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Golden dose di Mounjaro, quali sono i rischi e perché potrebbe riflettere la paura di riprendere peso

da | Giu 24, 2025 | Tecnologia


“Faccio la Golden dose di ogni penna che uso. Mi sembra uno spreco non farlo”. È il commento di un utente su Instagram che assume Mounjaro, il farmaco agonista dei recettori GIP e GLP-1 prescritto per il trattamento del diabete di tipo 2 e utilizzato off-lable per la perdita di peso. Con l’aggiornamento della nota 100 dell’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA), dal 23 febbraio 2025 il costo è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale; per ogni altra indicazione non autorizzata, resta a carico del cittadino. Che i social possano fornire dati orientativi alle comunità scientifiche lo dimostra uno studio dell’Università di Stanford che analizza oltre 390.000 discussioni su Reddit utilizzando Large Language Models (LLM) per valutare la percezione pubblica di Ozempic, Wegovy e Mounjaro (i più citati dagli utenti): l’impatto psicologico positivo generato da questi farmaci è tale da compensarne gli effetti collaterali, ma sembra scoraggiato dalla frustrazione per i costi troppo alti e dalla difficoltà nel reperirli. Entrambe buone ragioni per autosomministrarsi la Golden dose, un residuo di tirzepatide che resta nella penna di Mounjaro completate le 4 iniezioni standard (una a settimana per un mese): la presenza effettiva dei 0,6 mg extra serve però a garantire la corretta erogazione di queste ultime.

Per il Dr. Edoardo Mocini, Medico Chirurgo e Specialista in Scienza dell’Alimentazione, non è da considerarsi una vera dose da iniettare, oltretutto senza indicazioni mediche. Su Tik Tok è virale il contrario: il social che per primo ha sdoganato la Golden dose abbonda di tutorial che mostrano come estrarre la quantità residua con l’aiuto di una siringa sterile con ago sottile da insulina -facilmente reperibile su Amazon in confezioni formato convenienza, onde evitare il rischio che “Se andassi a prenderle così spesso in farmacia sembrerei un tossicodipendente” , come dice un tiktoker mentre picchietta la siringa con la dose d’oro prima di pungersi la pancia. La maggior parte degli utenti online tratta Mounjaro come un farmaco open source: ogni dosaggio risulta modificabile, potenziabile e discutibile a proprio piacimento. “Non avere fretta di aumentare. Io sono rimasto sulla penna da 2,5 mg per due mesi”. I farmaci anti-obesità non agiscono allo stesso modo su tutti i pazienti, e lo fanno ancora più lentamente senza sport e diete adeguate. L’escamotage attraverso cui estrarre la Golden dose è rischioso: dopo l’utilizzo, le penne di Mounjaro non sono più sterili e il liquido residuo prelevato con un’altra siringa potrebbe entrare a contatto con batteri nocivi. Se iniettato, causerebbe un accumulo di pus. Se non trattato, potrebbe diventare sepsi -un’infezione mortale nel 27% dei casi. Un rischio al quale alcuni pazienti si erano già esposti l’anno scorso quando con le penne monodose di Mounjaro facevano l’opposto, smontandole con una pinza idraulica per ricavarne micro dosi (fino a 2 in più). Come spiega la giornalista Sarah Zhang su The Atlantic , manomettere le penne sembrava una soluzione universale a più problemi -in primis il costo elevato della tirzepatide, che negli States dipende anche dal piano assicurativo stipulato per i farmaci da prescrizione: chi beneficia dei programmi di assistenza sanitaria finanziati dal governo statunitense (come Medicaid e Medicare) non ha diritto alla Mounjaro Saving Card, un programma di risparmio che permette di pagarlo 25 dollari da 1 a 3 mesi (idonei i cittadini che hanno un’assicurazione commerciale). Oltre ai dollari risparmiati, i micro dosaggi garantivano di poter personalizzare il trattamento -facile da fare con le penne di Ozempic, regolando le dosi in base ai click– e di contenere alcuni degli effetti collaterali (stipsi, nausea, dissenteria): per qualcuno, il dosaggio minimo era comunque eccessivo. Quanto alla Golden dose, l’urgenza di aggirare il costo di una penna supera le preoccupazioni legate al sovradosaggio, specie quando l’eccesso di farmaco è visibile a occhio nudo e sembra liquidità più che mai nell’accezione economica del termine. Ipotizzando di dover assumere Mounjaro per un anno, su 12 penne (1 al mese, che eroga 4 dosi) se ne pagherebbero 10: iniettarsi anche la quinta dose sarebbe come ottenere gratis 1 penna ogni 4. La salute cosa ci rimette? “È possibile che gli effetti collaterali possano aumentare in termini di intensità e di frequenza, diminuendo la tollerabilità del paziente e compromettendo l’efficacia del trattamento nel lungo periodo” spiega il Dr. Mocini. Il dosaggio di Mounjaro va aumentato gradualmente per permettere al corpo di abituarsi. “Ogni farmaco ha un margine terapeutico entro cui è stato studiato e validato ed entro cui risulta sicuro ed efficace. Spostarsi fuori da quel margine significa entrare in un territorio poco conosciuto, dove i rischi possono superare i potenziali benefici”.

