Seleziona una pagina
giovedì, Gen 09

Hammamet non sa che dire su Craxi (ma per fortuna Favino invece sì)


Ambiguo senza il fascino dell’ambiguità, tedioso e pieno di sentenze e personaggi che pontificano, il film di Amelio non riesce a dare una visione umana né politica. Dal 9 gennaio in sala

Ci sono moltissime domande che occorrerebbe farsi su Hammamet, il film che Gianni Amelio ha tratto dagli ultimi giorni di Bettino Craxi. Cosa racconta esattamente? Qual è il punto? Perché usare proprio gli ultimi giorni? È il rapporto rovinato con l’Italia ad interessargli? È l’orgoglio di uno statista decaduto? O al contrario è la messa in scena della fine di un corrotto? E il film come vede questo personaggio? Non è mai chiaro e, cosa ben più grave, non è mai interessante scoprirlo. Il film mira ad un certo realismo ma ci sarà anche una parte apertamente di finzione, con un personaggio inventato che lo viene a trovare, e pure quella non sarà mai ben chiaro a cosa serva, cosa lasci uscire, con quale obiettivo sia stata scritta. L’impressione è sempre di stare ad un festa in cui tutti gli altri sanno di cosa si parli e con quali intenti.

Tutto Hammamet usa la quotidianità della cattività di questo animale politico in Tunisia per raccontare l’attualità politica dell’epoca (siamo circa 5 anni dopo la fuga) e in un certo senso, ogni tanto, tirare una stoccata all’attualità contemporanea. Niente di davvero rilevante, niente di davvero appuntito. Ad occupare il film è la noia di un’eterna vacanza prigioniera, i dolori e i figli che gli orbitano intorno come anche i fantasmi del passato e i vecchi amici della politica italiana. Tutto è preso in un film terribilmente vecchio stampo (e una volta tanto non lo si intende come un complimento) in cui i personaggi si guardano intensamente per pronunciare le proprie sentenze con enfasi. C’è una valutazione chiara per ogni comprimario anche se non sentiamo i loro nomi veri. Nessuno che sia esistito del resto ha nel film un nome, nemmeno il protagonista (al massimo è chiamato “le président” dai locali). Hammamet preferisce utilizzare il filtro di Garibaldi (aneddoti, nomi e berretti ricorrono spesso), figura notoriamente amata da Craxi, per svicolare quel riferimento diretto che invece le immagini non mancano di fare.

Purtroppo però il film sembra avere ben chiaro solo ciò che non vuole essere. Non vuole essere una parodia, non vuole lavorare sull’ironia, non intende usare filtri di genere, tantomeno il grottesco abusato negli ultimi anni per i ritratti politici. Vuole essere reale ma poi alla fine anche raccontare tramite i sogni (idea che non lo porta molto lontano). Così facendo non riesce mai a disegnare un arco chiaro e si perde di continuo in momenti assurdi come quello in cui il figlio a un evento in casa suona la chitarra e canta Piazza Grande di Lucio Dalla. Tutti cantano e noi vediamo il controcampo di Craxi, come se quel volto, quel momento e quella canzone insieme significassero qualcosa.

Per fortuna dietro Craxi c’è Pierfrancesco Favino, che invece delle idee su cosa fare di questo personaggio ne ha, e come. L’interpretazione tenta l’arrampicata difficile verso il realismo: trucco impeccabile, imitazione perfetta nel tono e nella cadenza. Favino diventa lo specchio di Craxi per dire quel che non gli abbiamo mai sentito dire e per mostrarsi come non l’abbiamo mai potuto vedere. Parlata, tempi, sicurezza e fierezza nella presenza, raccontano un capo naturale costretto in casa con al massimo dei parenti da comandare. È la parte più difficile del film, creare il peso del personaggio, austero e distante ma terribilmente solo e bisognoso di compagnia, capace di essere un gigante ma anche di avere bisogno sempre di qualcuno con cui mangiare, ed è una parte tutta in capo a Favino.

Questo grande statista in disarmo, rottame come il carroarmato attorno a cui parla in una scena dal simbolismo elementare, è reso immobile da un male alla gamba (effetto del diabete) ed immobile effettivamente perché lontano dall’azione. Napoleone a Sant’Elena. Riceve giornali, viene a sapere cosa accade dalla televisione, cammina avanti e indietro, detta memorie, registra video ma in definitiva non può fare niente e non serve a nulla. Piegato dall’orgoglio e piegato dal desiderio frustrato, Favino lo racconta così facendolo muovere sempre nervoso e mai domo, incapace di godere anche quando lo viene a trovare la sua amante storica. Non può esercitare, può solo stare sdraiato e farsi curare: la vera condanna. Unico attimo di godimento è l’agone di quando incrocia un gruppo di italiani in vacanza, loro lo attaccano e lui ci va a nozze. È felice. Le battute Favino le recita come se Craxi le avesse imparate a memoria aspettando il momento perfetto per dirle a qualcuno. Per rispondere a tutto quello cui non ha mai risposto. C’è più in quei tempi e in quella prontezza, in quella fermezza e arroganza finalmente riconquistata, quasi con un sorriso malandrino, che in tutto il resto della sceneggiatura.

Potrebbe interessarti anche





Source link