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sabato, Set 21

I migliori romanzi sull’infanzia, per non parlare solo di Bibbiano


“E i bambini? Chi ci pensa, ai bambini?”. Molti romanzi meritevoli, ad esempio, che provano a raccontare l’infanzia tra migrazione, segregazione e trasgressione

(foto: Jonathan Wood/Getty Images)

Non importa seguire le tristi giornate di Pontida o la polemica sul caso strumentalizzato di Bibbiano per ricordare come l’infanzia tutt’oggi è argomento di dibattito, e spesso d’abuso. Ma che ruolo hanno i bambini nel raccontare la contemporaneità? Nei libri l’infanzia è ancora immancabilmente un’infanzia negata, oppure anche spazio peterpanesco d’invenzione e ribellione, di sperimentazione di genere e identità? Quanto peso è dato al memoir e quanto all’allegoria, negli scrittori che scrivono romanzi sull’infanzia? I bambini – tra polemiche sull’educazione gender, NoVax e disegni di legge Pillon – sono sicuramente un argomento politico all’ordine del giorno non solo in Italia: anche in America campeggiano nelle prime pagine, rubricati sotto argomenti differenti.

Tra diritti dei bambini migranti negati da Donald Trump e gli school shooting in crescita, da tempo oltreoceano i bambini non erano così figure così vulnerabili. E un video da poco apparso online e messo su dai genitori della scuola elementare Sandy Hook, scenario di un immane massacro nel dicembre del 2012, vi terrorizzerà ben bene: si vedono bambini americani che ritornano a scuola dopo le vacanze, in una escalation orrifica nella quale ci si accorge che per i corridoi, nelle classi, nei bagni sta accadendo l’irreversibile. Tuttavia, romanzi sul genere si sprecano sullo scaffale americano, ma ben pochi di grande livello: più che altro thriller, memoir-interviste ai sopravvissuti, reportage; poco altro di letterariamente rilevante. Il paese di Huckleberry Finn ha rinunciato forse a guardare il mondo della parte dei bambini, oltre a difendere i loro diritti?

Di crociate di bambini migranti, rifugiati e reclusi dallo stato americano, parla invece uno dei libri del momento, Archivio dei bambini perduti (La nuova frontiera) di Valeria Luiselli. La scrittrice messicana (oramai star della letteratura americana), che ha lavorato al Tribunale federale sull’immigrazione a New York intervistando bambini migranti e richiedenti asilo (e c’ha scritto sopra il saggio Dimmi come va a finire, pubblicato qualche anno fa), ha costruito un on the road dal punto di vista di una coppia in documentaristi sonori in crisi. La coppia, spinta tutto sommato da un progetto di ricerca del marito che sembra più il preludio di un’imminente separazione, decide d’intraprendere un viaggio in macchina verso la frontiera col Messico, assieme ai suoi bambini. L’autrice intreccia le reazioni dei figli (un maschio quasi adolescente e una bambina, avuti entrambi da precedenti relazioni) facendoli prendere voce dai sedili posteriori del viaggio come dal dietro di un’adulta coscienza compromessa, sia con arguzia sia con ingenuità. Domandano in particolare di questioni legate ai bambini migranti negli States, al loro status esistenziale in rapporto ai più sfortunati “bambini perduti in un deserto senza adulti”, i costretti alla solitudine e alla violenza di un luogo che è anche la loro casa, l’America stessa (o almeno pareva: si mette in dubbio varie volte nel libro).

Un luogo che è descritto tra la spettralità di spazi aridi e inquietanti al limite delle ghost town di motel, supermercati, parcheggi abbandonati dall’umano. Luiselli scrive un libro-archivio sull’infanzia perduta per ripensarla anche formalmente, della tradizione del romanzo americano d’avventura e di strada (ma che presenta anche forti accenti alla Sebald, e un procedere tutto sommato europeo). Non a caso, si cita più volte a titolo di alcune sezioni Lessico famigliare, e si intravede un omaggio lampante alla nostra Natalia Ginzburg – amata dalla Luiselli stessa. “Esili barlumi e schegge di quanto abbiamo vissuto”, componevano seconda la Ginzburg la materia del suo romanzo dalla memoria inaffidabile che partiva proprio dall’infanzia torinese, così come echi sonori e schegge di realtà popolano il romanzo della Luiselli, oscillando tra l’intimità rotta della famiglia in viaggio e la Storia nazionale politica guasta.

