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venerdì, Set 13

I vincitori del premio per la libertà di stampa di Reporters Sans Frontières


La ong ha premiato tre donne – la maltese Caroline Muscat, l’araba Eman al Nafjan e la vietnamita Pham Doan Trang – che ogni giorno rischiano la vita per fare il proprio mestiere

Da sinistra, Caroline Muscat, Eman al Nafjan e Pham Doan Trang (foto: RSF/Luisa Pohlmann)

Quando la giornalista maltese Daphne Caruana Malizia è morta a causa dell’esplosione di una bomba che era stata nascosta nella sua macchina, Caroline Muscat ha preso le redini del suo lavoro e ha portato alla luce altri scandali di corruzione; in un paese in cui alle donne non è permesso andare in giro senza essere accompagnate da un uomo né avere un conto bancario, Eman al Nafjan ha lanciato una campagna per dire basta al patriarcato; Pham Doan Trang, invece, è costretta a spostarsi ogni due settimane. Glielo impone il regime comunista vietnamita, che nel 2018 l’ha anche arrestata. La sua colpa è quella di aver dato ai suoi concittadini informazioni legali utili per difendere i loro diritti.

Sono – molto in breve – le tre giornaliste alle quali Reporters Sans Frontières ha deciso di assegnare i suoi premi per la libertà di stampa. Solo la prima è riuscita a ritirare il riconoscimento a Berlino, dove il 12 settembre si è svolta la cerimonia, mentre alle altre due non è stato permesso di lasciare il paese.

Questi giornalisti che dovrebbero essere onorati dai loro paesi vengono privati della libertà di viaggiare, e spesso della loro stessa libertà”, ha detto il segretario generale della ong che si occupa di libertà di stampa, Christophe Deloire, paragonando la vicenda delle due giornaliste a quella di Carl von Ossietzky, un giornalista tedesco cui fu impedito di ritirare il premio per la pace. “Ma il loro lavoro trascende i confini nazionali e i dittatori non possono fare niente per fermarlo”.

Qualcosa in più sulle vincitrici

Ogni anno da 25 anni Reporter senza frontiere assegna un premio a chi si distingue nella lotta per la libertà di stampa. La scelta spesso è anche un modo per mettere sotto pressione i governi, specialmente se risultano coinvolti in crimini, abusi o soppressione dei diritti umani.

Dando il “premio per il coraggio”a Eman al Nafjan, la ong ha voluto mandare un segnale a Mohammed bin Salman, il principe ereditario che gestisce il potere nel suo paese ed è sospettato di aver ordinato l’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khasoggi. Al Nafjan, però, è stata scelta soprattutto perché ha barattato la sua sicurezza personale con la lotta per l’emancipazione femminile a Riad. Le sue lotte per il diritto delle donne di guidare e la campagna che invitava le donne a ribellarsi contro il controllo maschile sono state considerate minacce alla sicurezza nazionale: per questo, la giornalista è stata incarcerata il 28 marzo scorso e rischia fino a 20 anni di reclusione.

In carcere è finita anche Pham Doan Trang, la blogger vietnamita, cui è andato il “premio per l’influenza”. Classe 1978, Trang ha fondato Luât Khoa e The Vietnamese, due riviste che si occupano di questioni politiche e legali contenenti consigli utili su come difendere i propri diritti contro gli abusi. Ha poi formato diversi giornalisti fornendo loro gli strumenti necessari per compiere questo lavoro in un paese dove la stampa è controllata dal Partito comunista.

Parole molto simili possono essere usate anche per Caroline Muscat, cui è stato assegnato il “premio per l’indipendenza”. Muscat era un’amica di Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa nel 2017 a causa del suo lavoro in un brutale attentato mentre era alla guida della sua automobile. Dopo quell’evento ha fondato, insieme ad altri colleghi, The Shift News, un sito investigativo che negli ultimi due anni ha portato a galla diversi casi di corruzione, ed esposto i suoi giornalisti a pesanti minacce di morte. Ieri, parlando alla cerimonia di premiazione, Muscat ha ricordato che una volta la Bbc l’ha definita un’attivista, più che una giornalista. Poi ha aggiunto: “Oramai è così, temo che non abbiamo più scelta. Se non difendiamo noi giornalisti la libertà di stampa, chi lo farà?”.

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