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venerdì, Mar 27

I Coronabond non passano, l’Ue continua a deludere i cittadini



Da Wired.it :

Nulla di fatto dal consiglio europeo, l’accordo è di metodo e non di merito. E le cancellerie del Nord non accetteranno mai titoli comuni: molto cambierà, dopo il coronavirus

Un momento del consiglio europeo di ieri in videoconferenza (Foto: Ian Langsdon /Pool/Afp via Getty Images)

Non è bastato il ritorno di Mario Draghi. Né il bilancio, sempre più pesante, di morti e contagi che ora dall’Italia si sta allargando a Spagna, Francia, alla stessa Germania. Neanche una pandemia globale sembra poter smuovere Angela Merkel e alcune altre cancellerie del Nord, che a mettere in comune il debito sovrano dei paesi membri, o almeno di quelli che adottano l’euro, non ci pensano neanche. Mentre la casa inizia a bruciare. Un consiglio europeo lungo tante, troppe ore è passato così, ieri: solo per mettersi d’accordo sul margine entro il quale Commissione, Parlamento e le altre istituzioni dovranno preparare un piano da sottoporre al consiglio. Metodo, dunque, non merito. Da una parte chi pretendeva rapidità, come l’Italia e gli altri otto paesi che i giorni scorsi hanno lanciato l’appello per misure adeguate alla grave emergenza sanitaria, dall’altra chi invece ha strappato qualche giorno in più. Di contenuti neanche l’ombra, di coronabond o soluzioni simili, i Paesi Bassi, l’Austria e la Germania non vogliono neanche parlare.

Quello europeo è davvero un paradosso: un matrimonio che di fatto si è già compiuto ma nel quale i partner faticano a occuparsi l’uno dell’altro. Non dico nel mettere in comune le risorse senza senso, questo non lo ha chiesto neanche Giuseppe Conte, ma almeno a valutare le scelte nell’ottica di un futuro percorso comune. Insomma, i primi a non crederci, in questo matrimonio, sono proprio i nordici. Che, in questa fase, non avrebbero neanche bisogno di tante spiegazioni. Anzi: chiederne troppe, con 250mila contagiati e più di 15mila morti su 21mila globali, sembra davvero una mancanza di umanità, altro che pretesa politica.

In buona sostanza, i rigoristi sono convinti che il quantitative easing avviato dalla Banca centrale europea sia sufficiente, e per interventi diretti ai governi più colpiti vorrebbero limitarsi all’uso degli oltre 400 miliardi di euro del Mes, il fondo salva-stati. Perché il suo funzionamento prevede l’attivazione di linee di credito solo in base a una serie di condizioni: d’altronde era stato pensato nel 2012, in piena crisi dei debiti sovrani e come erede del Fondo europeo di stabilità finanziaria, per intervenire in soccorso delle economie più fragili dell’area euro, finite sotto attacco delle speculazioni finanziarie. Dall’altra parte il Mes viene ritenuto utile, ma senza vincoli o regole e comunque solo momentaneamente: si chiede infatti un passo in più. Verso quella forma di titoli comuni, emessi da una qualche istituzione Ue, che dimostri – anche simbolicamente, sui mercati internazionali – che il Vecchio continente, o almeno il gruppo della moneta comune, è compatto di fronte a una crisi che non ha responsabilità oggettive.

Il punto è che senza Eurobond, e sulla spaventosa scia recessiva che seguirà il blocco quasi totale delle economie europee, molti paesi rischiano di fallire sotto il peso del deficit accumulato per rispondere ai bisogni di cittadini e imprese fra sussidi, tagli alle imposte, spese sanitarie, mostruoso abbattimento delle entrate e crollo del Pil (qualcuno prevede oltre il 10% solo quest’anno ma con un rimbalzo nel 2021). Insomma, per usare una metafora drammatica ma che rende l’idea, se il Mes sarebbe poco più che una mascherina, e per giunta da pagare a caro prezzo, gli Eurobond sono i respiratori che possono aiutare i paesi più colpiti – o che stanno diffondendo dati più completi, per esempio sui decessi, ma questa è un’altra storia – a superare non tanto i problemi attuali quanto quelli che ora stanno mettendo radici. Ma che, se anche la fase più critica dovesse concludersi in qualche settimana, esploderanno fra estate e autunno.

Il cancelliere austriaco Sebastian Kurtz ha detto: “Respingiamo una mutualizzazione generalizzata dei debiti”. Spero che qualcuno gli abbia risposto che allora mutualizzeranno una catena di addii dall’Unione senz’altro più lunga della crisi sanitaria. Perché il rischio è questo: svuotare di ogni senso la permanenza di un paese all’interno dell’Ue. Non tanto dal punto di vista delle posizioni ufficiali e istituzionali, né da quelle finanziarie perché l’azione della Bce è evidentemente fondamentale e terrà in piedi quei debiti pubblici a lungo. Quanto da quello dei cittadini.

Molto cambierà, fra qualche mese. Più di quanto fosse mai stato possibile in precedenza, per esempio sui migranti. Merkel, Kurtz, Rutte e gli altri non hanno ancora capito che è con loro che parlano, nel corso di questi vertici. Con i cittadini. Con gli italiani, gli spagnoli, i francesi. Non con Conte, Sanchez o qualche altro leader del Sud Europa. Con il loro continuo passo di gambero i falchi del Nord stanno costruendo nel cuore delle opinioni pubbliche continentali tante piccole Gran Bretagne. Se i sudditi di sua maestà sono usciti sull’onda di tante panzane, per il rifiuto dell’immigrazione interna e per l’insofferenza per vincoli e regole di Bruxelles, altri paesi potrebbero sbattere la porta in modo ben più pacifico, scontato, naturale, veloce. Come si lascia una casa comune quando alla stima si è sostituita la delusione più cocente. Speriamo ci ripensino. Tutti.

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[Fonte Wired.it]