Sotto molti aspetti la Geo non è una vera invenzione, ma piuttosto l’evoluzione naturale della Seo. Molti dei consulenti che oggi se ne occupano provengono proprio da quel mondo. Alcune delle vecchie strategie restano valide, perché l’obiettivo di fondo è lo stesso: anticipare le domande degli utenti e assicurarsi che i propri contenuti compaiano nelle risposte. Allo stesso tempo, sempre più prove indicano che i chatbot mostrano tipologie di informazioni diverse rispetto ai motori di ricerca tradizionali.
Il nuovo linguaggio dell’intelligenza artificiale
Imri Marcus, amministratore delegato della società di Geo Brandlight, stima che se fino a poco tempo fa la sovrapposizione tra i primi link di Google e le fonti citate dagli strumenti di AI era del 70%, ora la correlazione è scesa sotto il 20%.
I motori di ricerca tradizionali tendono a favorire i testi lunghi e ridondanti, come dimostrano i post infiniti che precedono le ricette sui blog di cucina. Di contro, spiega Marcus, i chatbot preferiscono contenuti chiari e ben strutturati, come elenchi o sezioni dedicate alle domande frequenti. “Una pagina di faq può rispondere a cento domande diverse, al contrario di un articolo che si limita a celebrare il tuo marchio”, sottolinea l’esperto. “Così dai ai motori di AI un centinaio di occasioni in più per sceglierti”.
Le domande che le persone pongono ai chatbot sono spesso molto più precise di quelle indirizzate ai motori di ricerca tradizionali. Per questo alle aziende conviene pubblicare informazioni estremamente dettagliate. “Nessuno va su ChatGPT a chiedere se General Motors è un’azienda valida”, continua Marcus. “Piuttosto, chiedono se il Chevy Silverado o il Chevy Blazer ha un’autonomia maggiore. Creare contenuti più specifici porterà a risultati nettamente migliori, perché anche le domande lo sono”.
Le strategie di marketing al tempo dell’AI
Queste indicazioni stanno spingendo Brandlight ad affinare le strategie di marketing per i propri clienti, che comprendono aziende come Lg, Estée Lauder e Aetna.
“I modelli di intelligenza artificiale elaborano i contenuti in modo diverso”, spiega Brian Franz, responsabile di tecnologia, dati e analisi di Estée Lauder Companies. “Vogliamo assicurarci che le informazioni sui prodotti e le fonti autorevoli che utilizziamo siano proprio quelle che finiscono per alimentare il modello”.
Alla domanda se prenderebbe mai in considerazione una partnership con OpenAI per consentire agli utenti di acquistare i prodotti di Estée Lauder direttamente nel chatbot, Franz non ha dubbi: “Assolutamente sì”.
Per il momento i brand si preoccupano soprattutto della consumer awareness – la visibilità, semplificando – più che di convertire in vendite le citazioni dei chatbot. L’obiettivo è far sì che quando un cliente chiede a ChatGPT cosa mettere sulla pelle dopo una scottatura solare, nella risposta compaia il loro prodotto, anche se è improbabile che l’utente clicchi e lo acquisti subito. “In questa fase ancora molto iniziale, in cui sembra che tutto stia per esplodere, non credo abbia senso guardare al ritorno sull’investimento di ogni singolo contenuto”, osserva Franz.
E per generare tutti questi nuovi contenuti ottimizzati per l’intelligenza artificiale, le aziende naturalmente si affidano alla stessa AI. “All’inizio si pensava che i motori di intelligenza artificiale non si sarebbero mai addestrati su contenuti generati da AI”, racconta Marcus. “Ma non è affatto così”.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.



