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martedì, Ago 25

I motivi per cui Trump potrebbe farcela di nuovo



Da Wired.it :

Se si votasse ora, tutto giocherebbe a sfavore del capo della Casa Bianca: ma non si vota ora. E la reazione alle proteste, le gaffes dell’avversario e altri colpi di scena potrebbero aiutare Trump ha vincere altri 4 anni

Donald Trump è in una situazione complicata. La pandemia, che ha già ucciso oltre 170mila statunitensi, non accenna a rallentare. L’economia, che fino a febbraio era il punto di forza e il vanto del presidente, conta oltre 25 milioni di disoccupati; il suo probabile avversario alle presidenziali di novembre, Joe Biden, è costantemente davanti nei sondaggi. Persino gli stati del Midwest, dove l’attuale capo della Casa Bianca vinse in scioltezza nel 2016, sembrano preferire la competenza e la sobrietà dell’ex vice di Obama. Se si votasse oggi, Trump potrebbe anche perdere con una batosta epocale; dicendo addio non solo territori in bilico come la Florida e la Pennsylvania, ma potenzialmente perdendo anche roccaforti repubblicane come la Georgia e il Texas.

Ma le elezioni non si tengono oggi. E sebbene le tendenze nei sondaggi siano rimaste stabilmente in favore di Biden per tutta la crisi del coronavirus e le proteste di Black Lives Matter, siamo appena ad agosto. Da qui all’Election Day può succedere ancora di tutto: le scintille durante le prime sfide in televisione, cambi repentini di umore di segmenti demografici-chiave, colpi di scena geopolitici e annunci a sorpresa durante le convention di partito. sor de di aLe sfide televisive e le convention dei partiti – che potrebbero. Per quanto il quadro per Trump oggi sembri critico, ci sono almeno cinque possibili modi in cui potrebbe spuntarla.

Un rallentamento del coronavirus

Sono mesi che Trump parla incessantemente degli sforzi sovrumani della sua amministrazione per produrre un vaccino per il Covid, firmando contratti colossali con le case farmaceutiche statunitensi e rimuovendo tutti gli ostacoli burocratici a una sperimentazione rapida. Tuttavia, la maggioranza degli esperti è d’accordo: un trattamento di massa per il coronavirus non sarà disponibile per il pubblico prima dell’inverno inoltrato, e comunque non prima delle elezioni di novembre.

Detto questo, sebbene i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) abbiano giurato che non bruceranno i protocolli di sicurezza per compicere il presudente, se dovesse miracolosamente verificarsi un abbassamento del tasso dei contagi, o ci fosse un annuncio in pompa magna che la scoperta di un vaccino è imminente, e la fine dell’incubo dietro l’angolo, l’opinione del pubblico potrebbe cambiare in modo significativo. Soprattutto tra gli indecisi, o tra i settori già propensi per un voto a destra.

A livello nazionale, circa sei statunitensi su dieci trovano insoddisfacente il lavoro compiuto da Trump nella lotta al coronavirus. Ma dalla sua parte c’è il fatto che i ricoveri in ospedale e la mortalità per il coronavirus si è abbassata, e che sta aumentando la percentuale di asintomatici.  La chiusura pressocchè totale delle frontiere in questo momento negli Stati Uniti, e il processo per la concessione della cittadinanza reso quasi impossibile, sono fattori che puntano a consolidare il voto più conservatore. Se a questo si dovesse aggiungere la stanchezza della sinistra per le misure di contenimento e la sensazione che una svolta è dietro l’angolo, l’argomento pandemico potrebbe non essere più la principale spina nel fianco di Trump.

Le gaffes di Biden

Il comitato elettorale di Trump ha iniziato a spingere per un quarto dibattito televisivo con Biden, oltre ai tre già programmati a partire da settembre. La richiesta è stata rigettata dal comitato che controlla la par condicio statunitense, ma il fatto che i Repubblicani ci abbiano provato è il segno che forse il presidente si sente sicuro delle sue possibilità, specialmente nei confronti dal vivo.

In effetti, le performance di Biden durante i dibattiti delle primarie democratiche non sono sembrati travolgenti. La sua vittoria è stata costruita piuttosto sull’inerzia, sulla debolezza degli altri contendenti su base nazionale, e sull’appoggio di quasi tutta la nomenclatura di spicco del partito e della sua organizzazione. Persino l’endorsement di Obama, quando la corsa si era ridotta a due tra Biden e Sanders, è sembrato a molti osservatori recalcitrante e in ritardo, quasi come se fino all’ultimo l’ex vicepresidente potesse inciampare e far fare a tutti i big dei Dem una brutta figura.

Se Trump è famoso per le sue sparate fuori luogo e i suoi strafalcioni linguistici, sarebbe meglio andarci cauti con Biden. I Repubblicani lo accuseranno dall’inizio alla fine di non avere le facoltà mentali per fare il presidente, probabilmente diffondendo video in cui ogni inciampo dell’avversario verrà ingigantito all’inverosimile. Ma è certo che lui darà una mano: come quando tenne un discorso sui peli delle sue gambe e su quanto adorasse i bambini che gli saltano in grembo. Oppure quando lasciò intendere che i veri neri non potevano votare per Trump, attirandosi le critiche da destra e da sinistra.

La maggioranza silenziosa contro le proteste

Nelle settimane successive all’uccisione di George Floyd a Minneapolis, il sostegno per il movimento Black Lives Matter ha raggiunto vette inaspettate. Sempre più persone, anche tra i repubblicani, sono sembrate convincersi che le disparità nel sistema giudiziario e poliziesco vanno affrontare con urgenza.

