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venerdì, Dic 20

I 10 peggiori film del 2019


Annata fenomenale (in negativo). Con il cinema internazionale che ha fatto a gara con quello italiano e non pochi grandi nomi che hanno raschiato il fondo del barile

Se è vero che è stata una buona annata in fatto di grandi film, quasi tutti passati per un festival, quindi più vicini al cinema d’autore che a quello commerciale. È anche vero che sul versante opposto, cioè sulla riva dei pessimi film, i peggiori, i più assurdi e vergognosi, c’è poco di mai sentito e molto di noto.

Solitamente i titoli più brutti dell’anno sono quelli che in pochi hanno visto, magari usciti per un solo giorno, prodotti senza un perché, diretti da persone senza esperienza, di certo senza attori noti. Invece quest’anno la nostra classifica vanta nomi illustri, star e grandissimi autori che hanno compiuto passi falsi orrendi, ma anche alcuni dei film che sono diventati meme e uno in particolare che era in realtà attesissimo.

Il vincitore è ormai un abbonato alla top 10 dei peggiori, che stavolta ha davvero superato ogni limite guadagnandosi una vittoria a lungo attesa.

10. I morti non muoiono

Forse nella testa di Jim Jarmusch doveva essere una cosa divertente. Prendere degli amici, mettergli a capo Bill Murray, fare un film molto citazionista e vicino agli zombie originali, quelli di Romero che escono dalle tombe, mascherare Tilda Swinton e iniettarci un po’ di umorismo. Il risultato è un disastro, come uno spettacolo comico in cui tutto va storto, come una barzelletta raccontata male, come una pellicola di zombie da qualcuno che non ne vede una dal 1969 e pretende di prenderli bonariamente in giro.

9. 5 è il numero perfetto

Se il vero fallimento si misura con la distanza tra le ambizioni e la realizzazione, allora 5 è il numero perfetto è un disastro insalvabile. Vorrebbe essere un ponte tra il fumetto hard boiled e il cinema hard boiled, pronto per essere tradotto in un contesto italiano, ma quel che accade è la fiera delle velleità. Azione da chi non sa dirigere l’azione, durezza da chi non è pronto ad andare a fondo con la durezza, ritmo da chi non ha chiaro come si imposta il ritmo al cinema. Visivamente sarebbe pure accattivante e una volta tanto Tony Servillo sembra tenuto a bada. Però, in questa fiera dei personaggi sprecati, accennati, mal usati e poco utili, nessun altro si salva.

8. N. 7 Cherry Lane

Ancora impossibile da vedere per tutti è il film presentato (in concorso!) alla Mostra del Cinema di Venezia (e premiato per la sceneggiatura!), che ha lasciato tutti esterrefatti. Viene da Yonfan, cineasta cinese appassionato di storie di amore e sesso molto smielate e patinate, che qui realizza un lavoro d’animazione a un costo troppo basso, in cui già solo la maniera in cui i personaggi si muovono è risibile. Quel che accade, poi, sono una serie di scenette dal basso ritmo con risvolti a un certo punto surreali, che vorrebbero indagare i meandri psicologici del desiderio ma finisco per essere così ridicoli da scatenare le risate. Gatti che fluttuano nel silenzio, personaggi che scorrono per terra invece di camminare e una specie di orgia onirica che (di nuovo) prevede i gatti.

7. Jesus Rolls

Aveva un buon John Turturro. Un buono per un film che tutti avrebbero voluto vedere: lo spin-off di Jesus da Il grande Lebowski. Ha deciso di usarlo come cavallo di troia. Con Jesus ha realizzato il remake de I santissimi, film francese degli anni ’70 tutto fughe, furti e sesso, qualcosa che nessuno sarebbe andato a vedere, ma che con Jesus al suo interno diventa invece di appeal. Ed è stato un disastro, anche peggio dell’originale. Una noia mostruosa per parlare di temi e inscenare situazioni di nessun interesse.

