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martedì, Ott 29

I social network potrebbero fare molto di più per contrastare le fake news


È quanto emerge da un report a un anno dal Codice di condotta sulla disinformazione, sottoscritto in Europa da Google, Facebook, Twitter, Microsoft e altre. I big del settore si difendono, ma la strada da fare è ancora lunga

(foto: Omar Marques/SOPA Images/LightRocket via Getty Images)

Circa un anno fa Twitter, Facebook, Microsoft, Google, alcune associazioni di categoria e altre grandi società del settore del tech hanno sottoscritto il cosiddetto codice di condotta dell’Unione europea col quale si impegnavano ad autoregolarsi per contrastare le fake news sulle loro piattaforme proprietarie.

Cos’è cambiato, da allora? La risposta è contenuta nei report di autovalutazione che la Commissione europea ha pubblicato alcuni minuti fa. In generale, i soggetti coinvolti affermano di aver fatto progressi, soprattutto dal punto di vista dalla trasparenza, e di aver intensificato, nell’ambito di questa iniziativa, la collaborazione sia con le autorità nazionali che con alcuni esponenti della società civile come ricercatori e fact-checker.

Alcuni di loro riportano il numero di post pubblicitari che hanno eliminato perché violavano le loro regole – comprese quelle che proibiscono di promuovere e diffondere dichiarazioni false – oltre a quello degli account falsi che hanno soppresso e alle decisioni che hanno preso per evitare la circolazione di fake news e favorire un più ampio accesso ai dati agli esperti, nel rispetto della privacy negli utenti. Facebook, per esempio, ha citato l’introduzione della funzione “Perché vedo questo post” – finalizzata, appunto, a ridurre lo spazio per la disinformazione – mentre Twitter ha sottolineato il lancio di un nuovo strumento che rimanda gli utenti a fonti autorevoli quando cercano parole chiave associate ai vaccini.

La delusione dell’Ue

L’organo esecutivo comunitario sottolinea però che non tutti si sono dati da fare allo stesso modo o hanno fornito dati utili o sufficienti per capire l’efficacia di questo strumento o delle politiche messe in atto. Facebook, per esempio, scrive di aver rimosso circa 600mila post pubblicitari nell’Ue che violavano la sua policy sia a marzo che ad aprile di quest’anno, ma non indica dati relativi agli altri mesi. Twitter, invece, documenta anche i suoi sforzi in tema di contrasto a pratiche di business illecite che non hanno nulla a che fare con la disinformazione.

Inoltre, la collaborazione delle società della Silicon Valley varia da azienda ad azienda, da stato membro a stato membro: alcune delle azioni che sono state intraprese non corrispondono alle aspettative, alcune compagnie continuano a vendere “attività legate ad account fake e la disinformazione resta tuttora un enorme problema, che ha condizionato anche le elezioni europee. “Non possiamo accettare questa situazione come se fosse la nuova normalità”, si legge in una nota congiunta dei commissari Věra Jourová, Julian King e Mariya Gabriel. “Le piattaforme online devono istituire una collaborazione significativa con una gamma più ampia di organizzazioni indipendenti e fidate. L’accesso attuale ai dati non corrisponde ai bisogni di ricercatori indipendenti”.

In un’intervista al Guardian, King ha ammesso che la strada da fare è ancora molto lunga. “Se una piattaforma come Facebook con le sue risorse non riesce a capire che migliaia di account coordinati con nomi composti da due lettere sono sospetti e coinvolti in questo tipo di attività [di disinformazione] nel contesto delle elezioni, quando abbiamo concentrato tutti i nostri sforzi in questo settore, c’è ancora parecchio da fare”.

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