Trump, con la sua risposta violenta alle proteste, gli ammiccamenti alla repressione degli anni Sessanta contro i movimenti per i diritti civili, la foto propagandistica con la Bibbia in mano mentre dei manifestanti pacifici venivano bersagliati col gas lacrimogeno è sembrato incarnare ancora di più il leader sbagliato nel momento sbagliato; il trionfo dell’ignoranza unito all’arroganza al potere, incapace di mettersi in sintonia con la nazione anzi, empatico solo con i suoi elettori che chiedevano più sangue.

Ma il tono generalmente pacifico delle proteste è venuto meno in diverse città. La situazione è diventata particolarmente difficile a Portland, in Oregon, dove centinaia di persone sono state arrestate per disordini, o a Seattle, nello stato di Washington, dove una “zona temporaneamente autonoma” messa su dai manifestanti è finita nel modo peggiore: con i residenti fuggiti via, gli occupanti spesso coinvolti in risse, furti ed episodi di squallore, e la polizia intervenuta senza che nessuno dei principali opinionisti di sinistra se la sentisse di difendere l’esperimento.

In questo contesto, sfruttando le piattaforme social, la destra trumpiana ha avuto e avrà gioco facile ad amplificare o distorcere gli episodi di maggiore degrado: come il reporter Andy Ngo, caduto in disgrazia l’anno scorso dopo che si era scoperto che era in combutta con dei suprematisti bianchi, e ora risorto come documentarista attraverso i luoghi, i quartieri, i negozi devastati dai temutissimi antifa. Ci mettono del loro, come al solito, anche i media putiniani, che hanno diffuso ad esempio un video di origine dubbia in cui dei manifestanti antirazzisti bruciano delle Bibbie.

La scelta di Joe Biden di nominare Kamala Harris, la senatrice californiana ex ministro della Giustizia della California, come sua candidata vicepresidente risponde al bisogno di tenersi buone l’elettorato nero, e al tempo stesso tranquillizzare i moderati, facendogli capire che nelle istituzioni lui metterà, in caso di vittoria, uomini d’ordine e di legge. Ciononostante, i più indecisi tra gli elettori potrebbero lasciarsi intimorire dalla possibilità di una presidenza che sminuisca gli aspetti più controversi della protesta di piazza, a cominciare da certe bizzarrie ed eccessi che verranno strumentalizzati dal comitato elettorale di Trump.

Anche se il presidente sarà ritenuto responsabile per aver gettato la benzina sul fuoco, è possibile pure che il richiamo di Trump alla maggioranza silenziosa, sul modello di Nixon negli anni Settanta post-contestazione, possa funzionare in alcuni stati decisivi per la vittoria.

I sondaggi che si sbagliano

I critici di Trump sono perseguitati dagli incubi del 2016, quando la vittoria della democratica Hillary Clinton veniva data per scontata da quasi tutti i media mainstream. È vero che Trump uscì comunque sconfitto dal voto popolare per due milioni di preferenze, ma quello che conta è il sistema elettorale statunitense, che con il meccanismo dei cosiddetti grandi elettori finisce storicamente per far pesare di più gli stati meno popolati, dove il Partito repubblicano va forte.

Non è da escludere che Trump possa prendere ancora meno voti di quattro anni fa, eppure uscire vincitore in una partita si giocherà ancora una volta in una manciata di stati, come la Florida o il Wisconsin, dove la pandemia sta avendo conseguenze drammatiche, ma dove contano anche prese di posizione culturale e ideologiche: ad esempio l’insofferenza per l’ipotesi di un nuovo, prolungato lockdown, o lo spauracchio dell’estrema sinistra al potere.

Secondo il sito di statistiche FiveThirtyEight, Biden è favorito con il 69 per cento di possibilità contro il 31 per cento di Trump: una posizione migliore rispetto ai suoi predecessori negli ultimi vent’anni, ma non così sicura da lasciarsi andare ancora all’entusiasmo.

La propaganda di Trump funziona

Finora i democratici si sono consolati col fatto che nonostante lo scarso carisma di Biden, nonostante gli eccessi delle manifestazioni di piazza il messaggio di Trump – il quale descrive l’opposizione come in preda ai soloni del politicamente corretto nella cultura e alla radical left nell’economia – non ha fatto breccia nell’opinione pubblica. Ma non è detto che l’incantesimo durerà per sempre. Un punto cruciale da tenere in mente è che non solo le persone possono cambiare idea, ma che molto spesso, negli Stati Uniti e non solo, lo fanno negli ultimi giorni prima del voto, quando tutta la loro attenzione si concentra sulla comunicazione dei candidati, e molti per la prima volta mostrano attenzione per i programmi elettorali e due-tre slogan memorabili.

La lezione di quest’ultimo lustro, nei due lati dell’Atlantico, è che l’elettorato è più liquido che mai; le vecchie alleanze e le vecchie fedeltà di partito sono scomparse, e non sarà strano vedere ex militanti progressisti scegliere Trump per la sua guerra all’indipendenza della banca centrale o per il suo impegno isolazionista in politica estera, così come ex militanti conservatori scegliere Biden per restituire decoro e dignità di eloqui alla Casa Bianca.

Dalla sua, inoltre, la campagna di Trump ha il fatto di essere più ricca e meglio finanziata di quella del 2106, quando spese 200 milioni di dollari in meno di Clinton. Finora Biden e Trump hanno nel cassetto circa 300 milioni di dollari da spendere, con un leggero vantaggio del secondo.

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[Fonte Wired.it]