6. Pupazzi alla riscossa

Qui c’è tutto quello che non va con l’animazione contemporanea. Totalmente derivativo, foraggiato da capitali cinesi e quindi ripiegato sulla loro passione per mostri e mostriciattoli, innocuo nella morale, pessimo nello storytelling, non inventa niente e quel poco che è costretto a creare ha poco senso. Visivamente puerile, potrebbe essere concepito da qualcuno che non ha mai disegnato in vita propria.

5. Io non sono un assassino

Scritto con in mente il cinema italiano di genere degli anni ’70 (ma solo nei suoi aspetti peggiori ed invecchiati male, come la lingua parlata), immaginato come un film duro ma fuori dal tempo, è uno dei tentativi più goffi della stagione di realizzare qualcosa di moderno e fuori dai canoni. Gli attori, pur buoni (Edoardo Pesce, Riccardo Scamarcio), recitano sotto il loro livello toccando punte di “ingombro in scena” per loro inedite. La storia, confusa e raccontata tra flashback e presente, non fa che peggiorare la sensazione di aver capito che cosa vorrebbe essere il film e avere ben presente che cosa non sarà mai.

4. Maleficent – Signora del male

Il primo capitolo era abbastanza brutto. Questo gioca in un altro campionato. Non c’è niente che vada per il verso giusto, non ci sono svolte che reggano un doppio controllo (ovvero: i personaggi potevano prendere un’altra decisione che avrebbe implicato un sacrificio minore?), non ci sono idee che non siano pescate altrove, annacquate e infine rese innocue (il regno nascosto con la razza cui appartiene la protagonista). E lo spunto vero de La bella addormentata nel bosco è ormai lontanissimo e la vera Malefica non ha niente a che vedere con questa. Un altro film, ambientato in un altro mondo narrativo praticamente, che sostituisce ciò che era buono con trovate da quattro soldi.

3. L’uomo senza gravità

Innanzitutto, questo film distribuito su Netflix contiene quella che forse è l’immagine peggiore di tutto il 2019 del cinema italiano: Elio Germano con la maschera di Batman che ride con in sottofondo la sigla dell’omonimo cartone cantata da Cristina D’Avena. Questo basterebbe già, ma a mettere il film sul podio è soprattutto la maniera falsamente dolce con la quale cerca di conquistare il pubblico a botte di bambine tenere, che diventano prostitute dal buon cuore (se c’è una figura di cui davvero non abbiamo più bisogno in Italia è questa), e valori di provincia rovinati dalla televisione, la modernità e il commercio. In teoria è una favola adulta, nella pratica una storia a tinte morali così grossolane da far sentire in imbarazzo chi guarda per interposta persona.

2. L’uomo del labirinto

Un vero e autentico delirio. Cinema italiano che imita malissimo quello americano a partire dalla lingua parlata (un impossibile “doppiaggese”), per finire con lo svolgimento e una risoluzione messa in scena così male da far pensare che davvero nella testa dell’autore dovesse essere tutt’altro. Un detective in una città senz’anima (tra fondali e green screen), uno psicologo criminale e un gioco psicologico a incastri trito che non appassiona mai, anzi, comincia ad annoiare quasi subito. Insomma, un mondo non definito, che spera di essere americano ma sa di essere italiano. Non dura nemmeno poco.

1. C’è tempo

Walter Veltroni si è dimostrato documentarista ruffiano e in cerca di facili emozioni negli spettatori, ma il passaggio alla finzione scoperchia un vaso tragico. C’è tempo è una storia a uso e consumo personale, che applica con poco criterio principi da spettatore di cinema d’essai, cioè ciò che solitamente si dice commentando e lodando i film una volta usciti. In un esercizio di reverse engineeringil titolo sembra partito da quel che se ne sarebbe dovuto dire a ritroso fino alla realizzazione. Trionfo di metafore facili e abusate, di dialoghi senza senso, scene di cui si intuisce immediatamente il doppio fine e piccole concessioni personali: è seriamente imbarazzante. E contiene domande quali: “Quand’è che si smette di essere bambini?”.

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