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giovedì, Giu 20

Giornata mondiale del rifugiato, cosa sbagliamo nel parlare delle migrazioni


Il report del Cnr “Imago migrantis” ha analizzato la rappresentazione dei migranti sui media: agli immigrati-persone si preferiscono le scorciatoie del campo profughi e del filo spinato. Alimentando il “noi” contro “loro”

(foto: Pool LE FLOCH/TRAVERS/Gamma-Rapho via Getty Images)

Come viene rappresentato il fenomeno migratorio da parte dei media online italiani ed europei? È la domanda su cui invita a riflettere il rapporto “Imago migrantis: migranti alle porte dell’Europa nell’era dei media” che verrà presentato mercoledì 26 giugno a Roma, a Palazzo Merulana, con la partecipazione di Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, e Gianfranco Rosi, regista di Fuocoammare, Orso d’Oro a Berlino nel 2016.

La scelta di Palazzo Merulana non è stata casuale perché situato in uno dei quartieri di Roma, l’Esquilino, con un’elevata percentuale di popolazione immigrata”,spiega a Wired Adriana Valente, dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irpps) e coordinatrice dello studio.

La ricerca ha preso in considerazione undici quotidiani online di quattro stati: Francia, Grecia e Regno Unito, tra i primi sei paesi europei per numero di prime richieste di asilo nel 2016. Sono stati individuati otto eventi chiave nel corso di quell’anno e, di questi, sono state prese in esame le notizie uscite il giorno dell’evento e i giorni precedente e successivo: la distruzione della Jungle di Calais; le proteste di Ventimiglia; lo sgombero del campo di Idomeni; la visita del Papa all’hotspot di Lesbo; il referendum in Ungheria sull’accettare la redistribuzione dei migranti negli stati europei; il trattato tra Ue e Turchia per regolare il flusso migratorio proveniente da Siria e Afghanistan; la celebrazione della Giornata della memoria e dell’accoglienza a Lampedusa e l’assegnazione dell’Orso d’Oro a Fuocoammare.

È stata una ricerca che io chiamo circolare” afferma Valente “perché geograficamente questi otto eventi partono da Calais, passano per Ventimiglia, Lampedusa, Idomeni, l’Ungheria e poi Berlino, quasi a creare un cerchio”.

Attraverso motori di ricerca come Alexa e Similarweb, gli autori hanno individuato le testate online con il maggior numero di visite e dove c’era la possibilità di lavorare su archivi online accessibili a tutti. I quotidiani italiani oggetto di analisi sono stati La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Fatto quotidiano, La Stampa e Il Giornale. All’estero, per ogni paese sono stati selezionati due quotidiani che avessero connotati politici opposti, progressisti contro conservatori: Efimerida ton Syntakton (progressista) e I Kathimerini (conservatore) per la Grecia; Le Monde (progressista) e Le Figaro (conservatore) per la Francia; The Guardian (progressista) e Daily Mail (conservatore) per il Regno Unito.

Nel complesso la ricerca ha portato all’individuazione di 3972 unità documentarie: 3.020 immagini (76%), 637 testi (16%) e 315 video (8%).

I grafici mostrano come il quotidiano conservatore Daily Mail sia quello che, in assoluto, pubblica più notizie, foto e video sul tema dell’immigrazione, molto più di quanto avviene in Italia. “Va detto” – afferma Valente – “che questa raffigurazione trae in inganno: il Daily Mail pubblica moltissimi articoli, tutti molto brevi, e molte foto. Se volessimo escluderlo, vedremo che tutte le testate progressiste vantano il maggior numero di unità percentuale di testi scritti”.

I quotidiani italiani non sono peggio degli altri, anche rispetto a quelli europei” continua Valente, “anzi, hanno dato un contributo di assoluto valore”. Eppure esiste una contraddizione: per i dati rilevati dall’Eurobarometro nel 2017, sono proprio gli italiani ad avere la maggiore deformazione nella percezione della presenza di immigrati nel nostro paese. In racconta la ricerca Imago migrantis, la distanza tra fenomeno migratorio reale e fenomeno percepito è tra le più ampie e quest’ultimo sovrasta il precedente di più di un triplo: la media delle risposte degli intervistati identifica nel 24,6% la proporzione degli immigrati rispetto alla popolazione del paese, mentre i dati Eurostat mostrano una incidenza di immigrati in Italia pari al 7% della popolazione.

Arrivando all’analisi dei testi, secondo il rapporto del Cnr, in nessuno dei quotidiani considerati gli articoli sono in grado di oltrepassare i due frame narrativi dominanti: quello dell’accettazione morale e compassionevole e quello del migrante come problema e pericolo per la società. Questi due registri, in teoria contrapposti, sembrano invece funzionali – sia nel caso delle testate conservatrici che progressiste – a mantenere vivo nell’immaginario del lettore uno scenario quotidiano contraddistinto da un noi che si contrappone a un loro. Questa situazione è forse in parte dovuta al fatto che gli articoli sono prevalentemente di cronaca, lasciando poco spazio alla testimonianza diretta degli attori del fenomeno migratorio.

Solo in un numero esiguo di casi (2% di tutti i testi analizzati)” – racconta lo studio – “il registro dell’accettazione si è tradotto in un riconoscimento degli immigrati come risorsa (culturale o economica) o come portatori di diritti, in particolare in corrispondenza di eventi istituzionali orientati alla solidarietà quali le celebrazioni di Lampedusa e la visita del Papa a Lesbo, ma perlopiù in una declinazione utilitaristica, entro la quale il migrante deve giustificare la propria presenza e la propria mobilità affinché siano riconosciuti, se non i propri diritti, le proprie necessità”.

Le conclusioni del report sono, purtroppo, negative quanto a riconoscimento, nella narrazione dei media, del migrante e del rifugiato come persona portatrice di diritti: il documento passaporto, ad esempio, non viene quasi mai citato o raffigurato; semmai è preferita l’immagine del barcone, del campo profughi, del filo spinato, del continuo passaggio da un luogo all’altro accompagnati da zaini, sacchi neri e trolley “quasi a voler fornire al pubblico” – secondo gli autori citati nello studio – “vere e proprie ‘scorciatoie cognitive’ per dare un senso agli eventi”.

Solo le foto, che rappresentano la gran parte del materiale analizzato in questa ricerca, sembrano capaci di aprire all’empatia, facendo leva sull’emotività, stimolando a intraprendere delle azioni positive come risposta allo sdegno e all’indignazione. Tuttavia, vi sono foto che presentano la sofferenza come un qualcosa di irrimediabile, statico, portando “con sé il rischio dell’assuefazione” e, infine, dell’indifferenza.

Questo tipo di rappresentazione” – afferma il report – “non è in grado di mostrare che, dietro le immagini di masse di corpi brulicanti, le storie individuali possono produrre risorse, costituire valori, svelare identità”. Tale rappresentazione, conclude Adriana Valente, “rifugge dalla storia della persona, dall’obiettivo migratorio di ogni singolo individuo, dalle sue potenzialità e dalle risorse che può offrire alla società nella quale noi viviamo”.

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