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giovedì, Feb 04

I casi di violenze sessuali nei “campi di rieducazione” cinesi per gli uiguri



Da Wired.it :

Si stima che più di un milione di persone siano rinchiuse nei campi voluti dal governo cinese e, secondo nuove testimonianze raccolte da Bbc, le donne che vi sono internate sono vittime di continue e sistematiche violenze sessuali

(foto: Greg Baker/Getty Images)

Un report di Bbc ha generato una rinnovata attenzione nella comunità internazionale rispetto alla situazione della minoranza degli uiguri, che vive nella regione dello Xinjiang, in Cina. Sottoposta a indottrinamento culturale, deportata, sterilizzata, uccisa e rinchiusa in cosiddetti campi di rieducazione, la popolazione degli uiguri è soggetta del 2014 alla politica del presidente cinese Xi Jinping che mira a disinnescarne ogni presunta minaccia al centralismo cinese. Si stima che più di un milione di persone siano rinchiuse nei campi cinesi e, secondo le testimonianze raccolte da Bbc, le donne sono vittime di continue e sistematiche violenze sessuali.

Chi sono gli uiguri

Gli uiguri sono una minoranza etnica di religione musulmana, stanziatasi nello Xinjiang dopo la caduta dell’Unione sovietica e proveniente dalle repubbliche indipendenti di Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan. La repressione di questo gruppo etnico si è intensificata per la prima volta dopo l’11 settembre 2001 e le conseguenze della war on terror dell’ex presidente statunitense George W. Bush, quando anche la Cina decise di partecipare alla stretta sul terrorismo mondiale, indicando questo gruppo etnico – già soggetto di azioni di contestazione, anche violenta – nella lista dei “terroristi” riconosciuti dal governo centrale. Però è nel 2014 che la situazione è precipitata quando, a seguito di un attentato a una stazione ferroviaria, Xi Jinping ha ordinato alle autorità locali di reagire alla situazione “senza alcuna pietà”.

La testimonianza diretta raccolta di Bbc

Bbc ha pubblicato ieri una delle rarissime testimonianze dirette della vita nei campi di rieducazione, riportando un racconto agghiacciante di sottomissione e violenza fisica e psicologica. Tursunay Ziawudun ha trascorso nove mesi in un campo dello Xinjang, prima di venire rilasciata. Ora si trova negli Stati Uniti, dopo aver trascorso un periodo in Kazakistan in cui ha vissuto “nella costante paura di essere rimandata in Cina”.

Secondo il racconto di Ziawudun, molte donne nel campo venivano portate fuori dalle proprie celle, durante la notte, da uomini mascherati e in abiti civili. “Indossavano completi da uomo, non le uniformi della polizia” ha detto. Le vittime erano condotte in una “stanza buia”, senza telecamere, per poi essere torturate e violentate “ogni volta da due o più uomini”. Le donne venivano minacciate e costrette a non parlare con nessuno di quanto accaduto “potevi soltanto subire in silenzio” racconta Ziawudun “è un sistema studiato per distruggerti lo spirito”.

Tursunay Ziawudun è stata arrestata per la prima volta nel 2016: dopo pochi mesi che lei e il marito si erano trasferiti in Xinjiang dal Kazakistan, per aver partecipato a un incontro pubblico con altri uiguri e kazaki. Secondo la sua testimonianza, sono state proprio le forze di polizia a dirle di partecipare a quell’incontro, presumibilmente per avere un pretesto che motivasse il fermo. Poco più di un anno dalla sua scarcerazione, ha raccontato di essere stata chiamata in una caserma locale, dove gli ufficiali le hanno detto che necessitava di “più educazione”. A quel punto è cominciato il suo internamento.

Al suo arrivo nel centro di detenzione, le sono stati strappati via gli orecchini e poi è stata mandata in una stanza con altre donne. In quella stanza ha assistito alla prima violenza. Una signora anziana, vestita con un abito lungo tradizionale è stata costretta a spogliarsi completamente, mentre le guardie del campo inveivano contro di lei per aver sfoggiato la sua appartenenza religiosa.

Da quel momento in poi le violenze sono peggiorate, stando al resoconto. Ziawudun è stata più volte picchiata e torturata durante gli interrogatori e, secondo la sua testimonianza, quando le sue compagne di cella hanno provato a chiedere aiuto a un medico del campo per assisterla, il medico avrebbe risposto che “è normale che una donna sanguini”. Poi sono cominciate le violenze sessuali. La prima volta che gli uomini mascherati l’hanno prelevata dalla sua cella e portata nella “camera buia”, Ziawudun è stata violentata con uno sfollagente da una guardia.

Le altre testimonianze

Le violenze sessuali, le torture fisiche e psicologiche per spezzare il morale e “lo spirito”, sono state confermate dalle testimonianze di altre donne riuscite a sopravvivere ai campi di rieducazione e a fuggire dalla Cina. Gulzira Auelkhan, un’altra donna di origine kazaka, ha raccontato di essere stata costretta a prendere parte alle torture: “Il mio lavoro era di spogliare le donne e di ammanettarle, così che non si potessero muovere. Poi dovevo andar via e al mio posto entrava qualche uomo cinese”. La sua testimonianza porta a credere che esista un sistema di sfruttamento della prostituzione in atto nei campi, perché secondo le sue parole gli uomini “erano disposti a pagare per poter scegliere le prigioniere più giovani e carine”. Anche Qelbinur Sedik, una donna di origine uzbeca, ha dato conferma quanto detto dalle altre testimoni, raccontando inoltre di uno stupro di gruppo perpetrato dalle guardie di fronte a tutte le detenute, per estorcere una confessione.

Le autorità cinesi hanno smentito ogni accusa mossa contro di loro da parte dei media e della comunità internazionale, che ha condannato più volte come una palese violazione dei diritti umani quanto in atto nella regione dello Xinjiang. Ma oltre al riscontro trovato in tre esperienze diverse, da parte di altrettante donne che non si sono mai incontrate nei campi, Bbc ha verificato il racconto di Tursunay Ziawudun attraverso l’analisi dei suoi documenti di viaggio e trovando corrispondenza tra la sua descrizione del campo in cui è stata imprigionata e le immagini satellitari. A seguito di quest’ultimo report Stati Uniti, Regno Unito e Australia hanno chiesto un azione internazionale per costringere la Cina a rendere conto della situazione.

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[Fonte Wired.it]