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giovedì, Set 19

Il caso dell’interferenza istituzionale della presidente del Senato sul fine vita


Maria Elisabetta Casellati ha chiesto alla Corte costituzionale di rinviare il giudizio sulla vicenda di Marco Cappato e Dj Fabo: un atto inusuale, che rappresenterebbe l’ennesimo rinvio sul tema della libertà di morire

Foto di Andrea Ronchini/NurPhoto via Getty Images

La presidente Maria Elisabetta Casellati si è offerta di fare una telefonata informale alla Consulta per chiedere più tempo all’Aula prima della pronuncia”. Ad accendere la polemica sul divisivo tema del fine vita ci ha pensato questa volta una nota del Movimento 5 stelle, nella quale il partito di Luigi Di Maio sottolineava la necessità di risolvere per via parlamentare il dibattito sul suicidio assistito innescato dalla morte di Dj Fabo.

La sentenza della Corte Costituzionale sulla legittimità dell’articolo che punisce l’aiuto al suicidio (il 580 del codice penale) era attesa per il prossimo 25 settembre e avrebbe dovuto far luce, una volta per tutte, sulle sorti processuali dell’esponente radicale Marco Cappato, chiamato a rispondere di istigazione e aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani, meglio noto come Dj Fabo, in Svizzera nel febbraio 2017.

In senso molto più ampio, però, la sentenza dell’organo di garanzia costituzionale avrebbe potuto modificare di fatto l’ordinamento in materia di fine vita, prerogativa che secondo Casellati spetterebbe al parlamento, e che l’esponente di Forza Italia ha provato a difendere con una moral suasion che è una vera e propria forzatura istituzionale.

La Presidente del Senato chiama il Presidente della Corte costituzionale per bloccare la sentenza sul mio processo per l’aiuto a #djFabo??!! Ma a nome di chi?? Qualcuno dica qualcosaha commentato su Twitter Marco Cappato, che al tempo dei fatti aveva accolto il vaglio della Consulta come un “monito al parlamento con scadenza” per legiferare sul tema. Nell’ottobre del 2018, i giudici costituzionali avevano inoltre deciso di rinviare di un anno la decisione sul caso, per dare tempo al parlamento italiano di “adeguare l’ordinamento alla costituzione”.

Tutto inutile, dal momento che l’unica iniziativa in tal senso, la proposta di legge di iniziativa popolare del 13 settembre 2013, è bloccata alle camere da due legislature, senza un testo base nonostante 44 audizioni e sei mesi di lavoro.

La telefonata del presidente del Senato al presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi sul tema dell’eutanasia, alla vigilia dell’udienza fissata dalla stessa Corte per il 24 settembre, è stata una comunicazione meramente informale sullo stato delle iniziative legislative depositate in Senato” ha precisato nella serata di ieri lo staff della presidenza del Senato, a polemica già divampata, “così come concordato in sede di conferenza dei capigruppo”.

La vicenda di Marco Cappato e Dj Fabo

A riportare al centro del dibattito pubblico il tema del fine vita è stata la vicenda umana di Fabiano Antoniani, noto soprattutto come Dj Fabo, diventato cieco e tetraplegico nel 2014 in seguito a un incidente stradale. Dopo anni di terapie senza successo e l’accettazione di una prognosi senza prospettive di miglioramento, Dj Fabo aveva deciso di morire.

Ma in Italia non può farlo, non legalmente almeno, e per questo si era rivolto al parlamento e al presidente della Repubblica, nella speranza di poter avviare l’iter per una legge che consenta la libertà di scelta sul tema del fine vita. “Ho lottato, ma ora vorrei essere libero di smettere di vivere”, dirà in un accorato appello rivolto a Sergio Mattarella, ma è tutto inutile.

Dopo il terzo rinvio della legge sul testamento biologico, Dj Fabo decide di affidarsi al piano B, quello offerto dall’Associazione Luca Coscioni e dal suo tesoriere Marco Cappato: il 27 febbraio 2017 la vita di Fabiano Antoniani finisce in una clinica svizzera, dov’era stato accompagnato da Cappato, tramite suicidio assistito somministrato dopo esami medici e psicologici.

La fine di un calvario umano che è al tempo stesso l’inizio delle vicende giudiziarie di Marco Cappatoche ha portato alle estreme conseguenze una pratica di disobbedienza civile che doveva servire da sprone al parlamento, ma che ad oggi ha prodotto solo altri rinvii.

 

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