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martedì, Mar 03

Grazie all’autobiografia di Woody Allen, ora anch’io ho paura del coronavirus



Da Wired.it :

Il comico Saverio Raimondo, grande fan del regista di Manhattan, adesso teme di non arrivare vivo alla prossima pubblicazione dell’autobiografia Apropos of Nothing: il compimento di 50 anni di carriera passati a raccontarsi

Disclaimer: la persona che state leggendo in questo momento è uno a cui piace tutta l’opera di Woody Allen, mi è piaciuto anche To Rome With Love, mi piace persino ascoltarlo suonare il clarinetto. Woody Allen mi piace quanto Fellini, Bergman, New York, Parigi, il baseball e il jazz di New Orleans piacciono a Woody Allen. Insomma, parafrasando: non ho paura della morte, spero solo di non esserci quando succederà a Woody Allen.

Ecco perché la notizia che ad aprile uscirà la sua autobiografia (il 7 in Usa, il 9 qui in Italia per La Nave di Teseo) per me è una notizia grandiosa. Lo è in primis da lettore: ho finalmente una ragione per farmi prendere anche io dalla psicosi per il coronavirus, non posso rischiare di morire prima di averlo letto! O, come direbbe Isaac Davis sdraiato sul divano del suo appartamento di Manhattan, “ho una ragione in più per cui vale la pena vivere”.

Secondo, è un’ottima notizia per lo stato di diritto: l’isteria collettiva da #MeToo, che fino a qualche mese fa sembrava aver impedito a questa autobiografia (scritta durante l’anno di inattività forzata per il più grande umorista vivente) di trovare un editore, non ha infine impedito che vedesse la luce. Insomma, la notizia grandiosa è che chi vorrà potrà leggere Apropos of Nothing (400 pagine, dicono). E non certo per cercare la versione di Woody Allen sulla nota e tumultuosa vicenda Mia Farrow-Soon Yi, dato che in proposito si è già pronunciato un tribunale un quarto di secolo fa, scagionando Allen da ogni accusa, seppur oggi rispolverate cinicamente da Mia Farrow e (alcuni) figli chi per rancore, chi per calcolo, chi per plagio mentale.

L’interesse, semmai, è per come Allen racconterà sé stesso: cosa a cui è avvezzo, ma sempre e da sempre attraverso il filtro e la mediazione della fantasia, dell’invenzione. Sin dai tempi in cui Woody Allen esordì come stand-up comedian, il suo umorismo e la sua creatività si sono concentrati nel lavoro su sé stesso. Mentre Lenny Bruce parlava delle ipocrisie della società americana, mentre Mort Sahl parlava di attualità politica, è dalla metà degli anni ’60 che Woody Allen parla di Woody Allen: delle sue nevrosi, delle sue aspirazioni e dei suoi limiti, dei suoi conflitti, del suo contesto. Un discorso che ha iniziato sui palchi dei night club e ha poi proseguito di film in film, attraverso i vari Allan, Alvy, Ike, Mickey, Gabe, ma anche nei più recenti Sid (Scoop, 2006: dove si ritrae con sincerità e un pizzico di autocommiserazione, come un vecchio e patetico artigiano delle prestidigitazione) e nell’ultimo Gatsby (A Rainy Day in New York, rievocazione del Woody giovanile, passione per il gioco d’azzardo inclusa, con il volto di Timothée Chalamet; e a chi obbietta che sia un alter ego sin troppo bello per il nostro, risponde Isaac Davis sempre da Manhattan: “Io a qualche modello dovrò pur ispirarmi!”).

Seminandosi qui e lì, dissimulando e manipolando, diluendo omeopaticamente la sua autobiografia dentro storie, personaggi, situazioni e gag madornali, sono più di 50 anni che Woody Allen ci racconta la sua vita, esteriore e interiore. Ma è stato lui stesso a metterci in guardia, e a dare così un senso a una sua eventuale autobiografia: di intervista in intervista, WA ha sempre detto che quello che vediamo sullo schermo non è lui, ma una versione esagerata di sé – come la comicità impone: citofonare Villaggio per una lezione sull’argomento. Woody Allen nella sua opera è sempre stato autentico, sincero; ma Apropos of Nothing potrebbe essere la prima volta di Allan Stewart Konigsberg, suo vero nome: nudo e crudo, off the record, senza bianco e nero estetizzante o musiche di Gershwin. Oppure no; e sarà l’ennesima, piacevolissima variazione sul tema Woody Allen.

Una cosa è certa: il titolo, quel nichilista e disincantato “a proposito di niente” che sulla copertina americana – e speriamo anche italiana – sarà bianco su sfondo nero (e come sennò!), è perfettamente coerente a come Woody Allen si è sempre raccontato, specie negli ultimi anni: come una sorta di equivoco, un uomo più fortunato che talentuoso, poca cosa rispetto ai veri grandi. Sicuramente questa autovalutazione è un po’ una posa, un atteggiamento figlio di quella self-deprecation che i veri comici sanno bene essere il segreto della comicità; ma proprio per questo quel titolo è un indizio, se non la prova, di quanto questa autobiografia sia personale: come scrisse il New Yorker, “per la vecchia guardia, la parodia era una tecnica; per Allen, è un giudizio sull’esistenza”. A cominciare dalla propria.

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[Fonte Wired.it]