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venerdì, Gen 01

Il coronavirus potrebbe infilarsi anche nei nostri cromosomi



Da Wired.it :

Il fatto che il coronavirus riesca a integrare il suo genoma nel dna dei nostri cromosomi potrebbe spiegare il motivo per cui alcune persone, anche dopo molto tempo dalla guarigione, risultano ancora positive

coronavirus
(Foto: Qimono/Pixabay)

Le persone che guariscono da Covid-19, in alcuni casi, possono rimanere positive per un lungo periodo di tempo. E ciò potrebbe dipendere dal loro sistema immunitario, oppure da un’infezione particolarmente persistente. A fornire oggi un’altra possibile spiegazione è un nuovo studio dei ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) , secondo cui il coronavirus si nasconderebbe in un luogo ben preciso: i nostri cromosomi. Infatti, dalle analisi preliminari, svolte per ora solo in laboratorio, è emerso che il virus potrebbe integrare il suo genoma nei cromosomi umani. Un fenomeno già osservato per altri virus, come l’hiv e alcuni retrovirus, anche se, avvertono i ricercatori, ciò non implica che il coronavirus riesca a stabilirsi permanentemente nelle cellule umane per continuare a proliferare, come fa invece l’hiv. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista pre-print bioRxiv.

Ricordiamo che tutti i virus inseriscono il loro materiale genetico nelle cellule che infettano. Ma, generalmente, rimane separato dal dna della cellula. Incuriositi dal sempre crescente numero di casi di positività di persone, anche dopo molto tempo dalla loro guarigione, i ricercatori si sono concentrati sulla possibilità che il coronavirus, o meglio il suo genoma, potesse integrarsi nel dna dei cromosomi. Per capirlo, hanno aggiunto la trascrittasi inversa (Rt), un enzima tipico dei retrovirus e in grado di servirsi dell’rna come stampo di partenza per sintetizzare dna, nelle cellule umane e hanno coltivato le cellule ingegnerizzate con il coronavirus. In particolare, in un esperimento hanno aggiunto un Rt proveniente dall’hiv e un altro Rt utilizzando sequenze di dna umano note come elementi Line-1, sequenze di antiche infezioni retrovirali che costituiscono circa il 17% del nostro genoma.

Dalle analisi è emerso che le cellule che producono entrambe le forme dell’enzima hanno fatto sì che alcuni frammenti dell’rna del coronavirus fossero convertiti in dna e integrati nei cromosomi. Se le sequenze Line-1, quindi, producessero naturalmente Rt nelle cellule umane, l’integrazione del coronavirus potrebbe verificarsi sia nelle persone con Covid-19, sia con una co-infezione da coronavirus e hiv. Entrambe le situazioni, commentano i ricercatori, possono spiegare perché i tamponi molecolari rilevano per lunghi periodo di tempo tracce di materiale genetico del coronavirus in persone che non hanno più un’infezione attiva.

Alcuni scienziati, tuttavia, si sono dimostrati critici e scettici nei confronti di questi risultati. Per esempio, secondo l’opinione di David Baltimore, virologo del California Institute of Technology (Premio Nobel per la scoperta della Rt), il lavoro è “impressionante”, anche se precisa che lo studio è incompleto. Mentre John Coffin, virologo della Tufts University definisce lo studio “credibile”. “Tutto sommato, dubito che il fenomeno abbia molta rilevanza biologica”, commenta l’esperto a Science. Anche Zandrea Ambrose, retrovirologo dell’Università di Pittsburgh, è dello stesso parere: questo tipo di integrazione sarebbe “estremamente raro” se effettivamente accadesse, sottolineando che gli elementi Line-1 nel genoma umano di rado rimangono attivi. In risposta, Rudolf Jaenisch, biologo molecolare del Massachusetts Institute of Technology (Mit) e autore dello studio chiarisce che i risultati dimostrano chiaramente che l’integrazione non porterebbe alla replicazione del coronavirus, quindi a un’infezione attiva. “Non c’è da preoccuparsi”, avverte l’esperto.

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[Fonte Wired.it]