Parlare di bambini oggi include spesso segregazioni che hanno a che fare non solo con deportazioni ma anche (e ancora) con il colore della pelle, e in generale con la comunità afroamericana. Una maestra dell’esplorare il passaggio dell’infanzia all’età adulta su questo fronte, era sicuramente la oggi compianta Toni Morrison. Tra i suoi ultimi libri usciti in Italia (sperando in una ristampa di Amatissima, e magari in nuova traduzione) sono L’occhio più azzurro e Prima i bambini (usciti rispettivamente per Sperling e per Frassinelli), storie di amicizia e ribellione nel quale i bambini la fanno da protagonisti. Ma ritorna a esplorare l’infanzia e l’adolescenza in questo senso anche il Premio Pulitzer Colson Whitehead, nel nuovissimo I ragazzi della Nickel, appena uscito per Mondadori. Basato su fatti reali, attraversa l’esperienza di un ragazzo afroamericano, istruito dalla nonna secondo i dettami speranzosi di Martin Luther King, ma inviato per un colpo gobbo della sorte nel riformatorio Nickel Academy, un vero e proprio centro di torture, con un’ala segretata per i bambini e ragazzi colored, dove circa 80 tra bambini e ragazzi fino ai 18 anni sono morti tra il 1900 e il 1972.

All’esperienza degli afroamericani negli States, potremmo però unire anche il recente Cockroaches della ruandese Scholastique Mukasonga, pubblicato dalla casa editrice di ricerca Archipelago Books, che racconta del genocidio nel Ruanda del 1994 attraverso la propria esperienza di bambina africana rifugiata in Burundi. Un libro, finalista del National Book Award 2019 per opere tradotte, che speriamo di vedere anche da noi presto in Italia.

Sempre dall’America, sul fronte altrettanto terribile, ma più domestico, tra quelli appena usciti in Italia c’è da segnalare il racconto-confessione rovesciata di Chiedimi scusa (ll Saggiatore) dove l’autrice – famosa anche da noi per I monologhi della vagina – Eve Ensler racconta attraverso un’immaginaria e raggelante voce del padre Arthur gli abusi sessuali e psicologici subiti fin da bambina: “Io ti ho ucciso, Eve. Io, tuo padre. Eppure tu sei sopravvissuta. E ora che sono morto, finalmente riesco a dire la verità, tutto quello che i vivi non possono dirsi”.

Oppure potremmo anche menzionare, sul fronte horror bensì proprio relativo al genere, il nuovo Stephen King (L’Istituto, Sperling&Kupfer) dove, si sa, l’infanzia gioca un ruolo spesso importante (si pensi anche alla recente riproposizione della saga It oppure all’Incendiaria). Come in Whitehead, nel nuovo King il terrore passa attraverso le vicende di un istituto che rapisce e segrega stavolta bambini e ragazzi dai poteri telecinetici. Siamo forse di fronte al Re delle buone se non ottime prove, specialmente nel ritratto della signora Sigsby, la direttrice dell’istituto che, con ogni mezzo e ferocia, vuole privare i bambini dei loro poteri – mentre Luke, il bambino protagonista rimane l’unico sopravvissuto, in cerca di una fuga impossibile.

Nello scaffale italico, ci ha colpito molto invece l’uscita di un libro irriverente e giocoso, Bambinacce (Feltrinelli), una serie di componimenti in rima e scanzonati, a opera del duo inedito Veronica Raimo e Marco Rossari. I due narratori hanno messo su un canzoniere-catalogo di bambine alla scoperta del sesso, della trasgressione, delle regole in società da infrangere, ma anche delle insidie terribili che la realtà là fuori può rivolgere loro in quanto pur sempre non solo bambine ma anche donne. Dietro l’ingenuità delle bambine che desiderano, esperiscono, infrangono, fanno boccacce alla lingua e ai costumi, ci sono anche quelle che fanno domande agli adulti. Nelle risposte acute e bizzarre, si ritrovano così anche alcune questioni legate in realtà alla fragile posizione delle donne in una società che le imprigiona in caselle identitarie e sessuali (sono inclusi nel catalogo, per intenderci, anche i bimbobimba), e persino razziali.

I bambini ci raccontano la storia patria meglio di noi, pareva già dirci la Ginzburg citata implicitamente dalla Luiselli. Questo che pare insegnarci anche La linea madre (Chiarelettere) di Daniel Saldaña Paris, romanziere e saggista nato a Città del Messico, dove un bambino compie un viaggio di scoperta e iniziazione nel tentativo di ricercare la madre Teresa, che l’ha abbandonato per andarsene nelle file degli zapatisti in Chiapas. Libro sempre storico e affine, ma forse di tutt’altra portata letteraria rispetto a quello della Luiselli, è l’atteso romanzo in uscita per Einaudi Stile Libero, Il treno dei bambini dell’esordiente Viola Ardone. Racconta dal punto di vista del piccolo Amerigo delle vicende legate al cosiddetto Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli, un’operazione del Partito comunista locale che fece partire per il Nord migliaia di bambini napoletani costretti in condizioni di miseria dal dopoguerra (correva l’anno 1946). Furono ospitati e rifocillati da famiglie del Centro-Nord e videro con gli occhi propri le differenze insormontabili della loro Italia. Una deportazione positiva, potremmo dire?

Secretati o esiliati, i bambini, siano essi afroamericani, napoletani, messicani o centro-americani, hanno ancora la capacità di porre a noi adulti domande profondissime alle quali spesso non vogliamo rispondere.

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