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mercoledì, Feb 16

Hiv, una donna sembra essere “guarita” dopo un trattamento innovativo



Da Wired.it :

Questa procedura, comunque, non è scevra da rischi, anzi. Una delle complicanze principali è la malattia del trapianto contro l’ospite, una condizione per cui le cellule del donatore trapiantate attivano una risposta immunitaria nei confronti dell’organismo ricevente e che può portare a conseguenze fatali; inoltre, prima che il sistema immunitario si ricostituisca del tutto, passa del tempo e il paziente è esposto al rischio di infezioni anche serie. Insomma, la convalescenza può diventare lunga e il trattamento, anche se ha successo, può lasciare strascichi, tant’è che non è considerato etico sottoporre a trapianto pazienti con hiv che non stiano già rischiando la vita per un tumore.

Il percorso della “paziente di New York”, invece, è stato diverso. Le sono state trapiantate cellule staminali del sangue del cordone ombelicale parzialmente compatibili ma con la mutazione naturale che le rende resistenti all’hiv, e il giorno dopo ha ricevuto cellule staminali adulte da un parente stretto aploidentico (cioè compatibile al 50%) che hanno supportato il suo sistema immunitario in attesa che le cellule staminali cordonali trapiantate, dalla crescita più lenta, rimpiazzassero completamente il midollo. Forse proprio per questa combinazione, dicono i medici, la paziente non è andata incontro a malattia del trapianto contro l’ospite e dopo 17 giorni ha potuto lasciare l’ospedale.

Sparite le tracce di hiv

Il percorso terapeutico meno traumatico non è stato il solo fattore interessante del caso. Dopo il trapianto, la leucemia della paziente è andata in remissione e così è da 4 anni. La paziente ha però continuato a assumere la terapia antiretrovirale per 37 mesi. Poi, in accordo coi clinici, ha interrotto i farmaci che servono per tenere a bada hiv.

Oggi, a distanza di 14 mesi, nella paziente non si trovano tracce di hiv, né sotto forma di materiale genetico virale né di anticorpi contro il virus. I ricercatori hanno persino prelevato delle cellule immunitarie dalla paziente e hanno tentato di infettarle con hiv in un esperimento di laboratorio, ma non ci sono riusciti. I clinici, pertanto, considerano l’infezione da hiv della paziente in remissione: non è ancora il caso di sbilanciarsi utilizzando termini come “guarigione” o “cura”, dicono.

Sorprese scientifiche

Non si sa di preciso perché le cose siano andate così bene per la “paziente di New York”. Dal punto di vista scientifico, dunque, l’approccio è stimolante e suggerisce spunti di ricerca. Che le cellule staminali cordonali riescano ad adattarsi meglio all’ospite? O nel sangue del cordone c’è anche qualcos’altro che migliora il processo del trapianto?

In ogni caso secondo gli esperti la possibilità di utilizzare trapianti di sangue del cordone ombelicale parzialmente compatibile aumenta molto la probabilità di trovare donatori adatti: circa 50 pazienti all’anno negli Stati Uniti che potrebbero trarre beneficio da questa procedura.

Anche il fatto che la procedura abbia dato buon esito in una donna è importante dal punto di vista scientifico (ma anche sociale). Sembra infatti che l’infezione da hiv abbia una progressione diversa nelle femmine rispetto ai maschi. Inoltre, nonostante più della metà dei casi di hiv nel mondo sia rappresentata da donne, solo l’11% di chi partecipa ai trial clinici sull’infezione lo è. Forse il trapianto di cellule staminali cordonali per pazienti con hiv e cancro del sangue non diventerà routine, dicono gli esperti, ma di certo il caso della “paziente di New York” apre nuove prospettive e possibilità.



[Fonte Wired.it]