Il bitcoin ha raggiunto nuovi massimi storici. Per la prima volta nella sua storia ha superato la soglia dei 110mila dollari, sfiorando il valore di 112mila dollari. La crescita, che registra una progressione del 3,96% nelle ultime 24 ore, è accompagnata da un crescente interesse degli investitori istituzionali verso gli asset digitali. Anche Ethereum, la seconda criptovaluta per importanza, ha beneficiato del clima positivo guadagnando il 6,26% e raggiungendo i 2.683 dollari. A spingere i prezzi contribuiscono anche le recenti novità normative negli Stati Uniti.
La strada verso la legittimazione del bitcoin?
Secondo gli esperti del settore, questa crescita ha caratteristiche inedite. Eric Demuth, amministratore delegato di Bitpanda, spiega che “questa volta il contesto è radicalmente diverso rispetto al passato. Non si tratta più di un’impennata legata alla speculazione: è la conseguenza di una trasformazione strutturale in atto all’interno del sistema finanziario globale”. Il primo segnale di cambiamento è arrivato a febbraio 2024 con l’introduzione degli Exchange traded fund (Etf) bitcoin, fondi d’investimento quotati in borsa che hanno rivoluzionato l’accesso alla criptovaluta. Prima della loro nascita, infatti, gli investitori istituzionali dovevano affrontare complesse procedure tecniche per acquistare e custodire bitcoin direttamente, dai portafogli digitali alla gestione delle chiavi crittografiche. Gli Etf hanno eliminato queste barriere, permettendo di investire attraverso normali broker finanziari come per qualsiasi altro titolo azionario. I risultati sono stati immediati: nei primi tre mesi del 2024 gli Etf bitcoin hanno raccolto oltre 12 miliardi di dollari. Soprattutto, hanno aperto le porte a fondi pensione, banche d’affari e compagnie assicurative che prima evitavano il settore per questioni normative e operative. BlackRock, il più grande gestore patrimoniale mondiale, ha lanciato il suo Etf bitcoin raccogliendo 4,6 miliardi in soli due mesi.
Ma il vero acceleratore è arrivato con l’elezione di Donald Trump, che ha inserito le criptovalute nella strategia economica americana per affrontare il debito pubblico da 36mila miliardi di dollari. Il presidente ha infatti puntato su questi strumenti come fonte di finanziamento alternativa, annunciando anche la creazione di una riserva strategica nazionale di bitcoin simile a quelle di oro e petrolio. È proprio questa visione politica che ha spinto il Senato ad approvare il 19 maggio il Genius act, la legge che ora sta alimentando il record della criptovaluta. Al centro del provvedimento c’è in realtà la regolamentazione delle stablecoin, ovvero quel tipo di criptovalute ancorate al dollaro, il cui valore rimane costante. Il Genius Act prevede che per ogni stablecoin emessa, l’emittente debba depositare un dollaro reale presso una banca statunitense, garantendo così una copertura totale e una supervisione da parte delle autorità finanziarie. Secondo gli esperti definire regole certe per le stablecoin equivale, di fatto, a gettare le basi normative per l’intero settore cripto, generando fiducia anche nei confronti del bitcoin, che però stablecoin non è.
Le preoccupazioni delle banche centrali
Tuttavia, questo entusiasmo americano non è condiviso da tutti. Mentre il governo degli Stati Uniti abbraccia le criptovalute, le banche centrali mondiali mantengono una posizione prudente. La Federal reserve e la Banca centrale europea avvertono che questi asset mancano di un sostegno economico concreto, diversamente dalle azioni di società produttive o dai titoli di stato garantiti dai governi. Il valore del bitcoin dipende esclusivamente dalla domanda e dall’offerta, senza ricavi aziendali, dividendi o garanzie statali a sostenerlo. Questa caratteristica rende le criptovalute soggette a dinamiche speculative che possono far oscillare i prezzi del 30-40% in poche ore.
Ed è proprio questa volatilità a preoccupare maggiormente gli esperti. La storia recente del bitcoin è infatti costellata di crolli improvvisi: tra novembre 2021 e novembre 2022, il suo valore è crollato di circa il 77%, passando da un picco di 68.742 dollari a poco meno di 15.800, in seguito a una serie di strette monetarie da parte della Federal reserve. Nonostante l’attuale euforia e le previsioni che vedono il bitcoin a 150mila dollari entro fine 2025, gli esperti ricordano che la dipendenza da fattori esterni rende questi investimenti particolarmente rischiosi. Un’eventuale dichiarazione negativa di Trump o un cambio di rotta delle autorità americane potrebbe infatti riportare il mercato ai livelli di partenza in tempi rapidissimi, come già accaduto quando la Cina bandì le criptovalute nel 2021, causando un crollo del 50% in poche settimane.
Estremamente cauta è anche l’Europa, che guarda con timore sopratutto l’ascesa delle stablecoin americane, temendo che possano attrarre capitali europei e indebolire l’influenza dell’euro nei pagamenti internazionali. Tether, la principale stablecoin legata al dollaro, ha una capitalizzazione di oltre 140 miliardi di dollari, superando molte banche europee. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti teme questa possibile fuga di capitali verso gli strumenti digitali americani, tanto più che le stablecoin permettono di bypassare il sistema bancario tradizionale per i pagamenti internazionali. Anche per questo l’Unione europea sta accelerando sui propri progetti di moneta digitale per non perdere terreno nella competizione monetaria globale. Molto critico in questo senso è il presidente della Consob Paolo Savona, che al Festival dell’Economia di Trento ha paragonato la corsa alle criptovalute alla crisi dei tulipani in Olanda. “Prima c’è la mania, poi c’e’ qualcuno che dice che il re è nudo e si chiede il rimborso, ma la moneta privata non può essere rimborsata”, ha messo in guardia Savona. Infatti “non c’è un debitore e alla fine nessuno è responsabile”.