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lunedì, Feb 17

I libri da leggere per il Black History Month (e sì, ci sono tante autrici italiane)



Da Wired.it :

Febbraio è il mese delle storie africane e di afrodiscendenza. Ne abbiamo parlato con Igiaba Scego, ora in libreria con La linea del colore. Desiderio di viaggiare, muri nel Mediterraneo, passaporti forti e deboli, condizione femminile sono alla base di questo e altri validi consigli di lettura

Il mese di febbraio è il Black history month, durante il quale in USA, Canada e Regno Unito viene celebrata l’importanza e la rilevanza della diaspora africana, degli eventi e dei personaggi storici coinvolti. Anche in Italia esistono storie e vicende che coinvolgono persone africane o afrodiscendenti che andrebbero raccontate. Ne abbiamo parlato con Igiaba Scego, scrittrice italiana con genitori somali, tornata in libreria da pochi giorni con La linea del colore.

Si tratta di un romanzo che racconta molte donne, focalizzandosi principalmente su Lafanu Brown, pittrice nera americana che a metà ’800 sogna di poter studiare i classici romani dal vivo, e su Leila, storica dell’arte contemporanea impegnata sia su una mostra dedicata a Lafanu Brown stessa sia nel cercare di supportare la cugina Binti, desiderosa di fuggire da un destino somalo già deciso.

La linea del colore contiene tante tematiche diverse: arte, condizione femminile, corpo nero, Roma… Qual è il nocciolo essenziale del romanzo?

La linea del colore è un libro sul viaggio, inteso soprattutto come desiderio. Lafanu, la pittrice americana, sogna l’Italia; Binti, la ragazza bloccata in Somalia che tenterà una fuga illegale, sogna una realtà diversa. Entrambe si scontrano con le difficoltà della mobilità: nel caso di Binti, la cui vicenda è ambientata ai giorni nostri, si riflettono soprattutto nelle differenze di passaporto. Parliamo molto del muro fatto erigere tra USA e Messico, ma di fatto esiste anche un muro nel Mediterraneo: chi non ha il passaporto giusto non ha pressoché modo di passare questo muro legalmente. Nel libro, e nella realtà, è quindi presente una fragilità dei corpi, soprattutto femminili, ma anche la voglia di superarla continuando a sognare e resistere”.

Nel romanzo, a metà ’800, Lafanu Brown, la pittrice nera di Salenius/Salem, arriva fino a Roma e lì, tra varie difficoltà, riesce a far prosperare il suo atelier. È una Roma che sembra accogliente in modo incredibile.

“Il personaggio di Lafanu Brown è basato su due donne realmente esistite. La prima è Sarah Parker Remond, ostetrica, attivista per i diritti umani e femminista nera. La seconda è Edmonia Lewis, scultrice nera statunitense. Entrambe vissero a Roma, allora da poco capitale , sul finire del XIX secolo. Evidentemente la città allora offriva la possibilità di vivere con libertà – e anche una certa distanza – ai margini dalla puritana società americana. Si trattava comunque di esistenze che implicavano un tasso di difficoltà elevato: soprattutto le artiste vivevano in parte di commissioni o di supporto monetario di ricchi mecenati. Nella quotidianità, come nel mio romanzo, esiste un tema di classe sociale: donne in lotta per l’indipendenza economica, che a sua volta porta spesso alla libertà di scegliere come vivere e chi amare”.

Da donna romana, che cosa è cambiato nella Roma di oggi rispetto a quella ai tempi del romanzo? Siamo peggiorati così tanto?

“Allora era un luogo di interesse e libertà per tantissimi artisti e intellettuali, basti pensare alla letteratura sui grand tour. Nel 1870, con la proclamazione di Roma capitale , le cose iniziarono a cambiare. Tuttavia, è ancora oggi di una ricchezza immensa, tutta la città trasuda storia, praticamente in ogni angolo ci sono una tomba, una sezione di acquedotto, un tempio. Sarebbe importante che  recuperasse la sua vocazione culturale, anche dal punto di vista turistico ed economico. Roma è unica, ma stiamo in parte disperdendo questa sua unicità. Comunque, non servirebbe tornare al 1870: già quindici anni fa si respirava un’aria diversa. All’epoca il fervore intellettuale era maggiore, ed è proprio con quell’atmosfera che nacquero alcuni progetti interessanti di scrittura. Pecore nere, il primo libro a cui ho partecipato, nacque proprio così: eravamo italiane di seconda generazione, figlie di immigrati o migranti, né italiani tipicistranieri, completamente invisibili nelle narrazioni prevalenti. È su questa spinta che ho iniziato a scrivere”.

“Viviamo in apartheid, questo è apartheid”. È una frase di Leila, il personaggio del libro che vive ai giorni nostri, che avverte tutta la frustrazione nel non poter aiutare la cugina Binti a uscire dalla Somalia. Come agire per superare questo senso di segregazione?

“Sicuramente va intavolato un forte discorso politico sulla mobilità delle persone. Al momento sono presenti anche grandi blocchi per i visti di studio, mentre negli anni ’70 per gli studenti africani era possibile seguire corsi in Europa e poi rientrare a lavorare nel loro paese d’origine. Erano ragazzi elegantissimi e colti, li ha intervistati anche Pasolini in Appunti per un’Orestiade africana. Tuttavia, non si riparte solo da questo. Aiuterebbe anche avere immagini meno stereotipate dell’altro che si racconta. Quando si parla di migranti, in solitamente si mostra lo sbarco dal gommone. Non si fa mai vedere la città natale. Eppure, l’Africa è un continente di 54 stati, contiene una fortissima complessità. Lì c’è una classe media forte, ci sono città enormi, persone estremamente colte e artisti. Poi, sicuramente esistono anche villaggi rurali e povertà, ma non è tutto. In Africa stanno succedendo un sacco di cose, però l’Europa sembra non guardi neppure: piuttosto, si sta chiudendo in una fortezza”.

Negli Stati Uniti, in Canada e in UK  il mese di febbraio è il Black history month. I tempi sono maturi per un Black history month anche in Italia?

“Iniziano a esserci iniziative interessanti, come quella del Black history month di Firenze e Bologna. Servirebbe, però, più diffusione tra i più giovane. Proporre libri, proporre film. Ora, anche grazie alle piattaforme di streaming come Netflix, è più facile accedere a contenuti legati a altre realtà locali: Africa, ma anche Brasile, Sudamerica e diaspora nera globale. Un ruolo fondamentale è ricoperto dalla scuola. I programmi di studio dei nostri istituti sono ancora molto italocentrici. Tuttavia, c’è speranza: a fine gennaio Leila El Houssi, donna e professoressa di Storia del Medio Oriente, è stata scelta tra i docenti della Commissione per la Didattica della Storia del Ministero dell’Istruzione. Per scrivere una storia più plurale, forse qualcosa si muove”.

Per dare il nostro contributo alle narrazioni plurali e al superamento degli stereotipi, abbiamo scelto i libri da non perdere per il Black history month, tra cui tante storie scritte da autrici italiane e autori italiani. Perché la moltiplicazione degli sguardi è sempre un arricchimento.

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[Fonte Wired.it]