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lunedì, Mag 17

Giornata internazionale contro l’omofobia. Perché abbiamo paura della diversità?



Da Wired.it :

(foto: Pablo Blazquez Dominguez/Getty Images)

Dal 2004, il 17 maggio di ogni anno, l’Unione europea e le Nazioni Unite riconoscono la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Qual è il senso di un giorno dedicato a questi temi, che tra l’altro in quest’anno cade nel mezzo del dibattito sulla legge Zan?

In molti, si scandalizzando del fatto che nel 2021, ancora si parli di questi temi, come se fossero temi medioevali, d’altronde spesso la critica che viene avanzata a coloro che non accettano alcune libertà pretese dal mondo Lgbt+ è proprio questa: “Sei un troglodita! Sei rimasto nel medioevo?”. Eppure, a ben vedere, dobbiamo affrontare la tematica da un altro punto di vista.

La storia insegna che la tolleranza verso ciò che riteniamo diverso o normale è un concetto estremamente culturale, che è ben cambiato più volte nel corso dei secoli. Come dimenticare, per esempio, che gli antichi greci consideravano del tutto normale una relazione di tipo omossessuale, in particolare tra adulti e giovani adolescenti? Non possiamo quindi pensare che l’omofobia sia un retaggio storico, considerato che la cultura greco-romana rappresenta tra l’altro la base su cui si fonda l’attuale nostro sistema culturale.

Non si può portare, come argomento, nemmeno la natura, in quanto sappiamo che esistono, oltre l’essere umano, numerosissime specie che hanno comportamenti sessuali che riterremmo quanto meno non ordinari: omosessualità a parte (che sembra sia stata riscontrata in almeno 1.500 specie), che dire delle specie che uccidono il compagno dopo il rapporto sessuale (magari per mangiarselo, come fa la vedova nera)?

Cosa può spiegare allora, se storia e natura non lo fanno, le fobie o l’intolleranza nei confronti della comunità Lgbt+ (che qui chiamiamo così per brevità, ma siamo ben consapevoli che include una comunità ancora più ampia con definizioni varie, come Lgbtqiapk, dove quella k sta per kinky, ovvero quelle pratiche anche eterosessuali ritenute non convenzionali).

Proviamo a dare una spiegazione psicologica, anche abbastanza semplice: in generale, ciò che è diverso da noi, ci spaventa. Non si tratta solo di aspetti sessuali, ma anche del colore della pelle o persino di alcune malattie genetiche. E la paura del diverso, si noti, si è sviluppata in ottica di sopravvivenza della specie. Spieghiamo meglio: fin dalle ricerche di John Bowlby, sappiamo che il bambino, già intorno agli otto mesi, è in grado di essere consapevole della presenza di una persona estranea alla famiglia e a riconoscerla come un potenziale pericolo, per questo, la teoria dell’attaccamento, spiega il modo in cui il bambino si rapporta a quel diverso. Se i genitori mostreranno fiducia nell’estraneo, in una condizione di un attaccamento sano, il bambino di conseguenza di fiderà del diverso e lo accetterà, al contrario, un bambino con un attaccamento non equilibrato, potrebbe sperimentare paura, ansia o rabbia.

In qualche modo, fin dai tempi antichi, la nostra mente ha imparato a temere ciò che è diverso da noi, per proteggersi. Per proteggere la sua identità, la sua coerenza interna, il suo sistema di valori. L’evoluzione della specie e lo sviluppo culturale umano hanno però anche poi fatto capire all’umanità che il diverso, rappresentata ricchezza. Scambi con popoli e culture diverse sono diventati fiorenti commerci, alleanze tra gruppi e civiltà, arricchimento genetico, sociale e culturale. Questo nel 2021 lo abbiamo capito: viviamo in un mondo globalizzato, dove, ci piaccia o no, usiamo nella nostra quotidianità oggetti che riteniamo tipici della vita occidentale ma che nella stragrande maggioranza dei casi provengono dalle parti più remote del mondo e sono prodotte da popoli diversissimi da noi.

Ecco, quindi, il paradosso: la diversità ci fa paura, eppure ci rende ricchi. Se non accettassimo di dialogare con popoli diversissimi da noi come quello cinese, per esempio, probabilmente avremmo seri problemi di approvvigionamento di tecnologie, per non parlare del turismo. Quindi, riusciamo a vedere la diversità come una ricchezza.

Altro paradosso: la natura è ricca di diversità, anzi, la diversità è la punta di diamante della natura: è grazie alla diversità che gli ecosistemi stanno in piedi, maggiore varietà genetica esiste, maggiori probabilità ha la vita di proseguire.

E allora perché, la diversità sessuale ci fa paura? Perché spesso non riusciamo a capirla. Mentre ci è facile capire che la Cina riesca a produrre il nostro smartphone preferito essendo una potenza economica mondiale, fatichiamo a comprendere concetti complessi come l’identità di genere, l’orientamento sessuale e via dicendo. La nostra mente semplifica, come sempre, commette di bias cognitivi, riduce tutto alla risoluzione di problemi, meglio ancora se in modo binario: bianco o nero, Sud o Nord, gay o etero (potremmo anche dire Israele e Palestina, visto il momento storico). Perché affrontare la tematica con maggior articolazione richiede più risorse mentali, e il nostro cervello è orientato in qualche modo alla risoluzione rapida e veloce ai temi che ci toccano, soprattutto la mondo d’oggi dove il tempo del silenzio, della meditazione e dello studio sono sostituiti dalla fretta quotidiana.





[Fonte Wired.it]