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mercoledì, Apr 19

Il caso Alex Schwazer è qualcosa che aspettavamo da tempo | Wired Italia



Da Wired.it :

Il caso Alex Schwazer, documentario diviso in 4 puntate da poco disponibile su Netflix, è senza ombra di dubbio una delle migliori narrazioni d’indagine che l’Italia abbia visto ultimamente.
Lo è anche grazie al suo protagonista, al marciatore simbolo dell’Alto Adige, che qui si mette a nudo. Eroe, poi dannato, reietto, infine resuscitato ma non per tutti. Della sua storia, del suo dramma, di quel sogno in terra cinese diventato incubo per quasi dieci anni, questa serie si propone di donarcene l’immagine vera, non quella definitiva magari, anche solo una verità di parte, ma di certo altamente credibile. Inquietante è l’altro oggettivo con cui potremmo definirla, per come demolisce il mondo dello sport, certamente non solo italiano.

Il sogno di un ragazzo diventato incubo

Pare solo ieri che Alex Schwazer vinceva tra le lacrime. La sua all’epoca fu la medaglia simbolo della spedizione azzurra a Pechino 2008, nella 50 km di marcia con cui commosse il paese, diventò anche bene o male il nuovo personaggio mediatico del momento. La marcia: sport fatto per gente particolare, con un rapporto intimo, quasi viscerale con la fatica, il dolore, la disciplina. Il Caso Alex Schwazer, miniserie documentario diretta da Massimo Cappello, segue una linea narrativa classica, e quindi parte presentandoci il suo protagonista, atleta straordinario, marciatore come se ne sono visti pochi, capace giovanissimo di centrare il più grande risultato che uno sportivo possa desiderare. La marcia è uno sport che richiede costanza, serve avere una resistenza da mulo, una forza mentale assurda, ma è anche una disciplina incredibilmente tecnica, con quell’andatura strana, ondeggiata, da perfezionare anno dopo anno. Alex Schwazer era uno dei migliori nel farlo, lo aveva dimostrato per tutta la vita sembrava lanciatissimo invece…

Invece quello che lo travolge nell’agosto del 2012 lo capiamo in questo documentario, dove domina l’altra faccia del suo successo, delle mille ospitate televisive, della storia d’amore da rotocalchi con Carolina Kostner, altro fiore all’occhiello di quella narrazione sportiva non calcistica che da noi ha sempre cercato in tutti i modi di emergere e trovare il suo spazio.

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Da Dino Baggio a Massimo Brambati, alcune dichiarazioni di ex calciatori in attività negli anni Ottanta e Novanta hanno riaperto l’eterna questione del doping calcistico. Ecco cosa sappiamo dal punto di vista scientifico

Entrambi biondi, nordici, con quella parlata strana, un po’ ibridi ai nostri occhi, in quella fine di primo decennio diventano eroi ma anche divi. Il Caso Alex Schwazer, fa capire subito che il suo obiettivo primario è quello di portare la luce nelle tenebre, far vedere soprattutto l’altro lato della medaglia. Ci parla che proprio di quei primi anni, quando Alex finisce a fare i balletti in televisione, circondato dagli sponsor, lentamente si perde, ma non si perde in un posto qualsiasi, si perde in un ambiente dov’è il doping in realtà è di casa da tanto, tantissimo tempo.

Il Caso Alex Schwazer non si fa problemi ad abbracciare l’anima thriller e quasi spy, mentre ci ricorda ciò che chi ha seguito negli ultimi anni le cronache relative agli scandali più importanti legati all’uso di sostanze dopanti, sa benissimo. Ci sono due nomi su tutti sul banco degli imputati: Francesco Conconi e Michele Ferrari, due tra le personalità mediche più discusse e controverse dell’ambiente sportivo, accusati di aver svolto un ruolo chiave nello sviluppo del doping in ambito internazionale. Il Caso Alex Schwazer ci parla del loro ruolo storico, lo fa con una certezza di ferro che poi viene avallata soprattutto dalle prove, dai processi, da lui, da Sandro Donati. Simbolo dello sport pulito, allenatore vecchio stile, nel 2015 prende sotto la sua ala un Alex che sogna la rivincita, che è uscito dal tunnel, ha pagato. Almeno questo crede, perché in realtà i guai cominciano proprio in quel momento e la serie ce lo fa capire molto bene perché: Alex ha parlato, ha infranto il regime di omertà. In quel momento, si aprirà per lui un cammino fatto di umiliazione, sofferenza ma anche di riscatto della propria dignità di persona.

