È soprattutto la narrazione a stupire chi guarda i reportage o ascolta i racconti di chi ha vissuto questi viaggi di un giorno: “Nel mio tour non si sono mai citati i palestinesi, si è parlato dei morti del 7 ottobre, che nessuno vuole negare ovviamente, ma non si mette mai in dubbio il punto di vista israeliano – precisa Chimenti – C’è un episodio, secondo me emblematico, che racconto anche nel podcast, e ha come protagonisti dei bambini in piscina in un kibbutz. La guida del nostro tour sottolineò come quei bimbi non potessero fare un bagno ‘tranquilli’ perché ‘lì c’è la Striscia’, senza mai riflettere sulla mancanza di acqua proprio a Gaza. Quando arrivammo vicino ai luoghi del Nova Festival, e alle nostre spalle si sentì un’esplosione, venimmo tranquillizzati con la frase ‘Tranquilli è l’Idf (l’esercito israeliano, ndr)‘, come se questo potesse bastare per sentirsi al sicuro. In molti kibbutz dove ci sono stati morti per l’attacco di Hamas, le famiglie non hanno voluto il governo alla commemorazione ufficiale ma questo è un aspetto che non viene menzionato spesso. Anche se non si spingono a dire che non sia stato fatto abbastanza per prevenire quello che è poi accaduto, lasciano trasparire almeno un dubbio, come racconta uno degli abitanti del moshav in cui sono stata“.
Le reazioni sui social
Intanto, sui social, i commenti si moltiplicano. Quelli ai tour, anche di agenzie storiche come quelle di Abraham Tours (che propone, tra gli altri, anche quello intitolato “Gaza Envelope Tour with October 7th survivor”, con anche il racconto diretto di un sopravvissuto all’attacco del 7 ottobre), sono entusiasti: si va da “Tour incredibile” a “Guida fantastica”. Nel descrivere le tappe, sul sito dell’agenzia si legge quanto segue: “Questo tour è pensato per offrire ai partecipanti una comprensione approfondita del contesto storico che ha portato al 7 ottobre, degli eventi di quella giornata e – soprattutto – dei temi della rinascita, della connessione umana e della speranza che sono emersi in seguito. L’obiettivo non è soffermarsi sugli orrori, ma promuovere la comprensione e l’empatia. È un’occasione per entrare in contatto diretto con le comunità colpite: ascoltare le loro storie, testimoniare la loro resilienza e riconoscere la forza dello spirito umano nei momenti di profonda difficoltà”. Sui social molti dei commenti sottolineano un altro punto di vista. Chi legge di queste esperienze le commenta come un “diabolico e orrendo” turismo di guerra o tour dell’orrore e c’è chi ricorda “non c’è nulla di nuovo, lo stanno facendo da anni”. Punti di vista che continuano a essere totalmente inconciliabili.