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sabato, Gen 04

Gregoretti, Conte e Di Maio devono spiegare le differenze col caso Diciotti


La memoria difensiva di Salvini, allora ministro dell’Interno, coinvolge l’intero esecutivo giallobruno. Due le ipotesi per i vertici di quel governo: furono esautorati dal leader leghista, e allora dovrebbero dimettersi anche fuori tempo massimo, oppure erano al corrente

La nave Gregoretti in una foto d’archivio (Michele Amoruso/Ipa)

Matteo Salvini si difende e spedisce alla giunta per le immunità del Senato la sua memoria difensiva, preparata dall’avvocato e senatrice, nonché ex ministra leghista, Giulia Bongiorno. Il caso, si sa, è quello del blocco della nave Gregoretti della Guardia Costiera italiana fra il 26 e il 31 luglio scorsi: l’unità aveva salvato 131 migranti ma, secondo la linea dei “porti chiusi” imposta dall’allora ministro dell’Interno, non gli è stato consentito di attraccare tempestivamente ed è rimasta per giorni in rada appena fuori dal porto di Augusta, in provincia di Siracusa, in condizioni critiche tali da compromettere l’incolumità delle persone a bordo. La procura aprì un’inchiesta proprio in quei giorni e alla metà di dicembre il Tribunale dei ministri di Catania ha chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini. L’accusa è la stessa per il caso Diciotti dell’anno precedente: sequestro di persona.

Questa la cronaca. La questione politica è invece ben più complicata, perché in mezzo c’è stato un cambio di maggioranza parlamentare e quindi di governo. Dai giallobruni ai giallorossi, con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il leader di un Movimento 5 Stelle in esplosione, Luigi Di Maio, che si mostrano fortemente possibilisti rispetto alla concessione dell’autorizzazione a procedere, tramite voto favorevole in giunta e poi a palazzo Madama dei parlamentari pentastellati, che si aggiungerebbero a quelli del Pd, di Leu, forse di Italia viva (tranne inghippi dell’ultimo secondo fra i due Mattei) e di altri senatori. Stavolta, insomma, non basterebbe neanche tutto il centrodestra unito, a salvare l’ex ministro dal processo.

Per farsi un’idea, Di Maio ha più volte pronunciato frasi tipo: “Mi pare che Salvini abbia sempre detto di non avere nulla da temere, ora fa la vittima. Penso sia ben chiaro che la questione Gregoretti non è come quella della Diciotti. La Gregoretti è stata solo propaganda del ministro Salvini, che a un certo punto cominciò ad annunciare il blocco delle navi militari”. Aggiungendo: “Per il caso Diciotti Salvini diceva che non aveva problemi a farsi processare. Adesso lo vedo un po’ impaurito, però è evidente che ognuno deve assumersi le sue responsabilità”. Più sibillino Conte, che tuttavia con Salvini ha un conto aperto da mesi e ha spiegato nella conferenza di fine anno che farà le “verifiche necessarie” e poi comunicherà “le differenze”. Evidentemente la tentazione di azzoppare l’ex capo del Viminale per via giudiziaria, o almeno provarci, è forte per il leader 5 Stelle, tradito in estate dal cortocircuito leghista sul governo e che ora vede la Lega stabilizzata oltre il 30% e il M5S al 18%, così come per il premier.

Eppure la faccenda sembra scivolosa anche per loro. La memoria difensiva di Salvini spiega che delle determinazioni del ministro dell’Interno sono stati sempre tenuti al corrente il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e i ministri competenti. La conferma? Nonostante la notizia fosse di pubblico dominio, non c’è stato alcun ordine opposto da palazzo Chigi, dice la difesa dell’ex ministro. Che sostiene anche l’esistenza di “interlocuzioni scritte” di quei giorni fra Viminale, presidenza del Consiglio e ministero degli Esteri. “Ogni decisione è stata presa in maniera collegiale, condivisa anche nelle trattative con gli altri Stati dell’Unione Europea per la distribuzione dei migranti”. Si cita anche la dichiarazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a La7 del 30 luglio: “C’è un dialogo tra i ministeri delle Infrastrutture, dell’Interno e della Difesa (….) Ringrazio il presidente Conte che continua a porre la questione nelle cancellerie d’Europa”. Insomma, la tesi è quella nota da sempre: da una parte Salvini spiega che tutti sapevano delle sue manovre e nessuno si è opposto, dunque tutti sono corresponsabili di quelle politiche, dall’altra continua a urlare nei comizi di sentirsi come Silvio Pellico.

Propaganda a parte, c’è in effetti un elemento che non torna: sembra improbabile che per la Diciotti – e in molti altri casi – fosse l’intero governo ad aver condiviso la responsabilità del blocco navale, tanto da piegarsi, fare muro e “salvare” Salvini da una identica autorizzazione a procedere lo scorso 20 marzo, e per la Gregoretti no. In altre parole: fosse davvero come dicono Di Maio e Conte, significherebbe che il presidente del Consiglio, responsabile ultimo dell’azione di governo, insieme all’allora suo altro vicepremier, in quei giorni sarebbero stati scavalcati ed esautorati delle loro funzioni e dei loro poteri dall’altro vicepremier e ministro. E quindi, paradossalmente, dovrebbe essere proprio l’avvocato pugliese a correre a dimettersi per manifesta incapacità, in quelle fasi, di guidare l’esecutivo.

Se invece, com’è probabile e sensato immaginare, l’estate della vergogna e dei blocchi navali, della guerra alle ong e dei decreti sicurezza è nata certo su impulso dell’allora ministro dell’Interno ma con azioni e decisioni ben note ai massimi vertici, Conte e Di Maio dovrebbero spiegare in modo molto più preciso in quale misura il caso Gregoretti si differenzi davvero da quello della Diciotti e perché stavolta si dicano sostanzialmente a favore dell’autorizzazione a procedere.

Insomma, tanto sono spaventose le posizioni di Salvini sulle migrazioni, con politiche xenofobe e intollerabili sotto ogni punto di vista, quanto appare pericoloso e perfino controproducente il trasformismo dei suoi ex alleati che oggi vogliono liquidarlo mandandolo a un processo seppellendo al contempo le loro responsabilità dell’epoca, non fossero che di omesso controllo.

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