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venerdì, Ago 09

Il consumo di suolo è una questione che non si può più rimandare


È uscito il nuovo Rapporto speciale sull’uso del suolo del panel di esperti dell’Onu: lo sfruttamento del suolo e delle foreste aumenta e peggiora gli effetti dei cambiamenti climatici. Ma c’è una strada per salvarsi

Campi di soia in Brasile (foto: Getty Images)

Mentre si accendono roghi nel circolo polare artico, e i vigili del fuoco si destreggiano tra i circa 300 roghi in Sicilia, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) si è ritrovato per finalizzare il nuovo Rapporto speciale sull’uso del suolo, il cambiamento di destinazione d’uso e la silvicoltura, un report molto atteso dalla comunità internazionale che tira le fila del progredire della crisi climatica. Due anni di lavoro commissionato della Convenzione delle nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), che hanno coinvolto oltre 100 scienziati di tutto il mondo.

Il rapporto esamina il ciclo globale del carbonio e l’attuale impatto delle diverse attività di sfruttamento del suolo e delle foreste in relazione alle riserve di carbonio ed emissioni di gas a effetto serra. L’intensità e la durata di molti eventi estremi dipendono anche dal suolo, come le ondate di calore e le forti precipitazioni. Questi eventi a loro volta, insieme ai sempre più frequenti casi di siccità e inondazioni, aggravano i processi di degrado del suolo. Infatti il suolo emette carbonio, e il suo utilizzo agricolo è la seconda più grande fonte antropogenica di anidride carbonica nell’atmosfera – dopo la combustione di combustibili fossili.

Le previsioni dell’IOpcc parlano di ulteriori stress sui sistemi terrestri, esacerbando i rischi esistenti legati alla desertificazione, al degrado del suolo e alla sicurezza alimentare. Il rapporto stima che il livello di rischio rappresentato dai cambiamenti climatici dipenderà non solo dal livello di riscaldamento globale, ma anche dal modo in cui i modelli di gestione della popolazione, dei consumi e della terra si evolveranno.

Le foreste sono in grado di ritenere e convertire gran parte dell’anidride carbonica, ma nel corso dell’ultimo secolo l’agricoltura e altre attività umane hanno causato quasi tre quarti dell’intera deforestazione mondiale, producendo quasi un quarto delle emissioni di gas serra. Ridurre le emissioni derivanti dal suolo vuol dire cambiare drasticamente il nostro sistema agricolo e come di fatti gestiamo la terra.

Gli alberi non solo aiutano a mitigare i cambiamenti climatici assorbendo l’anidride carbonica nell’aria, ma aiutano a combattere la lotta alla desertificazione e al degrado del suolo. Tuttavia il documento riporta come il tasso di fotosintesi in alcuni tipi di piante potrebbe non crescere, proprio per l’aumento di concentrazione di anidride carbonica nell’aria.

La scienza dietro al perché il suolo è importante

Il suolo costituisce una riserva di carbonio e svolge un ruolo importante nel suo ciclo perché viene naturalmente scambiato tra il sistema ecologico terrestre e l’atmosfera. Il suolo produce anidride carbonica attraverso la decomposizione e la combustione; le piante scambiano anidride carbonica tra l’atmosfera e la biosfera terrestre attraverso la fotosintesi e la respirazione delle piante e del suolo, bilanciando i livelli di carbonio.

Ma con la diminuzione del numero di foreste e il coincidente aumento di attività umane, il tasso naturale di scambio di carbonio tra l’atmosfera e la biosfera terrestre attraverso l’uso del suolo è cambiato.  L’aumento della popolazione globale è una delle motivazioni utilizzate per giustificare l’aumento e la persistenza di un modello di agricoltura intensivo.

Il rapporto tuttavia evidenzia che nel mondo circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo non vengono utilizzate, producendo circa il 25-30% delle emissioni di gas serra.

Protezionismo forestale

L’intensificazione dello sfruttamento del suolo ha portato alla perdita di biodiversità degli ecosistemi, all’accelerazione del degrado del suolo e alla desertificazione, incidendo profondamente sul sostentamento delle popolazioni. Nelle ultime settimane il caso eclatante dell’Etiopia – che ha fatto piantare circa 350mila alberi per affrontare i cambiamenti climatici – ha suscitato interesse globale. La deforestazione contribuisce infatti a circa il 6-17% di emissioni di gas serra prodotte dall’uomo, e tra il 1990 e il 2015, la superficie boschiva in tutti i paesi dell’Unione Europea è cresciuta di 90mila chilometri quadrati. Tuttavia questo trend è presente solamente nei paesi più ricchi del mondo, sia per via del parziale abbandono alle professioni agricole, sia per via dei sussidi elargiti per proteggere le aree boschive.

