ai suoi colpi di scena e alla sua chiusa pessimista. Un finale molto poco prevedibile con un portato e un’epica della sconfitta grandissimi, molto più grandi di quel che il film riesce a rendere. Capiamo molto bene dove voglia arrivare quella chiusa e forse nel romanzo ci arrivava anche, ma il film riesce solo a grattarne la superficie. Non c’è da volerne a Melanie Laurent, né da avere giudizi aspri, era un’impresa davvero ardua rendere quell’idea di una vita chiusa in un momento dopo anni di attesa. Difficilissimo. Già averlo accennato è un buon risultato.

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[Fonte Wired.it]