Seleziona una pagina
mercoledì, Giu 17

I pro e i contro di una quarta stagione di Boris



Da Wired.it :

E se, dopo tante chiacchiere (oltre a una raccolta firme su Change.org), la serie di culto tornasse per davvero? Al di là delle questioni di cuore, abbiamo analizzato le opportunità e i rischi

                                                                                          di Patrizio Ruviglioni

Boris 4 non è più una semplice chimera, forse. Dopo anni di passaparola, pirateria, culto, con l’arrivo della meta-serie su Netflix dello scorso maggio è come se René Ferretti, Stanis, la “cagna maledetta” e tutto Gli occhi del cuore avessero trovato quella legittimazione mainstream che in 10 anni non avevano ancora incontrato. Tradotto: è nata una raccolta firme su Change.org (i più volenterosi possono aderire qui) per chiedere una quarta stagione, sottoscritta anche dal cast stesso, per intero, e al di là dell’effettiva fattibilità del progetto (ancora da verificare), l’argomento non era mai stato tanto chiacchierato quanto ora. La parola agli attori: Duccio (Ninni Bruschetta) ha detto di sentirsi pronto per il ritorno, mentre Biascica (Paolo Calabresi), pur condividendo in pieno la causa, ha smorzato gli entusiasmi del caso bollando l’idea come “improbabile”. Al di là del merito, sono comunque opinioni che descrivono bene una situazione in realtà affatto semplice: dietro allo sviluppo di un Boris 4, al di là delle questioni di cuore, ci sono tanti pro e contro – opportunità e rischi. Vediamo quali.
Il-cast-della-serie-tv-Boris_galleryzoom

Pro: provarci ancora

Chi all’epoca della prima messa in onda, nel 2007, ha seguito Boris – e in realtà anche chi ci è arrivato più tardi – non ha potuto non chiedersi da quale varco spazio-temporale fosse fuoriuscito. È un lavoro originalissimo, una meta-serie che, per freschezza, cattiveria ed elementi grotteschi, avrebbe potuto cambiare per sempre il nostro modo di fare tv. Poteva, ma non l’ha fatto (in linea con lo scenario conservatore e conservativo che descrivono i protagonisti), ed è rimasto cult. Ma adesso l’ironia è cambiata: i vecchi modelli macchiettistici (à la Martellone, per intenderci: Zelig, Colorado) hanno perso centralità, mentre la stand-up inizia a raccogliere i primi numeri; inoltre, le serie sono entrate nei nostri consumi abituali, e persino il recente successo raccolto da René e compagni su Netflix è sintomo di una sensibilità di pubblico diversa, per la quale quei personaggi non sono più degli outsider. Insomma: che sia il momento giusto per uscire dal culto e cambiare davvero la comicità italiana? Dieci anni dopo, forse, siamo pronti per Boris.

Contro: il rischio di un’operazione nostalgia

Inutile girarci intorno: gli spettatori chiedono una quarta stagione, perché Boris è un gioiello già così. Negli anni si è consolidato un ecosistema di modi di dire (“smarmellare”, fare “a cazzo de cane”, essere “troppo italiano”), stereotipi (il delegato di rete attento solo agli equilibri politici, il divo da quattro soldi, l’attrice “cagna”) e dinamiche difficile da modificare, se non maneggiandolo con i guanti. Il rischio, in questo senso, è allora quello di accontentare i fan con un’operazione un po’ ruffiana: riprendere in blocco il passato e farlo rivivere un’ultima volta, rigorosamente identico a sé stesso perché la gente vuole quello. Si andrebbe sul sicuro con un tributo a ciò che è stato, e sicuramente gran parte degli appassionati si godrebbero un ultimo giro sulla giostra; ma sarebbe una conclusione sottotono rispetto alle precedenti – soprattutto pensando all’escalation di profondità delle altre tre stagioni. Ne varrebbe la pena?

Pro: raccontare un’altra televisione

Oltre a essere cambiata la comicità, però, dall’ultima messa in onda di Boris si è trasformata anche la televisione: a fine anni Zero le fiction erano ancora una miniera d’oro in cui una svolta non era “nemmeno augurabile”; oggi la tv tradizionale è parzialmente in crisi, senza contatto con il pubblico più giovane e che prova a reinventarsi con tentativi seriali più o meno riusciti (L’amica geniale, da una parte, I medici dall’altra). E ok: le dinamiche del set saranno anche rimaste (purtroppo) le stesse del 2007, ma ora le reti e i registi si trovano a mediare fra necessità diverse, e anche due come Stanis e Corinna – per dire – sicuramente avrebbero un ruolo diverso con i propri ammiratori (potrebbero essere degli influencer? Chissà). Insomma: la grande sfida di Boris 4 sarebbe aggiornarsi al 2020 raccontando la “minaccia” di Netflix, i social, la rincorsa delle vecchie produzioni sui ragazzini. E la ricerca della “qualità”: di cui continua a non importarci niente neanche così, no?

Contro: il finale

Semplice semplice: senza spoiler, il finale di Boris 3 è sostanzialmente perfetto per la sua capacità di chiudere cerchi, aprirne – volendo – di nuovi e lanciare messaggi parossistici su un sistema marcio sin dal primo episodio. Ora bisognerebbe trovarne un altro che, al tempo stesso, sposti la trama qualche passo più avanti e non si risolva, di nuovo, come un epilogo aperto, mettendo un punto definitivo alla serie e rimanendo all’altezza di quello della terza stagione. Difficile, altroché.

Pro: una nuova classe politica in parlamento

Il merito più grande di Boris, comunque, resta la capacità di fare autocritica dell’Italia in maniera lucida e spietata. Ergo, amarissima: con i soprusi fra i pezzenti del set, le ingiustizie sistemiche che sfiorano il surreale, le tenerezze e i rapporti umani schiacciati; l’assuefazione da abusi di potere e le continue ingerenze “di palazzo”; sul set, nei vertici della produzione, persino durante la scelta del cast. Perché è una satira, ovviamente, soprattutto politica: ma se nel 2007 quello dei dilettanti al potere era solo uno dei tanti temi, oggi c’è una nuova classe politica che ne ha fatto il credo. Le raccomandazioni, le veline, i messaggi da “veicolare”, le carriere miracolate: magari, a cospirare contro il conte, oggi, sarebbe tipo l’Unione Europea. Più difficile capire se Arianna sia rimasta fedele alle proprie scelte elettorali, in effetti.

Contro: l’assenza di Mattia Torre

Ma il vero limite insormontabile, al momento, è comunque l’assenza di Mattia Torre. Lo sceneggiatore, infatti, è scomparso lo scorso luglio lasciando orfani i colleghi Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo – e il trio era l’autentico motore delle idee e del gusto per il grottesco del progetto, nato invece da un’idea di Luca Manzi. Come dicevamo, se negli ultimi dieci anni la televisione può non essere cambiata nei difetti, è sicuramente mutato il contesto a cui fa riferimento (e Boris ci ha già mostrato come i due aspetti siano legati reciprocamente): per questo, fra il rischio di ripetersi e quello di aggiornarsi in maniera sterile, Boris 4 si muove su un terreno scivoloso. Ecco: un gruppo di sceneggiatori affiatato sarebbe il punto principale da cui ripartire, ma così è pressoché impossibile ricreare l’alchimia creativa originale; al contrario, affidarsi a qualche new
entry rischia di snaturare lo spirito della serie. Perché, senza Mattia Torre, Boris non sarebbe Boris. E, per molti versi, non lo sarebbe mai stato.

Potrebbe interessarti anche





[Fonte Wired.it]