Tutto questo avviene a discapito dei paesi in via di sviluppo, che avendo prezzi di produzione più bassi diventano le aree principali per la produzione di carne, soia e prodotti agricoli. Al ritmo attuale di 13 milioni di ettari ogni anno, le aree forestali vengano convertite in piantagioni e aree di allevamento, ma sono anche vittime del commercio illegale di legname, spesso per soddisfare il fabbisogno di gran parte del mondo. I dati riportati parlano anche di come il surriscaldamento globale colpirà diversamente il Nord e Sud del mondo: le popolazioni che risiedono nelle zone aride esposte allo stress idrico aumenteranno tra i 35 e 522 milioni.

Utilizzando immagini satellitari, Wayne Walker, ricercatore del Woods Hole Research Center è riuscito a mappare le foreste in Brasile, Venezuela, ed Equador, riscontrando come le popolazioni indigene nelle foreste amazzoniche giochino un ruolo importante nel mantenimento delle foreste e degli stock di carbonio. “Le perdite di carbonio all’interno dei territori indigeni (IT) si verificano, ma sono relativamente piccole rispetto a quelle che avvengono al di fuori di quei territori” ha detto. Tra le sue raccomandazioni vi è il necessario supporto delle comunità indigene da parte dei governi nazionali, nonché un più adeguato controllo per la salvaguardia delle foreste.

Rivoluzione agricola e dietistica

Il rapporto prevede che i cambiamenti climatici genereranno ulteriori stress sui sistemi terrestri, esacerbando i rischi esistenti legati ai quattro pilastri della sicurezza alimentare: disponibilità, accesso al cibo, utilizzo, e stabilità della produzione. L’aumento delle temperature sta di fatto già influenzando la produttività agricola e attualmente si prevede un aumento del prezzo dei cereali tra l’1 ed il 29% a causa dei cambiamenti climatici.

L’aumento della popolazione globale è uno delle motivazioni utilizzate per giustificare l’aumento e la persistenza di un modello di agricoltura intensivo. Il rapporto tuttavia evidenzia che nel mondo circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo non vengono consumate, pur producendo circa il 25-30% delle emissioni di gas serra. Un terzo della superficie mondiale è destinata all’agricoltura e bestiame, ed è dunque necessario ripensare e cambiare i modelli di consumo alimentare e dell’agricoltura, e l’accesso al cibo per tutti. Il report stabilisce infatti i limiti ambientali anche per il settore alimentare.

L’utilizzo dei terreni nel modello agricolo attuale è stato messo in atto a discapito di foreste, ma allo stesso tempo ha aumentato l’erosione del suolo e ridotto la quantità di materiale organico nel terreno.
Gli eventi atmosferici causati dal surriscaldamento globale avranno inoltre impatti sempre più negativi sulla resa delle colture, sulla stabilità dell’approvvigionamento alimentare, sulla perdita di vegetazione, sui danni da incendio e sull’erosione del suolo. 

In futuro, l’aumento della popolazione e del reddito comporterà a sua volta un aumento della domanda di cibo e acqua, con ulteriori implicazioni. Gli studi della commissione Eat-Lancet hanno analizzato l’attuale status del nostro sistema in termini di produzione e modelli di consumo. Se entro il 2050 non dovessimo fare nulla, le emissioni sarebbero il 96% in più di ciò che la Terra può effettivamente tollerare.

Tra i suggerimenti dati dai report, si sottolinea la necessità di ridurre la produzione di carne del 65%. Ciò potrebbe portare a una conseguente diminuzione della produzione mondiale di soia ( l’85% del raccolto mondiale è infatti destinato come mangime negli allevamenti) e quindi di terreno destinato per la sua produzione da destinare ad altri scopi. 

Molti guardano alla possibilità di avvalersi dei principi di agroecologia e a sistemi alimentari resistenti e a bassa produzione di gas serra, ma allo stesso tempo senza l’utilizzo di diserbanti e pesticidi che acuiscono l’impoverimento del suolo. La conversione di terreni non forestali in foreste o aree boschive aumenterebbe in genere la biodiversità ed aiuterebbe a contrastare l’erosione del suolo, il suo impoverimento, la vulnerabilità delle colture e la desertificazione. Insomma: la ricetta per tornare a galleggiare non è facile, ma ci si può provare.

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