Nel 2004 i lavoratori over 50 rappresentavano poco più del 20% della forza lavoro italiana. Vent’anni più tardi questa percentuale sfiora il 40%. Un tema, quello dell’invecchiamento della popolazione attiva, che non riguarda solo il nostro paese. Ma che qui trova elementi che lo rendono più problematico, soprattutto in un contesto in cui le spese per pensioni e assistenza agli anziani tenderanno ad aumentare negli anni.
I dati sulla popolazione attiva
Wired ha analizzato i dati relativi agli occupati per classe di età, forniti dall’Istat, per calcolare la composizione percentuale della forza lavoro italiana degli ultimi vent’anni su base anagrafica. Il risultato indica chiaramente l’incremento nella fascia tra i 50 ed i 64 anni.
Nel 2004 i lavoratori tra i 50 ed i 64 anni erano 4,5 milioni su una forza lavoro complessiva di 21,9 milioni di italiani. Si tratta del 20,5%, come a dire che un occupato su cinque aveva compiuto almeno mezzo secolo di età. Lo scorso anno gli appartenenti a questa fascia sono saliti a 8,9 milioni su un totale di 24,1. Sono cioè il 38,5% del totale. Il che significa che, in qualunque ufficio o azienda, una persona su tre ha almeno 50 anni. Un aumento che ha riguardato tutta l’Italia, anche se in misura maggiore le regioni del Nord.
Nelle regioni del Nord Est i lavoratori over 50 sono più che raddoppiati in vent’anni, passando da 890mila a 1,9 milioni (+121,3%). Nel Mezzogiorno, invece, la crescita è stata meno impetuosa: qui nel 2004 gli occupati tra i 50 ed i 64 anni erano 1,4 milioni, vent’anni più tardi sono diventati 2,4 milioni, con un aumento del 68,7%.
Le cause e le conseguenze
“Questo invecchiamento della popolazione attiva è dovuto innanzitutto ad un fattore demografico: negli ultimi vent’anni è aumentata la quota di lavoratori over 50 perché è entrata in questa fascia di età la generazione dei baby boomer, quella nata tra gli anni ‘60 e la prima metà degli anni ’70, che è anche quella più consistente nel nostro paese”, spiega Alessandro Rosina, professore di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano e autore per il Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) del rapporto Demografia e forza lavoro.
A questo si aggiunge un fattore comune a molti paesi europei, ovvero l’aumento della speranza di vita: “La maggiore longevità favorisce in tutti i paesi la permanenza della popolazione matura nel mondo del lavoro”. Questo sia perché aumenta l’età pensionabile, ma anche perché “le aziende rispondono alla carenza di manodopera giovanile affidandosi all’esperienza di una fascia di popolazione che conoscono”.
A complicare le cose, in Italia, c’è però da un lato il calo della natalità: nel 1999 sono nati 537mila bambini, nel 2023 solo 379mila. E poi c’è un aspetto legato alla cultura del mondo del lavoro nella Penisola. “Siamo rimasti il paese che ha come punto di riferimento il lavoratore maschio adulto in età centrale. Siccome questa componente viene meno, si valorizza il maschio adulto in età più matura”, spiega Rosina. In altri paesi “vengono valorizzati, riconoscendone le specificità, anche la componente femminile e quella giovanile”.