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mercoledì, Mar 18

I fumatori sono più a rischio di finire tra i casi gravi di Covid-19



Da Wired.it :

Avere una storia di tabagismo è tra i più importanti fattori di rischio che portano le persone con il coronavirus al ricovero in terapia intensiva o al decesso. Potrebbe spiegarsi così la diversa letalità tra uomini e donne, e la grande presenza di fumatori tra i ricoverati

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(foto: Joseph Eid/Getty Images)

Qualcuno potrebbe considerarla una non notizia. C’è ben poco di sorprendente o inaspettato, infatti, nell’apprendere che l’abitudine di fumare rappresenti una criticità aggiuntiva da gestire nel momento in cui si contrae un’infezione virale respiratoria come la Covid-19. La novità, però, è che iniziano finalmente ad accumularsi anche delle evidenze scientifiche quantitative e specifiche per il coronavirus Sars-Cov-2, così che dallo stadio di ipotesi ragionevole si passi a fare valutazioni con dati reali alla mano.

A mettere un punto fermo sulla connessione fumo-coronavirus, legittimando in qualche modo l’estensione dei dati raccolti in Cina anche per l’ è stato questa settimana l’Istituto superiore di sanità (Iss), che ha pubblicato un comunicato stampa e un poster in pdf in cui si spiega che “il rischio di sviluppare una polmonite severa da Covid-19 aumenta in modo significativo in pazienti con storia di uso di tabacco”.

I risultati scientifici quantitativi

Dare un valore esatto che risponda alla domanda ‘quanto si rischia di più da fumatori?’ è complicato, e soprattutto non è detto che il numero fornito dalle conclusioni scientifiche venga recepito nel modo corretto.

Per dare una prima indicazione di massima, secondo la sintesi offerta dall’Iss, il rischio di sviluppare una grave polmonite in chi ha abitudine tabagica potrebbe risultare aumentato almeno di un fattore 3. E la probabilità di veder ulteriormente aggravata la propria condizione – vale a dire di aver bisogno di ventilazione meccanica o del ricovero in terapia intensiva, oppure di non sopravvivere – è più che raddoppiata. Detto con parole diverse, tra i casi più gravi la presenza di fumatori è (in proporzione) decisamente superiore rispetto a quanti effettivamente siano nella popolazione generale.

Secondo altri studi, la differenza è ancora più marcata. Una ricerca condotta in Cina, e pubblicata sul Chinese medical journal a fine febbraio, ha stimato che i fumatori tendono a rientrare 9 volte più spesso tra i casi con decorso critico, tanto che il 27% dei casi critici riguarderebbe fumatori abituali.

Se è vero che questo studio è forse su scala troppo ridotta (78 pazienti) per dare dei numeri statisticamente solidi, ciò che è emerso è che l’avere una storia di tabagismo è al secondo posto assoluto tra i fattori di rischio per lo sviluppo di complicanze, e al primo tra quelli su cui il paziente abbia un ruolo attivo. Per intenderci, il primo fattore di rischio assoluto resta l’età avanzata (per cui non c’è un antidoto), mentre il terzo è la temperatura corporea al momento della diagnosi, per la quale l’unica strategia è di agire nel modo più tempestivo possibile.

Un altro paper di poco precedente, sempre condotto su pazienti cinesi e pubblicato su Allergy, evidenzia una analoga asimmetria. Tra i casi più gravi, infatti, la percentuale di fumatori era circa doppia rispetto agli ospedalizzati che controllavano meglio l’infezione, nonostante complessivamente la percentuale di fumatori coinvolti nello studio fosse piuttosto bassa (appena il 6,4% del campione).

Le conseguenze del fumo sul sistema sanitario

Al di là della prospettiva individuale a singolo paziente, può essere utile capire come questi risultati sul fumo possano tradursi sui grandi numeri dell’epidemia. Secondo alcuni esperti – tra cui quelli dell’Istituto superiore di sanità – la valutazione complessiva degli studi a oggi disponibili farebbe addirittura ipotizzare che l’enorme differenza tra uomini e donne nel tasso di letalità apparente (4,7% contro 2,8% secondo il computo globale Oms di fine febbraio dominato dai dati Cinesi, mentre per l’Italia a oggi è 7,2% contro 4,1%) possa essere spiegata persino per intero con lo sbilanciamento tra femmine e maschi fumatori. Più di un uomo cinese ogni due fuma, mentre per le donne il dato statistico è inferiore al 3%.

Anche in Italia c’è differenza di genere, ma meno marcata, per l’abitudine del fumo. La media nazionale per gli over 15 è del 22%, ma per le donne ci si ferma al 16,5% mentre gli uomini nel 2019 hanno raggiunto quota 28%. Tra i deceduti positivi al coronavirus, al momento in Italia abbiamo uno squilibrio 60%-40%, con prevalenza maschile.

Secondo le informazioni raccolte da Wired, su un campione molto limitato di ospedalizzati italiani, la presenza di pazienti con una storia di tabagismo ricoverati in terapia intensiva sarebbe piuttosto elevata, anche ben superiore al 27% stimato dallo studio cinese già citato. Purtroppo al momento non ci sono informazioni più precise raccolte in modo sistematico su scala nazionale, perché lo studio pubblicato la settimana scorsa dall’Istituto superiore di sanità sulle persone non sopravvissute teneva in considerazione solo le patologie pregresse ma non le altre abitudini legate allo stile di vita.

Come è già stato sottolineato in più occasioni, la comorbidità più frequente riscontrata tra i deceduti è stata l’ipertensione (in tre persone su quattro). E sappiamo che il fumo altera fortemente i valori della pressione, sia nei 30 minuti successivi alla sigaretta sia soprattutto a lungo termine con la perdita di elasticità dei vasi arteriosi. Eventuali correlazioni con i dati epidemiologici del coronavirus, però, al momento possono essere ritenute al più delle semplici congetture tutte da verificare: l’ipertensione, ad esempio, ha una forte correlazione con l’avanzare dell’età.

Per tantissimi, non è troppo tardi

Il coronavirus potrebbe essere, per tante persone, un motivo in più per smettere il prima possibile di fumare. Se già non ci fossero abbastanza buone ragioni, le evidenze scientifiche attuali sono sufficienti ad affermare che fumare qualche sigaretta in meno significhi avere qualche (ulteriore) possibilità in più di difendersi dalla Covid-19.

I forti fumatori e i fumatori correnti, infatti, risultano dagli studi ben più a rischio degli ex fumatori o dei fumatori sporadici. E come noto bastano poche settimane affinché l’apparato respiratorio, senza ulteriore fumo in ingresso, possa migliorare le performance in termini di scambi gassosi con i vasi sanguini, con la conseguente attenuazione dei problemi respiratori e della tosse.

Purtroppo per chi ha già contratto l’infezione virale non c’è altro consiglio in proposito che abbandonare immediatamente le bionde. Per tutti gli altri fumatori, dato che la curva del contagio ci dice che non siamo affatto ai titoli di coda dell’epidemia, potrebbe essere il momento migliore per tentare di cambiare abitudini.

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[Fonte Wired.it]