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mercoledì, Nov 11

Geco: artista urbano o acrobata dell’idiozia vandalica?



Da Wired.it :

Post celebrativo della Raggi per aver individuato il writer, manco fosse Matteo Messina Denaro. Toni da sceriffo e fuori misura, va bene, ma anche chi parla di arte e libertà di espressione nei commenti a seguire dovrebbe riflettere

Se fosse un fumetto ci sarebbe uno sceriffo fiero di aver individuato il così detto Diabolik de’ Noantri e una piccola guerriglia dei seguaci di quest’ultimo per rivendicarne la libertà. Ecco, dal fumetto alla realtà il passo è stato breve: non tanto per l’enfasi nell’annuncio dell’individuazione del presunto colpevole dopo un anno di indagini (neanche fosse un pericoloso narcotrafficante, ironizza qualcuno), quanto per le proteste infuriate online al grido di “L’arte non si arresta”. Quale arte? Le scritte Geco, che chi abita a Roma non può non aver visto (ma anche chi abita a Lisbona e Atene). Sono scritte (tag, blockbuster, bianconé, throw up etc) che campeggiano semplicemente ovunque, anche in luoghi inaccessibili e impensabili, i così detti heaven spot, i punti più irraggiungibili in cui la domanda “Ma come diavolo ha fatto ad arrivare fin lassù?” sorge spontanea. Ma non solo. Potete trovarle anche su cartelli stradali, con banali stickers appiccicati senza grazia, come sotto casa di chi scrive.

Centinaia di bombolette spray, migliaia di adesivi, funi, estintori, corde, lucchetti, sei telefoni cellulari, computer,…

Pubblicato da Virginia Raggi su Lunedì 9 novembre 2020

C’è dietro senz’altro un acrobata e un graffitaro, o per meglio dire un bomber, termine tecnico per indicare la rara insistenza con cui chiunque si celi dietro Geco ha voluto diffondere il suo logo dappertutto. Ci troviamo di fronte a gesti di pura megalomania e autoreferenzialità, oppure si può tirare in ballo l’arte quando si parla di Geco? Se è lecito firmare – qualcuno direbbe imbrattare – edifici, mura e segnaletica stradale, allora è lecito tutto. Anche che chi scrive vada al palazzo di Geco a realizzare la scritta Ciao a caratteri altrettanto cubitali. Ammesso che i livelli di tecnica fossero gli stessi, sarebbe un gesto artistico il nostro? O sarebbe solo un atto vandalico? Ma soprattutto: la street art può essere ridotta alla mera ripetizione ossessiva di un logo?

Chi scrive non è mai a favore della censura e considera i graffiti come forme irrinunciabili di estetismo urbano. Ma non occorre essere esperti di arte per intuire che un conto è Basquiat, un altro è Geco. Persino il paragone con Banksy non regge: anche lui opera in pieno anonimato in più parti del mondo privo di autorizzazioni, ma nel suo caso la definizione di arte ci sta tutta. Non si impegna nella ripetizione sistematica di una firma che a chi legge non comunica nulla e non desta altro se non perplessità, nelle opere di Banksy c’è una denuncia sociale spiccata, una voglia esplicita di comunicare con chi guarda, una forza evocativa potente, oltre che un livello di realizzazione sopraffina che racconta molto delle capacità espressive e del talento innovativo dell’autore.

Diffondere un nome, una sigla, un acronimo tra l’altro incomprensibile ai più, senza una vera operazione di innovazione dietro, senza scopo che non sia “rendere impossibile non ricordare il mio nome”, non rende forse il gesto vano? Anche qualora ci fosse dietro un ipotetico intento anarchico e rivoluzionario – arrivare in posti inaccessibili e lasciare firme impeccabili restando impuniti. Bene, anche in quel caso, che senso hanno allora gli stickers appiccicati a caso su semafori e segnali stradali e le firme lasciate in posti banali e più che accessibili? Posto che bollare in toto l’operazione come becero vandalismo rischia di non aggiungere nulla all’interessante dibattito che il caso ha fatto accendere, sulla street art come sul decoro urbano, l’operazione Geco, ad oggi, tende ad assestarsi al livello del puro esibizionismo e ad essere confusa nella miriade di gesti narcisistici e autoreferenziali da cui la società contemporanea è asfissiata.

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[Fonte Wired.it]