Il battito d’ali di una farfalla non c’entra, ma il concetto è molto simile: basta un investimento anche minimo da parte di un ricco in una qualsiasi zona della città per ribaltarne interamente gli equilibri demografici e immobiliari. Questo almeno è ciò che sostengono i primi ricercatori al mondo che hanno creato un modello matematico dedicato a flussi e dinamiche alla base della gentrificazione urbana. Si chiamano Luca Pappalardo e Giovanni Mauro, vengono rispettivamente dal Cnr e dalla Scuola normale superiore di Pisa e insieme stanno costruendo strumenti predittivi per sviluppare politiche di intervento sul fenomeno “prima che sia troppo tardi”. I risultati da loro raggiunti finora in collaborazione con le università di Bari e Oxford sono pubblicati sulla rivista scientifica Advances in Complex Systems, Wired Italia li ha incontrati per guardare dentro e dietro al loro modello cosa c’è.
Chi fa il primo passo
Prendendo il nome dal termine “gentry”, usato per definire la piccola nobiltà inglese, questo fenomeno consiste nella trasformazione di un’area abitativa da popolare a di pregio, spesso seguita da una espulsione dei residenti originari. Una volta dentro un ricco, gli altri suoi simili lo seguono a ruota, quindi, prendendo il posto di chi se ne va perché il quartiere non è più alla sua portata. Questo processo di sostituzione di massa, secondo Mauro partirebbe quando a spostarsi è anche solo uno dei cittadini appartenenti a quel 5% più ricco. “Quelli di medio reddito vogliono stare con i loro pari e i poveri vogliono stare dove se lo possono permettere, ma finché ci sono solo queste due categorie di abitanti, nessuno caccia aggressivamente l’altro – spiega Pappalardo – quando invece entra in gioco qualcuno del gruppo con reddito fortemente più elevato, innesca un circolo vizioso che spinge tutti gli altri ad andarsene, anche quelli che potrebbero permettersi di restare”.
Questo risultato, sorprendente anche per gli stessi ricercatori, è frutto di un approfondito lavoro non tanto di calcolo quanto di analisi di flussi complessi e imprevedibilmente umani. “Non esistevano dei modelli semplici per spiegare la gentrificazione, tutti avevano uno stampo economicistico, essendo realizzati partendo da dati tratti da censimenti – precisa Mauro – con il nostro, a flussi, possiamo invece risalire alle dinamiche di spostamento e catturare i segnali iniziali del cambiamento urbano e, quindi, prevederlo”.
Ciak si cambia
È la stessa differenza che passa tra uno stop motion e un video, spiegano i due autori dello studio, e il secondo formato citato è più adatto per risalire alla natura assunta dalla gentrificazione nelle sue prime fasi. Per ottenerlo serve riprodurre cicli di spostamenti, pressioni economiche e cambiamenti di quartiere in modo realistico e, prima ancora, avere dati, tanti dati, raccolti per tanto tempo e di tipologie non sempre reperibili nei comuni database open source, anzi, a volte nemmeno raccolti e conservati da coloro che potrebbero farlo.
In mancanza di materia prima per realizzare un’analisi dati, Pappalardo e Mauro hanno deciso di costruire un modello teorico sulla gentrificazione unico nel suo genere, lasciandosi ispirare da quelli sulla segregazione degli anni settanta. “Siamo partiti presupponendo che la gentrificazione derivi innanzitutto dalla diseguaglianza socio-economica e abbiamo immaginato la città come una griglia in cui in ogni cella c’è spazio solo per un preciso numero di persone, dividendole in tre categorie in base al loro reddito” spiega Pappalardo. Poi passa la parola a Mauro che descrive “le tre regole base con chi abbiamo modellizzato la dinamica urbana: i poveri si muovono quando il contesto socio-economico diventa troppo alto, chi ha stipendi medi cerca di stare in zone dove il livello è più o meno come il proprio, i ricchi vanno a insediarsi nelle celle dove il livello sale” spiega.