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sabato, Mar 28

I 10 migliori film-fiume che durano ben più di 3 ore



Da Wired.it :

Sono le grandi epopee dal minutaggio allucinante, che hanno rovinato studios, innalzato autori, massacrato spettatori, segnato la storia del cinema. E che adesso c’è il tempo di recuperare

“C’era una volta in America” di Sergio Leone, con James Woods e Robert De Niro

Cinema estremo, allungato, tirato e soddisfacente. Prima che le serie aumentassero a dismisura, moltiplicando le ore di visione e la durata di un’unica grande storia, c’erano i film-fiume, quelli lunghi e larghi in cui accadeva di ogni, epici per definizione e che, visti oggi, in alcuni casi sono piccole intere stagioni. Miniserie da tre puntate teoricamente. Una volta erano, invece, i kolossal folli. Quel geniaccio di Alfred Hitchcock diceva che la tenuta della vescica dello spettatore è la durata massima che dovrebbe avere un film.

Nei giorni della pandemia è possibile recuperare questi titoli che spaventano per il minutaggio allucinante ma che, se paragonati a tutto Breaking Bad, si protraggono quanto uno schiocco di dita. E anche se storicamente il film più lungo di tre ore fa paura a chi lo deve/vuole guardare, sembra una chiara promessa di noia (in realtà è il contrario, per reggere quelle durate deve per forza essere appassionante) ed è l’incubo di ogni produttore perché si presta a uno sfruttamento commerciale minore (conta meno spettacoli in una giornata), i registi continuano ad amarlo e in molti casi i kolossal-fiume hanno fatto la storia del cinema.

Certo, gli ultimi anni hanno cambiato tutto. Perché una volta la pellicola rappresentava uno dei costi più alti della produzione, il digitale invece ha reso possibile per chiunque girare film lunghissimi a cifre parecchio più contenute. È nato così il cinema estremo sopra le cinque o sei ore, da vedere necessariamente a puntate (oltre i 360 minuti la proiezione unica è impossibile). Noi vi presentiamo i migliori, in rigoroso ordine di durata.

10. Apocalypse Now Redux (3 ore e 20 minuti)

Tagliato più e più volte, quasi sempre allungandolo. La versione Redux, che non è l’ultima, è la più interminabile e fedele alla visione originale. La durata, infatti, era un problema per Francis Ford Coppola, reduce da una lavorazione eterna e dall’incubo che se non avesse incassato nemmeno con questo film sarebbe finito personalmente rovinato. Spaventatissimo da quel che poteva accadere, dunque, lo tagliò parecchio per renderlo più agile. Negli anni ’90, poi, l’ha rimesso in giro nella versione vera. Che è decisamente migliore.

9. Barry Lyndon (3 ore e 23 minuti)

Il titolo più lungo di Stanley Kubrick, l’epica personale di un uomo che tenta una scalata sociale nell’Inghilterra del ’700. Diviso in tre parti ma proiettato unicamente, il film è considerato uno degli sforzi produttivi più incredibili nel campo della ricostruzione d’epoca, della creazione di ambienti e illuminazioni fedeli a come doveva essere vivere in quel periodo. Barry Lyndon combatte, si arruola, si sposa bene, sfida a duello e infine muore da solo.

8. I cancelli del cielo (3 ore e 40 minuti)

Ecco che cosa accade a esagerare. I cancelli del cielo è l’epica mostruosa di Michael Cimino, troppo lunga e troppo magniloquente per rientrare dei costi. Questa storia di West e formazione personale all’americana ha raggiunto spese folli e ha incassato così poco da rovinare un’intera casa di produzione, la United Artist, che ha dovuto vendere tutto e chiudere i battenti.

7. C’era una volta in America (3 ore e 50 minuti)

Quasi quattro ore è il vero taglio dell’ultimo larghissimo lavoro di Sergio Leone, che racconta la storia di un gruppo di amici attraverso i decenni americani, gli ideali, la nostalgia, il tempo che passa e l’ineluttabilità della corruzione e della perdita dell’innocenza. Originariamente dovevano essere due film da tre ore ciascuno, poi uno da quattro e mezza e, infine, Leone è stato convinto a chiudere a “solo” tre ore e 50 minuti. In America, non contenti, lo tagliarono ancora di più, arrivando a due ore e 20. A oggi sappiamo che la versione da 230 minuti resta quella vera: l’unica capace di dare conto dei temi, di lavorare sul tempo e sui personaggi assieme allo spettatore.

