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lunedì, Mar 16

Gif, la lezione definitiva sulla pronuncia corretta



Da Wired.it :

Negli Stati Uniti una marca di burro d’arachidi ha creato il panico sulla pronuncia esatta della parola gif: con la g dolce o dura? Lo abbiamo chiesto a due linguisti

È un po’ come cercare di mettere d’accordo i difensori della Playstation e quelli dell’Xbox. I fan di Jay Z e quelli di Nas. I lettori di David Foster Wallace e quelli di Bret Easton Ellis. Ok, forse stiamo salendo troppo in alto nella scala delle rivalità, ma anche il dibattito sulla corretta pronuncia di gif ha assunto col passare degli anni toni sempre più accesi, fino a scomodare l’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, intervenuto nel dibattito nel 2014 sostenendo che si dovesse dire “ghif, con la g dura (foneticamente: ɡɪf).

Obama avrà tante qualità, ma di sicuro non è un linguista. E lo stesso vale anche per Steve Wilhite, inventore nel 1987 del Graphics interchange format, da cui la sigla gif, che nell’epoca di internet ha assunto una rilevanza fondamentale. Wilhite – che sostiene si pronunci gif, con la g morbida (foneticamente: dʒɪf) – sarà anche il papà delle gif, ma per assurdo non è titolato a dirci quale sia la pronuncia corretta. Perché questo è un lavoro che spetta ai linguisti.

Ed è quindi ai linguisti che ci siamo rivolti, con qualche conferma e anche delle posizioni che proprio non ci saremmo aspettati. Ma andiamo con ordine. Il dibattito è recentemente riemerso a causa dell’idea della marca di burro d’arachidi Jif (che si pronuncia ovviamente con la g morbida) di lanciare una versione limitata e in collaborazione con Giphy (piattaforma di gif) chiamata gif. Per distinguere tra le due, ovviamente, è necessario pronunciarle in maniera diversa, ma possiamo davvero lasciare che sia una confezione di burro d’arachidi a dirimere per sempre uno dei dibattiti più longevi del mondo digitale?

Cosa dice il dizionario di Sua Maestà

Evidentemente no. Per cui partiamo da ciò che dice una vera autorità in materia: l’Oxford English Dictionary, che però le accetta entrambe, e quindi ci impedisce di dare una risposta risolutiva. Non accettando di restare nell’incertezza, ci siamo rivolti via email a Jane Setter, docente di Fonetica all’università di Reading (non è un gioco di parole, ma una città inglese nella contea del Berkshire) e co-editor del Cambridge English Pronouncing Dictionary.

Nessun colpo di scena, purtroppo. Perché anche il Cambridge Dictionary, spiega a Wired la professoressa Setter, “accetta entrambe le forme come possibili pronunce. In ogni caso, mi sembra di capire che i tecno-letterati preferiscano la pronuncia con la g morbida. Non sono certa di cosa possa invece motivare la preferenza generale per la g dura: è possibile che il fatto di essere un acronimo abbia qualcosa a che fare con ciò. Le parole che iniziano con ‘gi-’, in inglese, possono avere sia la g morbida, sia la g dura, ma poiché la g in questo caso sta per ‘graphic’ si tende a pronunciarla con la g dura”.

E quindi: i linguisti accettano entrambe le forme, i letterati del mondo digitale preferiscono la g morbida e la maggior parte delle persone preferisce invece quella dura. Con una gentilezza che non ci si aspetterebbe nemmeno dal più giovane docente della più scassata università italiana, la professoressa Setter ha lanciato per l’occasione un sondaggio attraverso il suo account Twitter, per vedere se potesse aiutarci a risolvere la controversia e utilizzando la classica formula “chiedo per un amico” (commosso, ringrazio).

I voti sono stati solo 65, quindi non si può certo considerare la cosa risolutiva. Appare però evidente come ci sia una netta preferenza per la g dura, soprattutto tra i britannici e in misura minore anche tra gli statunitensi (i cui numeri, almeno in questo sondaggio, sono però davvero troppo ridotti).

“La pronuncia non esiste”

Non potevamo accontentarci. E così abbiamo proseguito l’indagine e siamo andati a scomodare John Coleman, direttore del laboratorio di Fonetica dell’Università di Oxford. Contattato via mail, la sua prima risposta è stata decisamente stringata: “Non esiste nessuna ‘pronuncia corretta’ delle parole. Tutto questo dibattito è ridicolo”. Non esiste una pronuncia corretta delle parole? A quel punto dovevo per forza saperne di più, per cui – nonostante non sembrasse così propenso a proseguire la chiacchierata – gli ho chiesto lumi a riguardo: com’è possibile una cosa del genere? E vale solo per l’inglese o per tutte le lingue?

“Vale per tutte le lingue”, la risposta di Coleman. “Ogni parlante di ogni lingua ha lo stesso diritto, in quanto essere umano, a scegliere la pronuncia che preferisce. La nozione di correttezza è solo un modo con cui alcune persone cercano di imporre la loro visione agli altri, che potrebbero dissentire. È sbagliato dire che la pronuncia di qualcuno è scorretta. Come sarebbe dire che i tuoi capelli crescono in maniera scorretta o che cammini in modo sbagliato”.

Messa così, sembra un politicamente corretto applicato alla fonetica. In verità, si tratta dello stesso tema che si affronta in italiano quando si cerca di decidere se una parola debba avere la vocale aperta o chiusa, facendo riferimento a ciò che chiamiamo “italiano standard”. Peccato che, come mi insegnò il mio professore di Linguistica all’università, l’italiano standard è una convenzione come tutte le altre, e il solo fatto che si sia scelto il “fiorentino emendato” come standard per la lingua italiana non rende la sua pronuncia più corretta di quella degli altri dialetti o inflessioni regionali.

La torre di Babele

Approfittando anche della disponibilità di John Coleman, gli ho però chiesto un’ultima cosa: ma se tutti potessimo davvero pronunciare ogni parola come ci pare, come faremmo a capirci? “Be’, questo è esattamente ciò che avviene ed è la ragione per cui le lingue divergono dal loro antenato comune. È per questo che l’italiano non è uguale al latino e non lo è nemmeno il francese, nonostante entrambe derivino dal latino. Se due gruppi di persone pronunciano numerose parole di un linguaggio in maniera diversa, diventano mutualmente incomprensibili e quindi utilizzano un linguaggio differente.

“Se una persona va per la sua strada nel modo di pronunciare le cose”, prosegue Coleman, “allora potrebbe diventare incomprensibile agli altri, nel cui caso potrebbe trattarsi di un qualche tipo di difetto di pronuncia o essere un’idiosincrasia artistica. In generale, però, solo perché un gruppo di persone utilizza una pronuncia diversa da qualche altro gruppo sarebbe irragionevole dire che solo una delle due è corretta, giusto?”.

E così, da una giochetto come la pronuncia di gif siamo arrivati ai massimi sistemi della linguistica. Chi se lo sarebbe mai aspettato? Una cosa però è certa, in italiano – per quanto parlare di “pronuncia corretta” sia sbagliato – abbiamo un modo più semplice per dirimere la questione: nella nostra lingua pronunciamo tutte le sigle leggibili come fossero una parola seguendo le stesse regole che seguiamo per le parole normali. È la ragione per cui diciamo gip (giudice per le indagini preliminari) con la g morbida, ma diciamo gup (giudice dell’udienza preliminare) con la g dura. Seguendo questa stessa, semplice, convenzione possiamo provare a risolvere il problema almeno per l’italiano. E quindi, che dʒɪf sia!

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[Fonte Wired.it]