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venerdì, Ago 23

Huawei lancia il guanto della sfida sull’intelligenza artificiale


Passo in avanti del colosso cinese per raggiungere un’offerta completa con un chip e una piattaforma open source. Obiettivo: crescere nel cloud e nell’auto a guida autonoma

Eric Xu, presidente di turno di Huawei, presenta il chip Ascend 910 e la piattaforma Mindspore (foto: Huawei)
Eric Xu, presidente di turno di Huawei, presenta il chip Ascend 910 e la piattaforma Mindspore (foto: Huawei)

I vertici di Huawei lo hanno ripetuto più volte: la compagnia cinese di telecomunicazioni vuole imporsi nel campo dell’intelligenza artificiale. E ora posa due tasselli fondamentali per sviluppare “un’offerta completa”, come ricorda l’amministratore delegato a rotazione, Eric Xu: il primo di un chip per sviluppare sistemi di Ai, Ascend 910. Al quale si accompagna una piattaforma per lo sviluppo di applicazioni per l’intelligenza artificiale, Mindspore.

Abbiamo fatto grandi passi in avanti da quando abbiamo annunciato la nostra strategia per l’intelligenza artificiale a ottobre dello scorso anno”, spiega Eric Xu, amministratore delegato a rotazione di Huawei: “Tutto procede secondo i piani, dalla ricerca e sviluppo al lancio dei prodotti”. Questo chip consentirà a Huawei di aumentare la propria quota di mercato nella promettente industria dei servizi cloud e di giocare un ruolo di primo piano nello sviluppo di tecnologie avveniristiche, come l’auto a guida autonoma.

Il doppio lancio

Ascend 910 approda sul mercato a meno di un anno dal primo annuncio. Huawei lo descrive come “il processore più potente al mondo per l’intelligenza artificiale” (macina 256 teraflop per calcoli Fp16 e 512 teraop di precisione Int8). I test, dichiara Xu, dimostrano che “raggiunge i suoi obiettivi di performance con minori consumi di potenza di quanto originariamente pianificato”. L’uso è l’allenamento di modelli di Ai, per i quali, combinato con Mindspore, “viaggia due volte più velocemente delle altre schede”, fanno sapere da Huawei.

L’obiettivo di Huawei è di entrare di peso nel settore dell’intelligenza artificiale, fornendo tecnologia “più abbondante, adattabile e a buon mercato” (Ascend dovrebbe costare meno della concorrenza) per settori come l’edge computing o l’auto a guida autonoma. “Siamo al lavoro con i produttori di auto per sviluppare soluzioni e componentistica per la self driving car”, dice il presidente di turno. E una divisione specifica del gruppo di Shenzhen sta lavorando ai software e hardware per le auto senza conducente.

Il colosso si concentrerà su dieci aree di ricerca, tra cui ridurre i tempi di allenamento dei modelli da mesi a giorni a minuti; abbassare i costi della tecnologia; sviluppare algoritmi basici e più efficienti dal punto di vista dei consumi; coprire tutti gli scenari di applicazione. In quest’ottica si inserisce di rendere la piattaforma Mindspore open source nel primo trimestre del 2020.

Il blocco di Washington

Oltre a creare un ecosistema di partner industriali e di ricerca, la scelta di varare una piattaforma open source consente di abbassare la temperatura del blocco degli Stati Uniti. Come già ha fatto Alibaba con il brevetto di un suo chip per l’internet of things, anche Huawei ha giocato di anticipo per mitigare gli effetti di futuri giri di vite della Casa bianca nelle forniture tecnologiche dalla Cina. “L’uso di un’architettura open source è pensato per mitigare l’impatto di qualsiasi possibile conflitto geopolitico sui requisiti hardware presenti e futuri”, osservavano gli analisti di Fitch solutions in merito alla mossa di Alibaba.

Ragioni ancor più valide per Huawei, nel mirino dell’attacco Usa. Di recente il dipartimento del Commercio ha aggiunto 46 controllate della multinazionale cinese nella sua black list. E tra queste ci sono anche Huawei Italia e il laboratorio di Segrate, alle parte di Milano, dove si studiano le microonde.

L’autonomia sui chip

Già l’anno scorso il colosso cinese ha presentato due chip per i data center e dispositivi, con l’obiettivo di fare diretta concorrenza ad aziende specializzate in chip, come Intel, Qualcomm e Ndivia, e a svincolarsi dalla dipendenza dall’Occidente. È un cambio di rotta deciso quello impresso dai vertici a Huawei e che interpreta uno dei desiderata di Pechino: aumentare la produzione interna di componenti tecnologici, come i semiconduttori, raggiugendo una quota dell’80% entro cinque anni (come prevede il programma decennale Made in China 2025).

Ora Ascend 910 alza il tiro, spalancando a Huawei le porte del mercato del cloud, triplicato negli ultimi tre anni (dagli 8 miliardi di dollari del primo trimestre 2016 ai 26,3 miliardi del secondo di quest’anno). Per i ricercatori della società di consulenza Canalys, nel 2019 la battaglia per la nuvola si è fatta più agguerrita. E l’adozione, da parte delle aziende, di multi-cloud, allarga le maglie di un mercato finora dominato da quattro attori: Amazon web services, Google, Microsoft e Alibaba.

Il chip di Huawei è quindi utile all’azienda, e più in generale alla Cina, per aumentare l’influenza sul settore. Come scrive in una recente analisi il Mercator institute for China studies, centro studi tedesco, se Pechino “vuole costruire solide fondamenta per una tecnologia futura più avanzata, deve padroneggiare questi componenti di base in modo largamente indipendente dagli input stranieri”.

L’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale è un’altra delle tecnologie chiave su cui Pechino sta investendo di più, per raggiungere il primato mondiale nel 2030, stando al documento programmatico lanciato dal governo nel 2017. Sono stati nominati cinque primatisti per questa corsa – Alibaba, Tencent, Baidu, iFlytek e Sensetime – e destinati 16 miliardi di dollari per i primi investimenti. Ma la competizione è aperta a tutti e Huawei conta di giocare nel primo girone.

Con la loro esperienza a lavorare un piani economici di lungo termine ben definiti, reputiamo che le compagnie tecnologiche cinesi abbiano una visione più ampia delle potenzialità dell’Ai rispetto alle loro controparti occidentali”, scrivono gli analisti di Fitch. Secondo il Mercator Institute l’anno scorso la Cina ha registrato 30mila brevetti sull’Ai, due volte e mezzo in più di quelli degli Stati Uniti.

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