Il portavoce dell’azienda Karl Ryan ha dichiarato al New York Times che i dati dei bambini non saranno utilizzati per addestrare prodotti di intelligenza artificiale e che l’azienda ha adottato misure specifiche per proteggere la loro privacy e sicurezza. Tuttavia, il messaggio inviato ai genitori avverte che durante l’utilizzo di Gemini un minore potrebbe imbattersi in “contenuti che non vorresti che vedesse“.
L’inclusione dei bambini sotto i 13 anni rappresenta l’ultima mossa di Google per espandere la portata e l’uso dei suoi chatbot. Con questa strategia la società punta a consolidare una base di utenti più ampia in una fase in cui la competizione tra i giganti tecnologici per la leadership nel settore dell’intelligenza artificiale è sempre più intensa.
L’impatto dell’AI sui bambini
Gli esperti hanno definito la decisione di Google particolarmente rischiosa, a fronte dei crescenti timori sugli effetti che un uso eccessivo e non supervisionato di queste tecnologie potrebbe avere sulla salute mentale di bambini e adolescenti.
Un’analisi dell’Unicef, il Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia, avverte che l’intelligenza artificiale generativa è destinata a diventare un elemento chiave delle esperienze digitali dei bambini. Pur riconoscendo che le sue capacità possono essere sfruttate in diversi ambiti per snellire i processi e sviluppare soluzioni con un impatto positivo sui bambini, il documento avverte che le interazioni e i contenuti creati attraverso la tecnologia possono rivelarsi pericolosi e fuorvianti.
Il rapporto sollecita inoltre l’intervento di politici, aziende tecnologiche e altri attori che si occupano di tutela dell’infanzia: “Dovrebbero sostenere la ricerca sugli impatti dell’AI generativa ed essere lungimiranti”.
Il concetto è ribadito da uno studio guidato da Karen Mansfield, psicologa dell’Università di Oxford, in cui vengono evidenziati i potenziali effetti negativi dei sistemi di AI progettati per imitare il comportamento umano, che potrebbero addirittura superare quelli associati ai social network. La ricerca spiega come le funzioni che emulano i processi cognitivi o generano deepfake rischino di compromettere in maniera grave il benessere psicologico di bambini e adolescenti.
“Con un’intelligenza artificiale simile a quella umana in grado di moderare o arricchire le interazioni online, lo spettro dei benefici e dei rischi per i bambini e gli adolescenti è più ampio di quello associato ai social network o ai videogiochi“, avverte Mansfield.
Sebbene le informazioni sull’uso dell’AI generativa tra i bambini a livello globale siano ancora scarse, i primi studi mostrano una tendenza in crescita e poco regolamentata. Un sondaggio online condotto da Common sense media ha rilevato che il 58% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni negli Stati Uniti ha già utilizzato ChatGPT, quasi il doppio rispetto al 30% dei genitori intervistati. E la maggior parte degli adolescenti ha ammesso di averlo fatto all’insaputa dei propri tutori o insegnanti.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired en español.