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martedì, Set 29

Il fenomeno dei suicidi delle K-pop star, tra hater e depressione



Da Wired.it :

Le star musicali Jonghyun dei Shinee, Goo Ha-ra, Sulli e – di recente – le attrici Oh In-hye e Yuko Takeuchi, sono tutte celebrità asiatiche vittime dei social

Yuko Takeuchi, attrice giapponese vista in Miss Sherlock, è l’ultima di una lunghissima lista di celebrità asiatiche a togliersi la vita. Il suo suicidio è stato confermato l’altro ieri, pochi giorni dopo quello della collega trentaseienne – sempre nipponica – Ashina Sei e a distanza di un paio di mesi da quello altri due compatrioti – l’attore Haruma Miura e la star dei reality Hana Kimura – a maggio e giugno. Poco prima della Takeuchi e della Ashina si sono uccisi anche l’attore taiwanese Alien Huang e la coreana Oh In-hye. Quest’ultimo caso è il più rappresentativo di un fenomeno allarmante che si protrae da anni in un settore dell’intrattenimento asiatico – quello di cui hanno parte gli idol e i v-logger, ovvero le celebrità con il contatto più diretto con gli hater sui social – che sta provocando una strage. Il cyberbullismo incessante che perseguita i volti noti della spettacolo dell’Estremo Oriente e in particolare coreano è stato indicato apertamente – tramite lettere di addio, confessioni video postate su Instagram e altre forme dirette – dalle stesse vittime come la causa che le ha spinte a uccidersi. In una nazione come la Corea del Sud che vanta il primato di numero di suicidi più alto dei paesi Ocse, e che deve parte del proprio rilancio economico al successo mondiale portato dagli idol del K-pop (i cantante e le boy band musicali coreane), il governo comincia a parlare di leggi in grado di educare i giovani contro il cyberbullismo e punire chi insulta il prossimo tramite social.

Facciamo un passo indietro. Abbiamo accennato alla Oh, la quale aveva sperimentato accanite critiche online già nel 2011, quando si era presentata sul red carpet del 16mo Busan International Film Fest indossando un abito da sera dalla scollatura profonda, finendo investita di offese di natura sessuale. La sua carriera ne soffrì e la oh si reinventò v-logger su YouTube, virtualmente offrendo a troll e hater un canale diretto per perseguitarla. Altri casi emblematici sono stati, lo scorso dicembre, quelli del 27enne membro della boyband Surprise U Cha In-na, della 28enne idol delle Kara Goo Ha-ra e di Sulli, attrice e cantante già sopravvissuta a un tentativo di suicidio il maggio precedente. Le due avevano imboccato lo stesso percorso per cause non dissimili.

Analogamente, Sulli è stata vittima di un bullismo spietato da parte della comunità della rete quando era stata investita di critiche per una scena di sesso con il collega Kim Soo-hyun nel film Real. La star aveva reagito, instaurando un rapporto diretto con i detrattori sui social dove parlava, sfidando i tabù locali, di depressione e di salute mentale. Sono stati tantissimi i casi di suicidio che negli ultimi quindici anni si sono susseguiti tra i membri – o gli ex membri – di boy band o tra gli attori e le attrici dei k-drama. Tanto che il giornalista Kim Dae-o si è sfogato sul Guardian affermando che dopo aver coperto più di trenta suicida con i suoi articoli, non ne poteva più di essere costretto a constatare un quadro desolante. Tra questi, quello di Jonghyun, ex star degli SHINee (uno dei gruppi più longevi dell’industria con un decennio di attività alle spalle).

Anche Kwon Mina, ex membro delle AOA, lo scorso luglio ha attirato l’attenzione dei netizen pubblicando le immagini sconcertanti dei propri polsi tagliati e ricuciti dopo i tentativi di suicidio. Il suo caso è emblematico perché svela un altro aspetto della relazione morbosa esistente tra alcune celebrità asiatiche e social, ovvero il bisogno di ottenere attenzione con atteggiamenti autodistruttivi. Lo dimostra il fatto che i post con le immagini di autolesionismo, i video coi pianti esasperati e i messaggi in cui confessa di essere stata maltrattata da una collega sono andati avanti per giorni riscuotendo migliaia di like. In tutto questo, Instagram si è limitato a oscurare le immagini più forti con un “warning” sui contenuti, lasciando la scelta a una selva di surfisti della rete affamati di orrori la scelta se guardarle o meno.

Come mai le star coreane – e in particolare attori e idol del pop coreano, sono i più propensi al suicidio? Le cause sono la giovane età – sono quasi tutti ventenni – il sesso (più donne che uomini), i canoni che decretano il successo in patria (per le esigenti e spesso tiranniche agenzie per cui lavorano è fondamentale che i propri clienti abbiano milioni di follower sui social) e il tipo di società (in Corea del Sud è molto avanti a livello di progresso tecnologico e molto indietro rispetto ai diritti sociali) formano un mix deleterio. Specialmente per le donne: se una celebrità femminile fuma o si fa un tatuaggio o pubblica una foto in pigiama con un esponente dell’altro sesso (è successo alla superstar IU) viene criticata, se lo fa un maschio no.

L’ondata di suicidi accompagnati dalle accuse delle vittime nei confronti dei cyberbully, l’attenzione della stampa internazionale (da Bbc a Abc, da Cnn al New York Times, da Variety a Deadline, tutti hanno pubblicati servizi di approfondimento), il fatto che finalmente anche le agenzie delle star abbiano cominciato a minacciare provvedimenti legali nei confronti degli hater (dopo averle pubblicato sui social alcuni sono già passati ai fatti, valga il caso della Management Soop di Gong Yoo che ha vinto le prime cause contro i netizen rei di commenti inappropriati) hanno dato i primi risultati. La Corea del Sud ha raccolto le prime petizioni per ottenere delle leggi ad hoc contro il cyberbullismo e l’anno scorso i legislatori sudcoreani hanno proposto un disegno di legge per rendere obbligatoria l’educazione al cyberbullismo nelle scuole e nelle aziende. Il passo successivo sarebbe la messa a punto di una regolamentazione che punisce i cyberbully e riconosce gli hater come perseguibili in qualità di istigatori al suicidio.

Più che la necessità di proteggere i propri cittadini dalla piaga dei suicidi legati ai social, questi provvedimenti soddisferebbero l’esigenza di proteggere gli interessi economici del paese (i Bts, la band più famosa del mondo, ha donato all’economia coreana 4 miliardi e mezzo di dollari solo con la vendita di Map of the Soul che aggiunti agli introiti di biglietti e merchandising coprono il 0,3% del Pil della Corea del Sud). In ogni caso, sarebbe un grande passo avanti.

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[Fonte Wired.it]