Il volto inquietante dello sport dei palazzi

Alex Schwazer non ha timidezze di fronte alla telecamera. Gli anni sono passati, ci sono più rughe sul viso, i capelli biondi sono diventati anche più radi di quando undici anni fa era scoppiato in un pianto disperato che fece il giro del paese e del mondo. Lo fece però diventare agli occhi del grande pubblico e dell’ambiente sportivo la vergogna del movimento. Perché, ed è un altro aspetto molto interessante della serie, Alex non nega mai le sue colpe, l’EPO, tutto ciò di cui si è macchiato. Sapeva quello che faceva, sapeva i rischi, sapeva che non era giusto ma lo fece, ma davvero era da solo? Davvero la Federazione non sapeva nulla? Crederlo è andare oltre l’ingenuità, è essere complici. Il Caso Alex Schwazer ci mostra un sistema cominciato negli anni ’80, con Conconi, poi diventato sostanzialmente ufficiale ed ufficioso, con emotrasfusioni, steroidi, tutto il peggio del peggio. Si cercava in qualche modo di colmare il gap con Stati Unutti e Russia e co., a cui confronto il nostro laboratorio si è scoperto poi era quasi un negozietto di famiglia.

Il principio rimane lo stesso però, portato avanti in modo spietato, tellurico: alterare le prestazioni, con pratiche di cui non si conoscono ancora gli effetti collaterali, spesso con conseguenze letali. Alex Schwazer è colpevole per i media, per i dirigenti italiani, per il sistema, infine per Wada e Iaaf. Di cosa? Di essersi fatto beccare e soprattutto di non essere stato zitto. Le sue parole danno il via ad indagini da parte dei tribunali, che colpiscono personaggi oscuri ed importanti, una filiera di menzogne e falsità che non ammette alcuna ribellione.

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Mentre la sua visione non aggiunge nulla in termini di ricostruzione della serata in cui è morta, solleva in modo scomposto l’ultimo velo di pudore sull’intimità di una persona in difficoltà

L’omertà, l’omertà è il valore più alto in certi ambienti, per i quali esistono solo casi singoli, il sistema deve rimanere intatto. Sono guidati da uomini corrotti e intoccabili, burocrati vendicativi, che quando Alex Schwazer prova a rientrare, metteranno in atto una persecuzione vergognosa, fatta di provette alterate, scappatoie e sentenze inique. Il Caso Alex Schwazer tutto questo lo mostra progressivamente, con energia crescente, senza retorica o pietismo, ma seguendo la logica, le prove, con grande potenza.

Permane alla fine della visione, la sensazione di rabbia e di sconfitta, perché Alex non è riuscito ad andare a Tokyo, è stato fermato da una falsa accusa. Ad allargare lo sguardo, a leggere gli scandali del calcio, le macchinazioni per la Superlega, il doping che interessa ciclismo, boxe, mma, l’atletica, ci si rende conto che Alex Schwazer, ragazzo che marciava verso paradiso e inferno nel 2008, è solo il sintomo di una bugia generalizzata. Perché lo sport è semplicemente uno strumento di potere, il ramo di un capitalismo impazzito. I nomi al vertice cambiano sulle poltrone del potere, cercano in tutti i modi di nascondere la verità, le proprie responsabilità, i propri peccati. Tra gli effetti più interessanti che questo documentario vi potrà donare, vi sarà anche la certezza di una totale mancanza di regole, di controllori, un po’ come nella finanza o nella mafia. Non è un paragone causale perché questo documentario, alla fin fine, è un grande racconto sul trionfo del risultato sulla morale, del malaffare che domina in ogni aspetto della nostra società.



[Fonte Wired.it]