I rischi della Golden dose

Una quantità eccessiva, come quella raggiungibile nel tempo con la Golden dose, può portare a uno degli effetti collaterali più gravi: la pancreatite acuta, un’infiammazione causata dal rilascio di enzimi digestivi che danneggiano il pancreas. I farmaci anti-obesità imitano due ormoni prodotti dalle cellule L e K dell’intestino tenue durante i pasti: GLP-1 (peptide-1 simile al glucagone) e GIP (peptide inibitore gastrico). Il primo stimola il pancreas a produrre più insulina (che modera la glicemia) e blocca la produzione di glucagone (che aumenta la glicemia); GIP induce il pancreas a produrre insulina in risposta a un pasto. La perdita di peso è favorita dalla riduzione del senso di appetito, perché la digestione rallenta. Liraglutide e semaglutide imitano GLP-1, la tirzepatide GLP-1 e GIP. Online c’è chi ammette di essere passato dalla semaglutide alla tirzepatide “per dimagrire meglio”: nello studio SURMOUNT-5 finanziato da Ely Lilly (che produce Mounjaro e Zepbound) e pubblicato su The New England Journal of Medicine, 751 adulti obesi senza diabete o in sovrappeso complicato sono stati trattati con tirzepatide e semaglutide (assegnate in modo casuale) per 72 settimane. I soggetti che hanno assunto tirzepatide hanno perso il 20,2% del loro peso; in quelli trattati con semaglutide, il peso è calato del 13,7%. Se Mounjaro è più efficace e però ci si sta iniettando Ozempic o Wegovy (prodotti dalla danese Novo Nordisk), cambiare opzione terapeutica è rischioso? Interessante lo studio condotto dall’Università Thomas Jefferson di Filadelfia sugli effetti del passaggio diretto dagli agonisti del GLP-1 a tirzepatide 5 mg, bypassando il dosaggio iniziale da 2,5 mg. A distanza di 12 settimane si è dimostrato sicuro in termini di controllo glicemico e di riduzione del peso: solo lievi effetti collaterali gastrointestinali e rari cali glicemici. Se ciò potrebbe orientare il medico nella personalizzazione della terapia -valutando le risposte cliniche del paziente e restando entro i limiti delle indicazioni ufficialmente approvate- non può certo incentivare il paziente a fare di testa propria.

Il bias di peso nel rapporto medico-paziente

Perché con Golden dose, sottodosaggio o switch tra semaglutide e tirzepatide, la tendenza all’autosomministrazione è così dichiarata? Svela lo psichiatra Michele A. Rugo nel suo saggio Obesità (2025, Raffaello Cortina Editore) che l’obesity stigma si estende fino ai contesti sanitari: anche il medico pensa “Tanto ormai” -come desumiamo pensi di sé la persona obesa, considerata priva di autocontrollo e forza di volontà. Pazienti demotivati diventano demotivanti per chi li segue: il saggio evidenzia un forte senso d’impotenza sul piano professionale e il disagio provato quando si cerca di parlare ai pazienti della loro condizione. L’obesità sembra essere la classica battaglia persa: non è raro che i medici considerino le visite una perdita di tempo. Per l’obeso, ricorrere al fai da te potrebbe essere un modo per sottrarsi allo stigma percepito, ma a discapito della sua salute. Uno studio australiano ripreso su International Journal of Obesity conferma che il bias di peso possa influenzare il lavoro dei dietisti sui pazienti obesi ricoverati nei reparti di terapia intensiva: oltre ad ammettere l’obesity stigma assimilato nel percorso formativo, i professionisti evidenziano i limiti del sistema ospedaliero, carente di linee guida su come prestare assistenza ai pazienti obesi. I dietisti evitano interventi nutrizionali, rimandati a quando il paziente sarà dimesso, perché in terapia intensiva l’obesità non è considerata prioritaria; i pazienti sono evitati anche per il timore di arrecare disagi emotivi e psicologici. Gli esperti dell’Obesity Medicine Assosciation hanno invece analizzato i limiti nell’assistenza primaria: cruciale quello che riguarda i medici di base, figure chiave dell’ecosistema sanitario, spesso non adeguatamente retribuite per il trattamento dell’obesità e perciò disincentivate a dedicarvi tempo e risorse, dando priorità alle comorbidità associate. I giudizi negativi sul peso dei pazienti portano spesso questi ultimi a rinunciare alle cure.

