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martedì, Dic 03

Il decennio che sta per chiudersi è stato il più caldo di sempre


Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il decennio che sta per chiudersi ha toccato temperature record divenendo il più caldo mai registrato (e anche il 2019 ha fatto segnare un record negativo)

(foto: Getty Images)

Il decennio 2010-2020 è molto probabilmente quello più caldo della storia, e certamente lo è da quando vengono registrate le temperature. Lo rivela un rapporto dell’Organizzazione mondiale meteorologica delle Nazioni Unite (Wmo) che specifica come il cambiamento climatico sta procedendo in maniera più veloce della capacità umana di adattarsi ad esso. Lo studio, presentato nel secondo giorno della Cop25 di Madrid, rende note che le temperature globali del 2019 sono state di 1,1 grado centigrado sopra la media del periodo pre-industriale, eleggendo l’anno che sta per chiudersi come “il secondo o il terzo” fra i più caldi mai registrati. Dal 1980 in poi, ogni decennio è stato più caldo del precedente, mentre l’anno in assoluto che ha toccato il record è il 2016, incluso appunto negli ultimi dieci anni.

I climatologi del Wmo usano comunque il condizionale per definire la decade che star per chiudersi come la più calda di sempre, ma si dicono “quasi certi. In effetti mancano solo i dati dell’ultimo mese per il bilancio finale per il 2019 – e quindi del decennio – per averne la certezza. Ma se si collegano i numeri agli effetti concreti, dall’innalzamento dei mari allo scioglimento dei ghiacciai a eventi climatici sempre più estremi, non si fa fatica a realizzare che stiamo vivendo uno dei picchi della crisi climatica. L’ondata “eccezionale” di calore è dovuta alle emissioni di CO2, legate a combustibili fossili, trasporto merci, coltivazioni e costruzione di infrastrutture, spiegano gli esperti. Guidare automobili, abbattere le foreste e bruciare carbone per produrre energia rientrano ovviamente in queste attività.

Ondate di calore e alluvioni che prima avvenivano una volta ogni secolo adesso accadono regolarmente” ha sottolineato il segretario generale dell’organizzazione, Petteri Taalas durante l’intervento alla Cop25, lanciando un vero e proprio allarme. Con un riscaldamento di 1,1 gradi centigradi ci stiamo avvicinando alla soglia di 1,5, limite secondo gli scienziati oltre il quale si avranno condizioni metereologiche estreme e la perdita di ecosistemi vitali. Ovviamente con ripercussioni sulla salute umana, sicurezza alimentare e migrazioni.

Un anno record

Riguardo al 2019, il rapporto svela dei dati a dir poco preoccupanti. Se il Wmo aveva già annunciato poche settimane fa che il 2018 aveva raggiunto un record di Co2 con 407,8 parti per milione (Ppm), adesso si specifica che hanno continuato ad aumentare nel 2019, nonostante i dati ufficiali arriveranno nel 2020. “L’estensione minima giornaliera di ghiaccio marino artico a settembre 2019 è stata la seconda più bassa registrata dal satellite” – si legge – “e ottobre ha visto ulteriori record negativi. In Antartide, il 2019 ha visto in alcuni mesi di veri e pochi picchi di mancanza di ghiaccio”. Lo scioglimento ha provocato come prima conseguenza l’innalzamento dei mari, “accelerato dall’inizio delle misurazioni satellitari nel 1993” si legge.

Ma gli oceani stanno pagando un prezzo carissimo anche per un altro motivo: assorbendo calore e anidride carbonica subiscono un processo di acidificazione mettendo a serio rischio gli ecosistemi vitali marini. “Finora nel 2019 l’oceano ha avuto almeno un mese e mezzo di temperature più calde rispetto alla norma” afferma il report, sottolineando come sia il nord-est del Pacifico la zona più in sofferenza. Dal punto di vista dell’assorbimento della Co2, invece, nel periodo 2009-2018 circa il 22 per cento delle emissioni è stato inglobato dagli oceani, che hanno così aiutato ad attenuare il cambiamento climatico pagando il carissimo prezzo l’equilibrio dei loro ecosistemi.

Ma quello che più colpisce è sicuramente l’alta concentrazione di eventi climatici estremi avvenuti negli ultimi dieci anni, e soprattutto nel 2019. Negli ultimi mesi alcune parti del mondo – Sud America, Europa, Africa, Asia e Oceania – hanno avuto temperature più alte del normale mentre altre zone, come il Nord America, sono state più fredde del solito. Basti, ad esempio, pensare alle ondate di calore dello scorso giugno e luglio in Europa, con un record nazionale in Francia di 46 gradi centigradi il 28 giugno. Numeri simili anche in Germania (42.6°C), in Olanda (40.7°C), in Belgio (41.8°C), in Lussemburgo (40.8°C) e nel Regno Unito (38.7°C). Per quanto riguarda gli incendi invece, in Sudamerica c’è stato un picco come non lo si vedeva dal 2010.

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