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mercoledì, Feb 24

Godfather of Harlem, bel gangster movie in formato seriale



Da Wired.it :

Il sontuoso e struggente biopic sul boss criminale Bumpy Johnson e le lotte per i diritti civili dei neri degli anni ’60 è la novità migliore di Star su Disney+.

Una quindicina di anni fa usciva nelle sale American Gangster, biopic in salsa criminal di Ridley Scott con Denzel Washington nei panni del (vero) boss malavitoso newyorkese degli anni ’60 Frank Lucas. Lucas era il fedele braccio destro del mafioso Bumpy Johnson, il protagonista di The Godfather of Harlem, biopic, period drama, gangster movie in formato seriale nonché la punta di diamante tre le produzioni inedite che hanno esordito sulla neonata Star di Disney+. Dieci episodi prodotti da Epix, la firma di Chris Brancato e Paul Eckstein (già creatori di Narcos), il premio Oscar per L’ultimo re di Scozia Forest Whitaker nei panni del protagonista negli ultimi anni del suo regno, e una delle ricostruzione dell’epoca più autentiche e suggestive viste in tv (in questo senso The Godfather of Harlem è una sorta di “Mad Men ad Harlem), tra club dove suonano il jazz e il bebop fumosi e affollati, stanze d’hotel lussuose e barocche e i locali spogli e bui dove si consumano i delitti più efferati. Ciascun episodio è immerso in una colonna sonora strabiliante che appaia hip hop e jazz, tracce inedite e classici dell’epoca senza che questo accostamento diventi mai dissonante.

Bumpy Johnson, figura di rilievo del crimine organizzato al pari di Al Capone, torna nella “sua” Harlem dopo dieci anni di carcere ad Alcatraz; dieci anni di soprusi, violenze e isolamento che lo hanno traumatizzato irrimediabilmente. Al suo ritorno è un uomo stanco e provato ma combattivo, e la mafia italiana, rea di aver rubato i suoi territori, si ritrova a fare i conti con un vecchio leone restio a cedere la corona. Durante la sua assenza, tuttavia, il mondo è cambiato e la lotta per i diritti civili dei neri è a una svolta capitale grazie alla presenza di Malcolm X. In un momento cruciale della narrazione l’attivista predica “Se il governo non ci protegge abbiamo il diritto di difenderci da soli con ogni mezzo possibile”: Godfather of Harlem è un gangster movie formato seriale ma solo a metà, l’altra metà è la ricostruzione di un periodo infuocato della storia americana segnato dalle rivolte degli afroamericani.

Questa doppia natura della serie implica già parecchia carne al fuoco, ma gli autori non si fermano lì. In Godfather of Harlem queste due linee narrative indissolubili (Malcolm X e Bumpy Johnson sono costantemente in contatto, nonostante l’evidente conflitto etico: per il primo la supremazia bianca si fonda sull’asservimento dei neri tramite l’uso di droghe; per il secondo è proprio lo spaccio di stupefacenti l’origine del suo successo) non sono prevalenti. Brancato e Eckstein dedicano spazio anche al legame tra forze dell’ordine corrotte e mafia italiana – di cui sono esponenti il feroce Gigante, appropriatosi dei territori di Bumpy, e Costello, mentore di quest’ultimo – e al romance proibito tra un ragazzo nero e una bianca. “Romeo e Giulietta non è una storia d’amore, è la storia di due ragazzini stupidi che finiscono morti” dice a un certo punto Bumpy, deciso a separare la coppia per affrancarli dalle rivendicazioni razziste di Gigante.

Il Bumpy Johnson (figura seminale eppure quasi dimenticata del mondo della criminalità organizzata) di Whitaker è protettivo e paterno, e vive secondo un’etica personale da mafioso d’onore che dopo il suo ritorno nel mondo della criminalità suona obsoleta e risibile, soffocata nella corruzione che unisce i criminali come Vincent Gigante e la polizia venduta. È un personaggio bellissimo in una gangster story dove la psicologia dei personaggi prende il sopravvento sugli eventi, e a cui Whitaker riesce a conferire un sommesso eppure mastodontico carisma, una brutalità sconcertante, una gravitas altera stemperata da una malinconia struggente. C’è un po’ dell’aura del re del bebop Charlie Parker incarnato da Whitaker trent’anni fa, in questa interpretazione.

Whitaker è il perno della narrazione, ma Godfather of Harlem resta una serie corale, nella quale spiccano il citato Malcolm X di Nigél Thatch (il quale aveva già ricoperto questo ruolo in Selma) e di Adam Clayton Powell Jr. (Giancarlo Esposito in, forse, la sua prova attoriale migliore). Il primo, portavoce della lotta per i diritti civili dei neri basata sull’attivismo e la fede islamica, il secondo fautore di una linea politica astuta e corroborata dalla religione cristiana. In questo scenario lacerato dalle dicotomie si annoverano anche Gigante (Vincent D’Onofrio) e Frank Costello (Paul Sorvino), sostenitori di due modelli mafiosi, uno più violento e corrotto e l’altro più onorevole. Sono loro a ricordarci che Godfather of Harlem si iscrive in uno dei generi più tipicamente americani e hollywoodiani: la saga del Padrino, Scarface, Quei bravi ragazzi e le altre opere di Martin Scorsese (compresa Boardwalk Empire), tutti facenti parte di un genere fortemente codificato nel quale convivono la messa in scena della violenza più brutale e la concezione (a volte romantica o nostalgica) dei mafiosi d’onore.

La storia di mafia costellata di boss della mala dall’inconfondibile accento italo-newyorkese si adatta perfettamente al formato seriale in Godfather of Harlem, diventando ancora più epica e monumentale. A questo proposito, Brancato ha pensato bene di rimpolpare il cast con i volti noti dei gangster movie sulla mafia italiana come Paul Sorvino a Chazz Palminteri. Tuttavia, come anticipato, neanche i tempi dilatati della narrazione seriale aiutano questo show a salvarsi dalla confusione: a volte Godfather of Harlem si “perde via”, indebolita dalla coesistenza di troppe sottotrame. È l’unico vero difetto che si può trovare a questa produzione rimarchevole, della quale è già stata confermata una seconda stagione.

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[Fonte Wired.it]