Restare magri

Secondo il Dr. Rugo una svolta significativa potrà verificarsi solo quando l’obesità sarà considerata una malattia psichica e potrà finalmente contare su un approccio multidisciplinare che integri la psicoterapia. Intanto c’è gente che aspetta di restare sola in casa prima di iniettarsi Mounjaro. Nascondere le prime settimane di trattamento è spesso conseguenza di un confronto fallimentare avuto tempo prima con qualcuno di cui si vorrebbe il supporto: “Perché non puoi semplicemente mangiare di meno e fare una passeggiata in più?”, è la domanda che diversi utenti su Instagram si sono sentiti fare dal proprio partner. A seguito della delusione, assumere farmaci anti-obesità diventa motivo di vergogna -seppur non comprometta l’inizio (o il mantenimento) della terapia, socialmente giudicata una scorciatoia per perdere peso. “Fino a qualche anno fa lo si diceva della chirurgia bariatrica. L’eccesso adiposo patologico è una malattia, pertanto non esistono terapie scorciatoia. Gli antidepressivi non sono una scorciatoia rispetto alla psicoterapia, così come i farmaci per l’obesità non lo sono rispetto a un cambiamento dello stile di vita”, chiarisce il Dr. Mocini. Scrive ancora il Dr. Rugo nel suo saggio, che lo stigma non ha fine: “Si è rifiutati perché si è troppo grassi, si è rifiutati perché ci si cura con la chirurgia, si è rifiutati perché ci si cura con i farmaci […]. Sul piano dell’Altro non sembra esserci scampo”.

La possibilità di recuperare i kg persi comporta il terrore di sospendere le iniezioni: sul piano economico, lo studio condotto dai ricercatori della University of South Florida e pubblicato sulla rivista Surgical Endoscopy, ha confrontato i costi cumulativi degli agonisti del recettore GLP-1 con i costi fissi di due interventi di chirurgia bariatrica: bypass gastrico Roux-en-Y e sleeve gastrectomy. Solo per citare uno dei risultati (tenendo conto del contesto americano e del periodo in cui lo studio si è svolto), è interessante notare che il costo dato dall’uso costante di Wegovy superi quello del bypass gastrico in meno di un anno e quello della sleeve gastrectomy in meno di nove mesi. Dalla loro ascesa a metà degli anni 2000, i farmaci anti-obesità hanno surclassato il ricorso alla chirurgia bariatrica (nata in Svezia nel 1952), considerata il benchmark per curare l’obesità. L’approccio integrato è un’ulteriore opzione, conferma il Dr. Mocini: “I pazienti candidabili alla chirurgia possono trarre beneficio da un trattamento farmacologico pre-operatorio per ridurre il rischio chirurgico, mentre altri possono assumere farmaci nel post-operatorio per gestire un eventuale recupero del peso. Il medico obesiologo definirà il percorso terapeutico più appropriato in base alla sua valutazione individuale, condivisa con il paziente”. L’apprensione per il mantenimento del peso corporeo sembra vanificare il dimagrimento: già Virginia Hughes in un articolo sulla chirurgia bariatrica su Nature riportava un dato significativo della University of Pittsburgh Medical Center in Pennsylvania sul numero di pazienti che, quando apprendevano di poter recuperare il loro peso, rinunciavano all’operazione: su 1500 persone, solo 700 si sottoponevano all’intervento. Per i farmaci anti-obesità, l’incertezza è legata al timore d’interrompere le iniezioni: secondo The Guardian, dall’analisi di 11 studi condotta dall’Università di Oxford emerge che le persone recuperavano tutto il peso a un anno dalla sospensione del trattamento.

Nella Golden age degli agonisti GIP e GLP-1, la sfida decisiva non sarà “oltre la tirzepatide”: non riguarderà lo sviluppo di nuovi farmaci ancora più efficaci per la perdita di peso, ma di una soluzione che possa impedire di recuperarlo quando si smetterà di assumerli. Un’era post-Mounjaro che miri a preservare non soltanto l’immagine del corpo, ma la salute del corpo -poiché un nuovo aumento del peso aggraverebbe il rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e ipertensione. Sono in corso studi sperimentali su terapie dimagranti post GLP-1 per impedire il rimbalzo ponderale, ma fintanto che il recupero del peso resta un fatto certo, sospendere un farmaco anti-obesità sarà come terminare una relazione, sapendo che si dovrà ricominciare.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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