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mercoledì, Ott 23

Hong Kong ha ritirato formalmente la sua legge sull’estradizione


Il provvedimento era stato la causa scatenante delle proteste che vanno avanti da mesi, e la governatrice Carrie Lam è oggetto di voci che vorrebbero le sue dimissioni imminenti

Alcuni manifestanti con indosso indumenti neri. Il colore di questi abiti è diventato un simbolo della protesta e, per questo motivo, la Cina ha vietato di esportare a Hong Kong tshirt di questo colore (foto: Ivan Abreu/SOPA Images/LightRocket via Getty Images)

Il 23 ottobre il governo di Hong Kong ha formalmente ritirato la legge sull’estradizione che ha scatenato le proteste che vanno avanti da giugno. Se il provvedimento fosse stato approvato, le persone residenti nell’ex colonia britannica e sospettate di reati gravi avrebbero rischiato di essere perseguite penalmente in altri paesi – detta meglio: in Cina – e di essere condannate a pene molto più gravi. Secondo i suoi detrattori, la legge avrebbe soprattutto permesso a Pechino di avere una scusa per mettere a tacere i dissidenti politici e aumentare la sua influenza nel governo locale.

La governatrice di Hong Kong Carrie Lam aveva già detto a giugno che la legge era al capolinea e lo scorso settembre aveva annunciato in un messaggio pre-registrato e trasmesso sulla tv nazionale che l’avrebbe ritirato per tranquillizzare l’opinione pubblica.

La notizia della soppressione definitiva del provvedimento è arrivata a poche ore di distanza dal rilascio di Chan Tong-kai, il ragazzo 20enne il cui caso, almeno sulla carta, aveva ispirato l’azione legislativa. Tong-kai era (ed è tuttora) sospettato di aver ucciso la sua ragazza incinta durante un viaggio in Thailandia ma non poteva essere perseguito penalmente ad Hong Kong dato che il reato era stato commesso all’estero.

Cosa succederà ora

Il fatto che la legge sia stata ritirata non metterà fine alle proteste che, col tempo, sono diventate sempre più violente. Ora i manifestanti che scendono in piazza chiedono anche più libertà e democrazia, pretendono un’inchiesta indipendente sull’uso eccessivo della forza da parte della polizia e il ritiro delle accuse a carico degli attivisti e di tutte le altre persone che sono state arrestate, nonché le dimissioni di Carrie Lam, accusata di essere troppo vicino a Pechino.

In pubblico Lam si è sempre rifiutata di fare un passo indietro ma in un audio di un incontro privato con alcuni uomini d’affari che Reuters ha ottenuto la si sente dire che se avesse una scelta, lascerebbe subito il suo posto. Il fatto che Lam sia sostanzialmente sottomessa alla volontà della Cina sarebbe confermato anche dagli avvenimenti più recenti: secondo il Financial Times, la Cina starebbe infatti pensando di sostituirla e di mettere al suo posto il precedente ministro delle Finanze Henry Tang Ying-nien o il capo della Hong Kong Monetary Authority Norman Chan Tak-lam. Pechino ha però smentito il report sottolineando la volontà del governo centrale di continuare a supportare Lam e gli sforzi del governo per mettere fine alle proteste il prima possibile.

Secondo un recente sondaggio, la popolarità di Lam è ai minimi storici e solo il 22,3% degli abitanti di Hong Kong la sostiene ancora.

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