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Dall’altra parte c’è Adria Arjona, femme fatale perfetta che entra in questo film come Jane Greer entra nel locale di Le catene della colpa (il film di Jacques Tourneur del 1947, tutto detective in bianco e nero, sigarette e impermeabili), unendo cioè un fascino irresistibile a un’intelligenza superiore. Ci saranno ovviamente problemi, rivali che potrebbero scoprire che l’agente ha una tresca con la sospettata e una serie di equivoci da gran commedia viennese. Hit Man è il raro film che prende una struttura classica, le basi della grande commedia, e la rende imprevedibile, nuova e accattivante.

Qui non è mai chiaro chi sia la preda e chi il predatore. Siamo portati a pensare (come sempre) che l’uomo stia conquistando la donna, fingendosi quello che non è, ma più volte sembra l’opposto. Forse è questa la vera natura dei due, forse è nel resto della vita che hanno recitato e forse, in una misura minore, tutti recitiamo una parte per conquistare qualcuno e nel farlo cambiamo. Al di sotto del primo, esilarante, livello di lettura Hit Man è anche un film che parla proprio di come si reciti nella vita di tutti i giorni, che mostra al pubblico come funzioni l’immedesimazione di un attore professionista, che conseguenze abbia e attraverso quali tecniche si diventi un altro. In ultima analisi, come fare qualcosa per finta abbia conseguenze reali e alla fine addirittura diventi la realtà (per chi l’ha visto, in fondo è lo stesso discorso di Un oscuro scrutare). E quando i due protagonisti dovranno fingere una conversazione, improvvisandola per non farsi beccare da chi li sta ascoltando, in una delle scene più divertenti, stiamo addirittura vedendo come si dirige un film, cioè stiamo vedendo due persone che recitano e che mettono in scena qualcosa che non sta accadendo realmente, a beneficio di un pubblico che ascolta. Il cinema non è qualcosa di remoto, è la nostra vita.



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