6. Via col vento (3 ore e 58 minuti)

Considerato il film-fiume originale, è probabilmente il più visto di sempre, capace di radunare una quantità di spettatori oggi impensabile, nonostante le sue quattro ore o forse proprio grazie a esse. È l’epica degli Stati del Sud durante la Guerra civile, con una donna che passa da figlia viziata a “manager” di un’intera residenza in decadenza, sposata per interesse e non corrisposta in amore. Un lavoro immenso, terribilmente razzista, incredibilmente sofisticato, che ha avuto tre registi diversi (solo Victor Fleming alla fine l’ha firmato) e ha segnato tutti quelli che sono venuti dopo. Impossibile pensare a qualcosa di più grande.

5. Napoleone (5 ore e 30 minuti)

Vedere il Napoleone di Abel Gance non è uno spettacolo, è un’esperienza. I pochissimi fortunati che in vita si sono avvicinati a questo capolavoro del cinema muto lo sanno. Negli anni ’20 Gance era uno dei registi più titanici e si è posto come obiettivo di ricostruire tutta la vita del generale francese in sei film giganteschi, spettacolari come mai prima di allora. Addirittura girò alcune parti con tre macchine da presa insieme, pensando di proiettare il risultato su altrettanti schermi affiancati, in un solo immenso cinemascope avvolgente (all’epoca le pellicole erano tutte in 4:3 e cioè in un formato quadrato, il cinemascope rettangolare sarebbe arrivato nei ’60). Anche per questo è difficilissimo vedere Napoleone correttamente (cioè proiettato su tre schermi, appunto). A quel punto, nell’esaltazione più totale di un’epica immensa, tra sequenze a cavallo, paesaggi incredibili, pura mitologia e grande azione, cinque ore sono pure poche.

4. Satantango (7 ore e 30 minuti)

Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo, è un’impresa contemporanea (del 1994) tra le più audaci tentate su pellicola. Storia in bianco e nero di braccianti e grandi ritorni, è un film incredibile dal tono meditabondo, ma di stupefacente capacità di penetrare lo spettatore e portarlo altrove.

3. Hele sa hiwagang hapis (A Lullaby to the Sorrowful Mystery) (8 ore e 5 minuti)

Lav Diaz è un autore filippino i cui film durano tutti più di quattro ore e arrivano anche a 12 e passa. Questo, tra quelli di ben oltre i 240 minuti, è uno dei migliori e più compatti, perché racconta della ricerca di un cadavere. Non siamo abituati a immaginare un cinema filippino e le sue produzioni sono materia da festival, non certo da circolazione nelle sale. Però, sono anche esperienze incredibili, ci si alza, si esce, si rientra, si va al bagno e ci si può anche addormentare un po’ (lo ha consigliato lo stesso autore), per poi riprendere il filo. Sono lavori che vivono di immagini letteralmente incredibili, macchina da presa fissa ed eventi che accadono dentro la stessa inquadratura. Il nemico di chiunque derida il cinema d’arte, in realtà una scoperta contemporanea pazzesca e un punto di riferimento per il futuro.

2. La Flor (14 ore in 6 episodi)

È pensato come un film unico, ma è impossibile vederlo come tale per ragioni di durata, così qualsiasi visione viene necessariamente spezzettata. Quella più consigliata: sei tronconi da due ore (ma c’è chi dice che anche tre da quattro e qualcosa è ottimo). Si tratta di storie differenti che alle volte prendiamo in media res, altre non sappiamo come finiranno e altre volte sono metanarrative. Uscito due anni fa, è la prova di un cinema argentino vivo e pieno di idee, una novità destinata a essere molto influente.

1. Heimat 2 (25 ore in 13 episodi)

Un’infilata di film che sono come un’unica grande epopea. Il primo Heimat era una serie televisiva, questo invece è andato al cinema, un episodio a settimana anche se non sono episodi, perché tutti i capitoli portano avanti un’unica storia. È la cronaca della gioventù di un ragazzo che dalle campagne arriva al conservatorio di Monaco negli anni ’60 per diventare direttore d’orchestra ed entra così a contatto con la vita, le donne, le sfide e la fatica di un lavoro artistico in un periodo in cui tutto sta cambiando. È l’opera più ambiziosa di Edgar Reitz, che poi ha proseguito con un terzo e un quarto Heimat, sempre straordinari (ma di durate inferiore). In questa specie di “strana serie di film” c’è il segreto dei bei racconti, l’epica umana e personale di quelli che a un certo punto affrontano un periodo di cambiamento e maturazione.

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[Fonte Wired.it]